“Il piccolo principe”, vero insegnamento per grandi e piccini


di Pierpaolo De Natale – È ben noto quanto sia difficile portare sul grande schermo la storia di un libro, poiché non è affatto facile soddisfare le aspettative dei tanti lettori. Figuriamoci se si vuol portare al cinema la maestosità de Le Petit Prince, un libricino le cui dimensioni sono inversamente proporzionali alla fama acquisita a livello mondiale, un testo così apprezzato da essere stato stampato in quasi 300 versioni, persino una in dialetto barese.

Senza perderci in fuorvianti giri di parole, diciamo subito che Marck Osborne ha centrato il bersaglio. Operando con inevitabile timore reverenziale, il regista di Kung Fu Panda ha riportato in vita le vicende narrate da Antoine de Saint-Exupéry. Attenzione però, non v’è stata una mera riproduzione del libro in forma cinematografica, poiché il regista ha preferito optare (saggiamente) per una sorta di sequel del famoso racconto scritto nel ‘43.

Ecco, dunque, la storia di Prodigy, bambina con una madre in carriera che pianifica nei minimi particolari la vita di sua figlia, programmandone giorni, mesi ed anni. Tutto affinché la piccola possa avere le carte in regola per accedere ad una prestigiosa facoltà. La grigia routine quotidiana della bimba, spesa su formule matematiche, viene letteralmente scombussolata dall’entrata in scena di un bizzarro vecchietto: un ex-aviatore che inizia a raccontarle le vicende di un certo “piccolo principe”, incontrato tanti anni fa nel deserto del Sahara.

Il film prosegue lungo un doppio binario, ponendo in continuo incontro-scontro le due realtà che Prodigy si ritrova a vivere. Da un lato veniamo inquadrati dalla meticolosa organizzazione del mondo degli adulti, che si muovono e lavorano meccanicamente, come ingranaggi. Dall’altro ci abbandoniamo alle emozioni, lasciandoci coinvolgere da fantasia e stupore. E così la giovane protagonista del film ogni mattina lascia la propria casa dal design minimale e dalle tonalità grigio scure, per oltrepassare la siepe ed entrare nell’abitazione dell’aviatore: una sgangherata torre in legno ricca di colori e sentimento, un luogo con disegni, cannocchiali, pitture fluorescenti e, in giardino, un aereo quasi pronto al decollo. Giorno dopo giorno, la piccola viene sempre più coinvolta dalle vicende del piccolo principe, la cui narrazione avviene con assoluta fedeltà al testo originale, riportandone integralmente i tratti più salienti.


Le immagini del film sono state realizzate con due tecnologie differenti, le quali – alternandosi – azzerano gli sforzi necessari a comprendere il confine fra la storia di Osborne e la storia di Saint-Exupéry, in quanto l’opera realizzata dal regista consiste in un vero e proprio racconto nel racconto. La quotidianità della bambina ossessionata dalle tabelle di marcia della madre è prodotta in CGI, elaborando le immagini al computer con grafiche 3D. L’avventura del piccolo principe è invece narrata con lo stop-motion, una tecnica che immortala una serie di fotogrammi, i quali, montati in sequenza, creano un’immagine. Per i fotogrammi de Il piccolo principe il regista ha deciso di raffigurare i personaggi basandosi sui disegni realizzati dall’autore del libro, riproducendoli con la carta. Una scelta, a mio parere, molto ragionata. Con la carta Osborne ricostruisce i volti del piccolo principe, dell’aviatore e della volpe, ricordando che il mondo della fantasia – come il mondo dei più piccoli – sa essere tanto vivace e colorato, quanto delicato e semplice.

Infine, un grande plauso va rivolto alla straordinaria capacità con cui questo film d’animazione riesce a tenere incollati allo schermo sia grandi che piccini. Infatti, se troviamo scene che fanno ridere i bambini, ce ne sono altre che fanno commuovere gli adulti, i quali al termine del film si affrettano ad asciugare qualche lacrima prima che in sala torni la luce dopo i titoli di coda.

Come nelle pagine del libro, anche al cinema quel piccolo principe dai “capelli color dell’oro” e proveniente dall’asteroide B612 ha ancora tanto da donare. Riesce ad insegnare ai piccoli i valori della vita, dell’amicizia e dell’amore, mentre aiuta i grandi a ritornar bambini e a ricordare l'infanzia: perché “il problema non è diventare grandi, ma dimenticare”.

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