'12 anni schiavo': la recensione
di Frédéric Pascali - Quest’anno il protagonista degli Oscar arriva dal XIX secolo. Il suo nome è Solomon Northup e la sua autobiografia, scritta nel 1853 e riadattata per il grande schermo dal regista britannico Steve McQueen, già brillante director di “Shame”, si aggiudica la statuetta per il miglior film del 2014.
Attraverso una narrazione dolorosa e senza sconti,a tratti persino claustrofobica nel suo insistito incastro di flash back, McQueen, coadiuvato da John Ridley, Oscar per la miglior sceneggiatura non originale,riporta in auge il dramma dello schiavismo all’alba della guerra di secessione americana.
È il 1841 e nella contea di Saratoga, nello Stato di NewYork, vive un talentuoso e rispettato violinista di colore, Solomon Northup.
Ha una bella casa e una bella famiglia con una moglie e due figli.
Con la prospettiva di guadagnare qualche soldo in più accetta di buon grado la proposta di due falsi agenti di spettacolo che lo ingaggiano per una tournée al seguito di un circo. Troppo tardi si accorge dell’inganno. Venduto a dei mercanti di schiavi,e privato della sua identità, finisce nel profondo Sud, in Lousiana. Qui,dopo vari spostamenti,trova dimora stabile presso la piantagione del crudele Edwin Epps. Resta in questa condizione per ben 12 anni, fino a quando l’incontro fortuito con un canadese abolizionista, Samuel Bass, gli consente di essere rintracciato dagli amici e dalla famiglia. Alle sue spalle lascia la disperazione di una giovane amica, Patsey, e ritrova quel che resta della sua vita. Giusto in tempo per cercare giustizia e battersi per i diritti degli altri.
Nonostante le difficoltà del genere, Steve McQueen gira con “orgogliosa eleganza”, mettendo a nudo la disperata resistenza di un uomo combattuto tra la propria dignità e la speranza di rivedere un giorno i propri cari. Una scelta lacerante messa bene in luce dai primissimi piani del protagonista, il bravo Chiwetel Ejiofor. Nel cast anche Brad Pitt (Samuel Bass), Paul Giamatti e, soprattutto, Lupita Nyong’o (Patsey), meritatissimo Oscar come miglior attrice non protagonista.
Attraverso una narrazione dolorosa e senza sconti,a tratti persino claustrofobica nel suo insistito incastro di flash back, McQueen, coadiuvato da John Ridley, Oscar per la miglior sceneggiatura non originale,riporta in auge il dramma dello schiavismo all’alba della guerra di secessione americana.
È il 1841 e nella contea di Saratoga, nello Stato di NewYork, vive un talentuoso e rispettato violinista di colore, Solomon Northup.
Ha una bella casa e una bella famiglia con una moglie e due figli.
Con la prospettiva di guadagnare qualche soldo in più accetta di buon grado la proposta di due falsi agenti di spettacolo che lo ingaggiano per una tournée al seguito di un circo. Troppo tardi si accorge dell’inganno. Venduto a dei mercanti di schiavi,e privato della sua identità, finisce nel profondo Sud, in Lousiana. Qui,dopo vari spostamenti,trova dimora stabile presso la piantagione del crudele Edwin Epps. Resta in questa condizione per ben 12 anni, fino a quando l’incontro fortuito con un canadese abolizionista, Samuel Bass, gli consente di essere rintracciato dagli amici e dalla famiglia. Alle sue spalle lascia la disperazione di una giovane amica, Patsey, e ritrova quel che resta della sua vita. Giusto in tempo per cercare giustizia e battersi per i diritti degli altri.
Nonostante le difficoltà del genere, Steve McQueen gira con “orgogliosa eleganza”, mettendo a nudo la disperata resistenza di un uomo combattuto tra la propria dignità e la speranza di rivedere un giorno i propri cari. Una scelta lacerante messa bene in luce dai primissimi piani del protagonista, il bravo Chiwetel Ejiofor. Nel cast anche Brad Pitt (Samuel Bass), Paul Giamatti e, soprattutto, Lupita Nyong’o (Patsey), meritatissimo Oscar come miglior attrice non protagonista.
