20 maggio 2015: lo Statuto dei Lavoratori compie 45 anni

di Pierpaolo De Natale – Il 20 maggio 1970, con 217 voti a favore e con la storica astensione del Pci, veniva approvata la legge n. 300, meglio nota come Statuto dei Lavoratori. Il titolo del testo normativo recita per intero “Norme sulla tutela e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, una disciplina tutta nuova, nata con l’obiettivo di salvaguardare i diritti nei luoghi di lavoro.

Giunto al suo 45esimo anno d’età, lo Statuto dei Lavoratori è oggi più protagonista che mai all’interno dello scenario politico-sociale del nostro Paese. Nonostante sia stata per decenni il principale riferimento della giurisprudenza italiana in materia, la legge n. 300 del ’70 riporta oggi importanti ferite cagionategli dal recentissimo Jobs Act renziano e dalla tanto discussa riforma del lavoro firmata Fornero.

L’idea di redigere uno Statuto iniziò a diffondersi nel 1952 ad opera dell’allora segretario della Cgil, Giuseppe Di Vittorio, la cui volontà era emblematicamente riassunta dallo slogan “la Costituzione nelle fabbriche”. Nonostante contenesse tanti e rilevanti principi di libertà, la Carta costituzionale del dopoguerra non era riuscita a forgiare una solida armatura per difendere le condizioni dei lavoratori degli anni ’50. Intervenendo al Congresso del 1952, Di Vittorio riferiva: “Il lavoratore è un uomo, ha una sua personalità, un suo amor proprio, una sua idea, una sua opinione politica, una sua fede religiosa, e vuole che, questi diritti siano rispettati da tutti e, in primo luogo dal padrone (…) perciò sottoponiamo al Congresso un progetto di “Statuto” che intendiamo proporre, non come testo definitivo, alle altre organizzazioni sindacali (…) per poter discutere con esse e lottare per ottenerne l’accoglimento e il riconoscimento solenne”.

A rispondergli fu, oltre dieci anni dopo, Giacomo Brodolini – ministro del Lavoro nel governo Rumor. Nel 1969, il min. Brodolini istituì una Commissione nazionale composta da personaggi di grande spessore e guidata da Gino Giugni, professore universitario all’epoca già molto noto ed oggi ancora ricordato come “padre” dello Statuto dei Lavoratori. Il disegno di legge del testo che avrebbe da quel momento tutelato gli interessi e i diritti dei lavoratori fu approvato nel Consiglio dei ministri del 20 giugno 1969; il testo era composto da 41 articoli divisi in 6 titoli, ma Brodolini morì pochi giorni dopo la nascita della Commissione nazionale e non poté festeggiare la successiva approvazione della legge alla Camera.

Dopo un lungo dibattito a Montecitorio, lo Statuto nacque – in primo luogo – come strumento promotore dell’attività sindacale in azienda, a seguito del vuoto lasciato dall’inattuato art. 39 della Costituzione. Sono anche molti altri, però, gli ambiti regolati dalla legge n. 300. Tra gli elementi più significativi vanno indubbiamente ricordati il riconoscimento della libertà di manifestazione del pensiero nei luoghi di lavoro, il divieto di atti discriminatori e di indagini sulle opinioni del lavoratore, la repressione della condotta antisindacale e l’obbligo di reintegrazione del lavoratore licenziato illegittimamente.

Nel corso degli anni lo Statuto è stato al centro di numerosi cambiamenti. Di rilievo fu il referendum abrogativo del 1995, il quale portò alla riformulazione dell’art. 19 della l. 300/1970, che oggi recita: “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità produttiva»; così da non privilegiare le associazioni confederali rispetto ai sindacati di categoria”.

L’articolo maggiormente attaccato nell’ultima decade è indiscutibilmente stato quello riguardante l’obbligo di reintegro nel posto di lavoro dei lavoratori licenziati illegittimamente (art. 18, l. 300/1970). L’art. 18 ha resistito ad oltre 30 anni di storia del diritto italiano, scampando le modifiche tentate dai governi Berlusconi e la legge Maroni, ma non è riuscito a fare altrettanto dinanzi alla violenta scure del governo tecnico guidato da Mario Monti. Con la l. 92 del 2012, la riforma Fornero ha introdotto nuove possibilità di risarcimento per il lavoratore licenziato in modo illegittimo e che, in alcuni casi, sostituiscono il reintegro con mere indennità economiche. Colpo di grazia è infine quello ricevuto dal Jobs Act figlio di Renzi, che per tutti i rapporti di lavoro sorti a partire da marzo 2015 introduce, sostituendo così l’art. 18, il “contratto a tutele crescenti”. Perché a tutele crescenti? Perché l’ammontare del risarcimento economico sarà proporzionale agli anni d’anzianità del lavoratore. Non serve dunque una laurea in giurisprudenza per comprendere come – col trascorrere del tempo – l’art. 18 risulterà completamente archiviato. Avremo presto uno scenario occupazionale in cui i lavoratori non avranno più diritto al reintegro nel posto di lavoro (salvo in caso di licenziamenti discriminatori o disciplinari) e i datori avranno ampia e scriteriata libertà di licenziamento che costerà loro solo l’esborso di pochi spiccioli.

Chissà se Brodolini, Giugni e tutti coloro che collaborarono alla stesura della legge n. 300 del 1970 avrebbero mai immaginato un destino simile per la sorte dei lavoratori italiani. In attesa di una quasi utopistica inversione di marcia da parte dell’esecutivo, lo Statuto compie oggi 45 anni, augurandosi di restare ancora a lungo in vigore per la tutela a favore dei diritti dei lavoratori.