Dialetto sardo: il Tribunale di Sorveglianza di Sassari apre uno sportello di “limba” per comunicare con condannati e familiari

di Vittorio Polito – Con una legge regionale del 1997, la Sardegna ha decretato la “limba” – la lingua sarda – un bene fondamentale dell’isola,  stabilendone la pari dignità con l’italiano. Per cui la “limba” è entrata anche negli uffici giudiziari.

La giornalista Elena Laudante ha pubblicato il 4 ottobre 2012 sul quotidiano “La Nuova Sardegna” di Sassari una interessante nota a proposito del dialetto sardo, con la quale porta a conoscenza  che è stato istituito uno sportello presso il Tribunale per consentire a molti utenti, legati alle loro tradizioni ed alla loro lingua-madre, di potersi far comprendere agevolmente dagli altri trattando argomenti di “giuridichese” nell’unica lingua che conoscono, il dialetto.

In sostanza il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha presentato un progetto per l’apertura di uno sportello linguistico della “limba” per consentire a detenuti e condannati di colloquiare con tutti senza problemi.

L’allora ministro Paola Severino, su richiesta del presidente del Tribunale, ha subito concesso l’aiuto finanziario per avviare il servizio, affidato ad un esperto di “limba” che affianca il personale amministrativo. Il Consiglio dei Ministri ha provveduto prontamente a stanziare 9000 euro per la realizzazione del progetto che vedrà gli utenti meno fortunati della giustizia (detenuti e reclusi), affrontare agevolmente i problemi legati alla loro condizione.

In questo ambito sarà anche possibile interagire via mail con le istituzioni carcerarie alle quali i cittadini potranno rivolgersi per il disbrigo delle pratiche legate alla lingua sarda, anche in considerazione del fatto che l’uso pubblico della propria lingua trova tutela anche nella Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.

19 Commenti

  1. “Lingua sarda” è una denominazione troppo generica. In Sardegna ci sono molteplici dialetti (lingue locali). Per “lingua sarda” cosa s’intende precisamente?... Io credo che in Sardegna avvenga la stessa cosa che avviene in Puglia: un mix di dialetti simili tra loro (in quanto appartenenti alla stessa famiglia) ma comunque diversi; simili ma diversi (come ad esempio in provincia di Bari: barese, bitontino, palese, valenzanese, ecc.). I dialetti italiani, si sa, si suddividono in grandi famiglie e, a sua volta, in sottofamiglie. In realtà ad ogni territorio (piccolo o grande che sia; sia esso poco o molto popolato), è circoscritta una lingua locale (un dialetto). Dunque, nella bellissima regione sarda, quale delle tante lingue locali è stata promossa a lingua ufficiale?... Ipotizzo che a 5 km da Sassari (giusto per fare un esempio), già si parli un dialetto diverso da quello sassarese (se pur simile). Quale paese/città della Sardegna, dunque, ha avuto l’onore di veder promossa la propria lingua locale, al ruolo di lingua ufficiale? Per intenderci, come avvenne secoli fa per il fiorentino. Quale centro abitato si è imposto sugli altri, avendo l’appoggio degli Enti?... La Sardegna è una Regione a statuto speciale; che ufficializzare l’esistenza della lingua sarda sia stato un modo per autocelebrarsi? Un modo per sponsorizzare la cultura regionale?... L’italiano, vera lingua ufficiale, non ha varianti; l’italiano è uno. In Sardegna, in realtà, c’è la grande famiglia dei dialetti sardi che a sua volta si suddivide in sottofamiglie (raggruppanti i varii dialetti, legati ognuno ad un centro abitato ben definito). Nonostante l’ufficialità della cosa, a mio avviso non esiste la “lingua sarda”; esistono tante lingue di stampo sardo. Dopodiché… viva la Sardegna!

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    1. Tutte le lingue del mondo hanno varianti. Anche l'Italiano: o forse lei pensa di parlare lo stesso preciso italiano dei milanesi e dei trentini? Certo che no. Per cadenza, pronuncia, lessico, ci sono molte differenze. Lo stesso vale per l'inglese, il francese, il tedesco... e anche per il piemontese, il lombardo, il friulano, e pure il sardo. Il giorno che lo capiremo, avremo fatto un grande progresso.

      Pietro Cocianich
      Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici

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    2. Tutte le lingue del mondo hanno varianti. Anche l'Italiano: o forse lei pensa di parlare lo stesso preciso italiano dei milanesi e dei trentini? Certo che no. Per cadenza, pronuncia, lessico, ci sono molte differenze. Lo stesso vale per l'inglese, il francese, il tedesco... e anche per il piemontese, il lombardo, il friulano, e pure il sardo. Il giorno che lo capiremo, avremo fatto un grande progresso.

      Pietro Cocianich
      Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici

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  2. Stupisce che l'autore di questo articolo usi testardamente il termine ''dialetto'', nonostante il sardo sia riconosciuto come lingua addirittura dallo stato italiano, che è estremamente timido nel riconoscere le minoranze linguistiche presenti sul proprio territorio. Il termine ''dialetto'', nella cultura italiana, è irrimediabilmente diminutivo e spregiativo. Nel 2014 sarebbe il caso di cominciare a farne a meno.
    Pietro Cociancich
    Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici

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  3. Quelle che tu chiami "sottofamiglie" sono in realtà semplici varianti linguistiche, e appunto perchè tutte queste varianti non sono mai state "unificate", esistono delle piccole differenze locali a livello fonologico e lessicale.
    Inoltre non sono d' accordo sul fatto che l' Italiano non abbia varianti: da Bolzano a Palermo di differenze linguistiche ce ne sono parecchie...
    Quelli che tu vorresti definire "dialetti", sono lingue vere e proprie in quanto hanno una loro storia, dovuta alla posizione geografica e alle varie influenze delle popolazioni nel corso dei millenni. Mi sembra giusto quindi metterle sullo stesso piano di tutte le altre lingue europee, come il Francese o l'Italiano.

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  4. Perfino l American English ha varianti.
    Parlare di dialetto sardo evitando il termine lingua è da ignoranti.


    http://m.washingtonpost.com/blogs/govbeat/wp/2013/12/02/what-dialect-to-do-you-speak-a-map-of-american-english/

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  5. Ma se nello stesso articolo asserisci che si tratta di una "lingua", perchè continui a chiamarla "dialetto"? Coraggio, non ti mangia nessuno se usi i termini giusti!

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  7. Il fatto che tu voglia o no l'Italia unita non ha nulla a che vedere con la conservazione di questo enorme patrimonio linguistico, che sicuramente corrisponde a un' occasione di arricchimento culturale. Se pensi che il mantenimento di queste lingue sia frutto dell' irredentismo, è un altro discorso. Non ha importanza l'origine delle varianti linguistiche... E' un dato di fatto che l'Italiano abbia varianti, perchè è una lingua che è stata imposta a persone che erano abituate a parlare altre lingue regionali: quindi l'Italiano ha subito dei cambiamente che considero naturali, perchè ancora oggi, l'Italiano con la "I" maiuscola, lo si sente solo in televisione, ed è veramente difficile trovare qualcuno che parli quello a cui ti riferisci. Lo stesso fenomeno accade in altri paesi del mondo: in Norvegia, per esempio, la lingua ufficiale è il Bokmål, una lingua creata a un po' a tavolino con il tentativo di trovare una lingua nazionale, ma di fatto i norvegesi mantengono l' accento e altre caratteristiche delle loro parlate locali, mentre i mass-media tentano di "standardizzare" e di divulgare l'utilizzo della loro "koiné". In Italia è successa più o meno la stessa cosa.

    Che cosa si intende per "lingua sarda"? Beh, il sardo non è un'accozzaglia di dialetti diversi tra loro: è vero, ci sono delle varianti, ma ti ripeto che questo è dovuto al fatto che il sardo, come tutte le altre lingue diffuse sul territorio italiano, non è mai stato preso in considerazione dallo Stato che, non riconoscendolo con il giusto valore, cerca in tutti i modi di sostituirlo con la lingua italiana: per tanto, molte lingue regionali non sono mai state unificate nemmeno a livello ortografico. Per esempio, se al posto di scrivere "iì non vògghie scì” o "iòie nan vògghie sciòie" (utilizzando un'ortografia italiana che ovviamente non si potrà mai e poi mai adattare alle esigenze di un'altra lingua) si decidesse di scrivere "ioj non vogghie scioj", in cui "j" sta per "i" + vocale schwa "ə", il problema sarebbe risolto, e in base alla tua pronuncia locale, stabilisci come leggere una parola. In tutte le lingue è presente questo fenomeno. Ti faccio un altro esempio: prendendo ancora in considerazione il Bokmaal, il carattere "å" può corrispondere generalmente ai suoni "o" aperta o chiusa, "u", oppure anche /ɑ/, /Ʌ/... Oppure la "o", che si può leggere come "o" aperta/chiusa, oppure "u".... In inglese avviene la stessa identica cosa: in alcune zone "better" si pronuncia /betɅ/, in altre /bɛtər/... Sono piccole differenze ricorrenti in una variante e che quindi sono classificabili.

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  9. x Tancredi Pelà.
    Questo copia-incolla, non vuol essere una polemica ma, semplicemente una prova delle svariate ricerche che ho fatto per quanto riguarda l’esistenza di differenze tra le varie lingue locali sarde

    Nadia afferma che:
    Il sardo è diverso da zona a zona; quindi anche la parlata è diversa: il dialetto sardo del sud (il cagliaritano e il campidanese) è abbastanza diverso da quello del nord (logudorese, gallurese). Inoltre ci sono zone, come quella di Sassari e Porto Torres (che sono comunque a nord) che hanno un dialetto totalmente diverso dal logudorese; per non parlare poi di Alghero dove parlano una varietà di catalano e a Carlo Forte dove si parla un dialetto ligure.
    Io sono sarda di Sassari e non capisco praticamente niente del campidanese e del cagliaritano.
    http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20080821060620AAVrski

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  13. x Tancredi Pelà: Non vorrei si pensasse che, solo perché un dialetto sia comprensibile, non meriti di essere definito “lingua”; mentre un dialetto incomprensibile, meriti il “titolo nobiliare” di lingua. Il romanesco è molto comprensibile, il cagliaritano pochissimo; ciò non vuol dire che il romanesco sia una parlata meno importante rispetto al cagliaritano. Ogni lingua locale, comprensibile o incomprensibile che sia, è lingua (e non ci sarebbe nulla di male a definirla “dialetto”, in quanto circoscritta a una comunità/zona geografica ben precisa, e non quindi a tutta la nazione). E’ giusto che l’italiano sia stato imposto ai popoli italici; l’Italia sarebbe dovuta nascere già molto tempo prima (come Goffredo Mameli ci insegna: […] Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi. Raccolgaci un'unica Bandiera, una speme: di fonderci insieme già l'ora suonò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte, l'Italia chiamò. […]). Il fatto che esista una lingua nazionale unificatrice impostaci, non vuol dire che i dialetti debbano sparire. La sopravvivenza di essi, dipende dai cittadini stessi che ne fanno uso. Se c’è attaccamento alla propria città, si tende a parlare anche il dialetto (oltre l’italiano). Sta a noi comuni cittadini, portare avanti la salvaguardia delle lingue locali. Lei parla di grammatiche che mancano: sono gli abitanti/studiosi italiani stessi che, se amano davvero la propria lingua locale, devono supportarla parlandola abitualmente, tramandandola ai giovani e stilando grammatiche, dizionari, glossari, ecc.. Se tutto ciò non avviene e i dialetti stanno morendo, è perché sono gli abitanti stessi che se ne fregano. Da giovane dilettante non laureato, sto dando un contributo al dialetto barese. 3 mesi fa ho pubblicato il mio primo libro dialettale. Seguo amici studiosi che si prodigano da anni nella divulgazione del dialetto, studiandone la grammatica. Nel mio piccolo anch’io mi impegno nello studio della grammatica barese. È così che si salvano i dialetti. Guardando la realtà dei fatti, quanti giovani oggi hanno una sensibilità tale da occuparsi di dialetti?... Purtroppo sono in pochissimi; siamo in pochissimi. La gioventù di oggi dà importanza ad altre cose, “non a ‘ste fesserie” (a loro dire). A Bari purtroppo non si riesce ad uniformare la grammatica barese (vi sono varie metodologie di scrittura); esistono varii gruppi di appassionàti che portano avanti le proprie idee in questo àmbito (è già qualcosa). A Bari si dice “mègghie ferìte ca muèrte” (meglio feriti che morti). Fino a che punto gli Enti pubblici dovrebbero occuparsi della salvaguardia dei dialetti, se poi gli abitanti stessi non mostrano interesse?... Per costruire gli edifici, bisogna partire dalle fondamenta. Bene, le fondamenta siamo noi: noi appassionàti che cerchiamo di trasmettere ai nostri concittadini, l’attaccamento al dialetto. Questo amore viscerale per i dialetti, però, è pur vero che non deve portarci a provare astio nei confronti della lingua nazionale. La lingua nazionale è giusto che ci sia per far sì che si possa comunicare come stiamo facendo io e lei. Altrimenti dove andremmo a finire?... A un’Italia che si riduce nuovamente in tanti staterelli?... Nessuno discute l’importanza delle lingue sarde: tanto di cappello ad esse che si diversificano tantissimo dall’italiano (data la storia che hanno alle spalle). Credo che nessuno surclassi le lingue sarde, affermando che siano “derivanti dall’italiano”. Qual è quindi il problema?... L’italiano è la lingua unificatrice dei popoli italici; i popoli italici, però, oltre l’italiano, è giusto che continuino a parlare le proprie lingue locali (in nome della salvaguardia delle tradizioni, del folclore). Quello della Corsica sì che è un dramma! Essa era una terra di stampo italico che purtroppo fu ceduta alla Francia. Tanti corsi, purtroppo, oggi parlano le loro lingue locali (che gli italiani molte volte riescono a comprendere) con un forte accento francese.

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  15. http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_sarda

    […] Fino al 2001 non si disponeva di una standardizzazione né scritta, né orale (quest'ultima non esiste ancor oggi).
    Il 28 febbraio del 2001, un'apposita Commissione di studiosi incaricati dalla Regione autonoma della Sardegna elaborò e pubblicò una proposta, la Limba Sarda Unificada (LSU): per alcuni è stato l'unico progetto complessivo e coerente di unificazione della lingua scritta, per altri, in particolare per i campidanesofoni, un vero e proprio tentativo di cancellazione della loro varietà. Ogni tentativo di unificazione ortografica non riguarda la lingua orale, riconducibile ad un sistema unitario benché ricca di differenze fonetiche, ma si limita a proporre una norma scritta di riferimento. Pertanto, i sostenitori della LSU sostengono che essa non si vuole sostituire alle varietà orali ma ne è un utile complemento, per usi ufficiali ed estesi a tutto il territorio sardofono; secondo gli avversari della LSU, invece, questa privilegia nettamente la macrovariante logudorese condannando l'altra, il campidanese, alla mancanza di una tutela da parte della Pubblica Amministrazione ed alla sua inevitabile estinzione. Le polemiche sono divenute ancora più roventi quando, sulla base della LSU ormai screditata, la Regione Sardegna ha fatto elaborare una successiva proposta, denominata Limba Sarda Comuna (LSC), che è poi divenuta ufficiale per gli atti e i documenti della Regione. Anche in questo caso sono insorti i campidanesi, accusando la Regione di attuare un progetto di vero e proprio linguicidio verso la loro varietà e, da alcune parti sull'esempio del valenziano, si è sostenuta la necessità di scegliere per le due varianti una strada autonoma l'una dall'altra. […]

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  16. x Tancredi Pelà: Sono un appassionato del dialetto barese ed ho già le idee chiare su come scriverlo. Ovviamente non escludo che, a séguito di nuovi concetti appresi, in futuro potrei modificare leggermente la metodologia di scrittura da me adoperata. Lei tira in ballo addirittura la fonetica ma, a mio parere, mi ha dato consigli errati. Innanzitutto le voglio far sapere che la corrente di pensiero che sostengo, è quella della semplificazione. Nel dialetto barese, dei segni diacritici per fortuna si può fare a meno. Alfredo Giovine (studioso barese), nella sua grammatica scrisse: […] il non barese non saprà pronunciare correttamente il dialetto barese, neanche se sorretto dai più scrupolosi segni diacritici […]. Nel barese esistono 2 tipi di “e”: le “e” semimute dal suono indistinto (che non vanno mai accentate), fondamentali per formare i dittonghi/trittonghi e le sillabe… e le “e” NON semimute, le quali, se pur con gradazioni di pronuncia diverse dall’italiano, si leggono per così dire “all’italiana” (esse vanno sempre accentate proprio per distinguerle dalle semimute, tranne nei casi di “e” congiunzione). È fondamentale far figurare le “e” semimute; non si possono omettere. Ricorrere alla “j”, vorrebbe dire applicare la fonologia in scrittura. In fonologia la “j” viene utilizzata per indicare le “i” semiconsonantiche; ci sono scuole di pensiero che le hanno utilizzate per indicare sia le semiconsonantiche che le semivocaliche. La maggior parte degli scrittori dialettali baresi utilizza la “j”, ma purtroppo la usa in maniera incompleta o errata. Per poter fare un uso corretto della “j”, rifacendosi alla fonologia, è necessario che lo scrittore sia erudito e che quindi sappia cosa siano i dittonghi ascendenti/discendenti, i trittonghi; occorre che sappia distinguere uno iato da un dittongo/trittongo; occorre che sappia distinguere una "i" vocalica da una semiconsonantica o semivocalica; occorre conoscere i digrammi/trigrammi con i quali non va la “j”. Per cui, così come hanno fatto validi e famosi studiosi prima di me, rivolgendomi agli scrittori dialettali baresi, propongo: per una questione di semplicità, visto che se ne potrebbe fare a meno, non credete sia meglio accantonare l'idea della "j", per sposare in grafia sempre e solo la semplice "i"?... Tanti scrivono “jèrve” (erba), scrivendo poi “chiène” (piena): ed ecco l’uso incoerente che si fa della “j” (anche la “i” di “chiène” è semiconsonante… e quindi andrebbe rappresentata con la “j”). “Viàgre” (viagra) invece andrebbe scritto senza “j”, visto che in questo caso “ià” non è dittongo ascendente ma iato (con “i” vocalica). Insomma, un caos per i principianti che vorrebbero avvicinarsi alla scrittura dialettale. Per tanto tempo in italiano si è utilizzata la “j” in maniera errata ed incoerente; per fortuna, ad un certo punto, si riparò agli errori del passato. È giunto il momento che lo comprendano anche gli scrittori dialettali baresi (e non solo). Chi scrive “Jonio”, per coerenza, scriva “Jonjo”. Lei mi ha consigliato di sostituire il dittongo ascendente “ie” con “j”. Così facendo però la “j” formerebbe da sola una sillaba; ciò non è possibile in quanto la “j” non è vocale (nemmeno in fonologia). Mi rifaccio all’esempio in dialetto palese (Palo del Colle): “iòie nan vògghie sciòie”. Chi appoggia la “j”, dovrebbe scrivere così (alternative non ce ne sono): joje nan vogghje sciòje (divido in sillabe: jo-je nan vog-ghje sciò-je). Ed infine, “joj” (come lei mi ha consigliato di scrivere), da bisillabo (scrivendo joje), diventerebbe monosillabo (utilizzando la “j” anche in funzione semivocalica) in quanto “joj” sarebbe trittongo: semiconsonante + vocale + semivocale (tra l’altro non corrisponderebbe al suono reale).

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