Diseguaglianze, Reitano (La Sapienza): “Le pensioni specchio delle disuguaglianze crescenti e persistenti del mondo del lavoro"


Concluso il workshop promosso dal Dipartimento di Economia e Finanza di Uniba

Si è concluso a Bari il workshop internazionale sulle disuguaglianze organizzato dal Dipartimento di Economia e Finanza di Uniba”, diretto dal professor Vito Peragine, in collaborazione con il Luxemburg Institute of Socio-Economic Research e il Dipartimento di Economia e Diritto dell’Università La Sapienza di Roma. L’iniziativa ha trasformato per due giorni il capoluogo pugliese in un punto di riferimento per il confronto scientifico su un tema che coinvolge non solo economisti, ma anche sociologi, giuristi, corpi intermedi e sindacati. Le disuguaglianze rappresentano infatti un fenomeno complesso e interconnesso, che richiede un approccio multidimensionale. Un focus specifico è stato dedicato al rapporto tra disuguaglianze e sistema pensionistico, al centro della relazione del professor Michele Reitano, direttore del Dipartimento di Economia e Diritto della Sapienza.

Le disuguaglianze - ha spiegato illustrato Reitano - in Italia negli ultimi anni hanno riguardato in larga parte il mondo del lavoro. Dentro il gruppo dei lavoratori si osservano disuguaglianze fortemente crescenti e persistenti: Tendenzialmente chi inizia a lavorare con salari bassi e con carriere meno remunerate rimane nella stessa condizione a lungo o per tutta la vita con implicazioni inevitabili sul trattamento pensionistico. Con la riforma del 1995 – ha spiegato – e l’introduzione del sistema contributivo siamo approdati ad un sistema in cui le pensioni non fanno più riferimento all’ultimo salario, ma all’intera vita lavorativa, il che vuol dire che le pensioni delle prossime generazioni saranno esattamente lo specchio dell’intera storia lavorativa dell’individuo. Anni di svantaggio dal punto di vista lavorativo si tradurranno in anni di bassi contributi e, proporzionalmente, in basse pensioni”. Una situazione che presenta rischi enormi e desta non poche preoccupazioni soprattutto per quei lavoratori che pur essendo stati attivi professionalmente per 20 anni si ritroveranno a ricevere assegni pensionistici di 8-900 euro mensili. “Sono le cosiddette carriere fragili spesso il risultato dell’intersecarsi di almeno tre elementi: primo il rischio di non lavoro o lavoro frammentario, secondo la scarsa contribuzione dovuta a contratti con aliquote basse, e terzo i bassi salari, spesso legati alla diffusione del part-time involontario.

Una situazione che richiede policy adeguate. “Uno schema contributivo va benissimo per chi ha carriere stabili, ma va immaginato un trattamento minimo per chi ha versato pochi contributi per molti anni, pur essendo stato attivo a lungo. Attualmente i dati Inps ci dicono che circa il 50% delle donne ha un orario di lavoro inferiore a quello standard; stesso dato per il 20% degli uomini”. Secondo Reitano, è ormai superata l’idea – diffusa negli anni ’90 con le liberalizzazioni – secondo cui bastava entrare nel mercato del lavoro. “Una idea smentita dai dati. Non è vero che entrando si sale di livello e si fa carriera: si possono invece incontrare trappole e ostacoli che impediscono un’effettiva inclusione”. Infine, un’osservazione sulle dinamiche attuali dell’occupazione, anche queste a tratti ingannevoli:“I settori in cui si assume di più – ha precisato - come grande distribuzione, turismo, logistica, sono quelli che molto spesso utilizzano forme contrattuali atipiche, part-time, tempo determinato, stagionali”.

Dunque, attenzione a fare di tutta l’occupazione un fascio. Basta anche un’ora di lavoro retribuito al giorno per rientrare nella categoria di occupato. Ma un’ora non fa un lavoro, né una carriera e dunque neppure una pensione. “Perciò – ha concluso Reitano - più che guardare a misure macroeconomiche, bisognerebbe intervenire sull’intensità del lavoro”, che garantisca dignità e futuro ai lavoratori.