La Corte Costituzionale boccia la legge “anti-sindaci”: norma incostituzionale. Leccese: ‘Una vittoria della democrazia’
ROMA – È ufficiale: la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la norma contenuta nella legge di bilancio regionale pugliese che imponeva ai sindaci intenzionati a candidarsi alle elezioni regionali di dimettersi 180 giorni prima della data del voto. Una norma contestata sin dal primo momento, ora definitivamente cancellata in quanto lesiva dei principi di uguaglianza sanciti dalla Costituzione Italiana.
Leccese: “Una vittoria della democrazia”
Tra i principali oppositori della norma, il sindaco di Bari Vito Leccese, che all’indomani dell’approvazione dell’emendamento si era fatto promotore di una serie di iniziative contro quella che ha sempre definito una “norma iniqua e discriminatoria”.
“Giù le mani dai sindaci. Lo abbiamo detto dal minuto dopo l’approvazione di quell’emendamento, che altro non era se non un tentativo disperato di impedire agli amministratori locali di competere ad armi pari alle elezioni regionali – ha dichiarato Leccese –. Oggi la Corte Costituzionale ha messo una pietra tombale su questa indecorosa pagina istituzionale”.
Il primo cittadino barese ha ricordato come da mesi numerose voci si fossero levate per denunciare l’incostituzionalità della norma, citando l’articolo 51 della Costituzione, che garantisce a tutti i cittadini – sindaci compresi – pari opportunità di accesso alle cariche pubbliche.
“Nel frattempo – ha proseguito Leccese – il Consiglio regionale non ha trovato né la voglia né la maggioranza per abrogarla. Oggi ci ha pensato la Corte, sancendo il fallimento di un tentativo piuttosto maldestro di eliminare per legge gli avversari più scomodi, quelli più radicati nei territori e più vicini ai cittadini”.
Emiliano: “Condividevo la posizione del Governo”
Soddisfazione è stata espressa anche dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che ha scelto di non costituire la Regione nel giudizio davanti alla Consulta, proprio in segno di condivisione delle motivazioni alla base del ricorso del Governo.
“Apprendo con soddisfazione della dichiarazione di incostituzionalità della legge regionale – ha dichiarato Emiliano – inopinatamente votata da una maggioranza trasversale. Aveva reso ingiustamente difficoltosa la candidatura dei sindaci pugliesi. Tutto è bene quel che finisce bene”.
La decisione della Corte: principio di uguaglianza violato
Nel merito, la Corte ha ritenuto che l’obbligo di dimissioni con sei mesi di anticipo violasse in modo irragionevole il principio di eguaglianza nell’accesso alle cariche elettive, creando una disparità ingiustificata tra sindaci e altri cittadini aspiranti consiglieri regionali o presidenti di Regione.
Un vincolo che, secondo i giudici costituzionali, si traduceva in una penalizzazione diretta per una categoria specifica di amministratori, riducendone di fatto le possibilità di partecipare al confronto democratico, anche laddove in possesso dei requisiti di legge.
Una pagina chiusa, ma una lezione da ricordare
Con questa sentenza, si chiude una vicenda che ha animato per mesi il dibattito politico pugliese, sollevando interrogativi su trasparenza, rappresentanza e correttezza del processo elettorale.
Ma resta una lezione istituzionale: le regole del gioco non possono essere piegate alle convenienze del momento, né tantomeno costruite per escludere candidati scomodi. La democrazia si nutre di competizione leale, non di barriere artificiali.
Leccese: “Una vittoria della democrazia”
Tra i principali oppositori della norma, il sindaco di Bari Vito Leccese, che all’indomani dell’approvazione dell’emendamento si era fatto promotore di una serie di iniziative contro quella che ha sempre definito una “norma iniqua e discriminatoria”.
“Giù le mani dai sindaci. Lo abbiamo detto dal minuto dopo l’approvazione di quell’emendamento, che altro non era se non un tentativo disperato di impedire agli amministratori locali di competere ad armi pari alle elezioni regionali – ha dichiarato Leccese –. Oggi la Corte Costituzionale ha messo una pietra tombale su questa indecorosa pagina istituzionale”.
Il primo cittadino barese ha ricordato come da mesi numerose voci si fossero levate per denunciare l’incostituzionalità della norma, citando l’articolo 51 della Costituzione, che garantisce a tutti i cittadini – sindaci compresi – pari opportunità di accesso alle cariche pubbliche.
“Nel frattempo – ha proseguito Leccese – il Consiglio regionale non ha trovato né la voglia né la maggioranza per abrogarla. Oggi ci ha pensato la Corte, sancendo il fallimento di un tentativo piuttosto maldestro di eliminare per legge gli avversari più scomodi, quelli più radicati nei territori e più vicini ai cittadini”.
Emiliano: “Condividevo la posizione del Governo”
Soddisfazione è stata espressa anche dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che ha scelto di non costituire la Regione nel giudizio davanti alla Consulta, proprio in segno di condivisione delle motivazioni alla base del ricorso del Governo.
“Apprendo con soddisfazione della dichiarazione di incostituzionalità della legge regionale – ha dichiarato Emiliano – inopinatamente votata da una maggioranza trasversale. Aveva reso ingiustamente difficoltosa la candidatura dei sindaci pugliesi. Tutto è bene quel che finisce bene”.
La decisione della Corte: principio di uguaglianza violato
Nel merito, la Corte ha ritenuto che l’obbligo di dimissioni con sei mesi di anticipo violasse in modo irragionevole il principio di eguaglianza nell’accesso alle cariche elettive, creando una disparità ingiustificata tra sindaci e altri cittadini aspiranti consiglieri regionali o presidenti di Regione.
Un vincolo che, secondo i giudici costituzionali, si traduceva in una penalizzazione diretta per una categoria specifica di amministratori, riducendone di fatto le possibilità di partecipare al confronto democratico, anche laddove in possesso dei requisiti di legge.
Una pagina chiusa, ma una lezione da ricordare
Con questa sentenza, si chiude una vicenda che ha animato per mesi il dibattito politico pugliese, sollevando interrogativi su trasparenza, rappresentanza e correttezza del processo elettorale.
Ma resta una lezione istituzionale: le regole del gioco non possono essere piegate alle convenienze del momento, né tantomeno costruite per escludere candidati scomodi. La democrazia si nutre di competizione leale, non di barriere artificiali.