Il caso Spotlight: la recensione
di FREDERIC PASCALI - Michael Keaton è una inesauribile fonte di versatilità interpretativa che rende naturali i panni di ogni suo personaggio. Dopo “Birdman” è di nuovo tra i protagonisti di un film premio Oscar, “Il caso Spotlight”. Una delicata e complessa pellicola d’inchiesta, finzione e testimonianza, diretta magistralmente da Tom McCarthy, che racconta la storia vera di uno scandalo che dopo l’11 settembre travolse Boston, l’America e il Vaticano e che nel 2003 valse al “Boston Globe” la conquista del premio Pulitzer.
È il 2001 e il “Boston Globe” naviga in cattive acque, è in flessione di lettori e d’interesse. La cosa non passa inosservata a Marty Baron, il nuovo Direttore, che prende immediatamente contatto con “Spotlight”, la divisione investigativa del giornale, e gli affida quella che potrebbe diventare l’inchiesta dell’anno. Devono indagare sui presunti insabbiamenti,effettuati dall’arcivescovo Bernard Francis Law, in merito a numerosi casi di pedofilia all’interno della diocesi di Boston. Sarebbero stati a decine, perpetuatisi per anni da parte di quasi 90 sacerdoti. “Robby” Robinson e il suo team, Rezenders, Pfeiffer e Carrol, si mettono subito al lavoro tra numerosi tentativi di depistaggi e intimidazioni più o meno velate.
Una delle chiavi interpretative del successo de “Il caso Spotlight” è senza dubbio la sua sceneggiatura, Oscar nella sezione “originale”. Scritta con evidente perizia dallo stesso Tom McCarthy e Josh Singer, essa eccelle nell’accostare dialoghi e azione mantenendo viva la tensione, senza mai perdere quella sensazione di spontanea riproduzione della realtà.
Un meccanismo perfetto che funziona anche grazie all’abilità dei suoi protagonisti principali. Mark Ruffalo, “Rezenders”, Rachel McAdams, “Pfeiffer”, Brian D’Arcy James, “Carroll”, Liev Schreiber, “Marty Baron”, e il già citato Michael Keaton, “Robby Robinson”, sono i puntelli ideali di una scenografia che vive sugli “interni” e sulla spalla cromatica dai toni opachi della fotografia di Masanobu Takayanagi.
È il 2001 e il “Boston Globe” naviga in cattive acque, è in flessione di lettori e d’interesse. La cosa non passa inosservata a Marty Baron, il nuovo Direttore, che prende immediatamente contatto con “Spotlight”, la divisione investigativa del giornale, e gli affida quella che potrebbe diventare l’inchiesta dell’anno. Devono indagare sui presunti insabbiamenti,effettuati dall’arcivescovo Bernard Francis Law, in merito a numerosi casi di pedofilia all’interno della diocesi di Boston. Sarebbero stati a decine, perpetuatisi per anni da parte di quasi 90 sacerdoti. “Robby” Robinson e il suo team, Rezenders, Pfeiffer e Carrol, si mettono subito al lavoro tra numerosi tentativi di depistaggi e intimidazioni più o meno velate.
Una delle chiavi interpretative del successo de “Il caso Spotlight” è senza dubbio la sua sceneggiatura, Oscar nella sezione “originale”. Scritta con evidente perizia dallo stesso Tom McCarthy e Josh Singer, essa eccelle nell’accostare dialoghi e azione mantenendo viva la tensione, senza mai perdere quella sensazione di spontanea riproduzione della realtà.
Un meccanismo perfetto che funziona anche grazie all’abilità dei suoi protagonisti principali. Mark Ruffalo, “Rezenders”, Rachel McAdams, “Pfeiffer”, Brian D’Arcy James, “Carroll”, Liev Schreiber, “Marty Baron”, e il già citato Michael Keaton, “Robby Robinson”, sono i puntelli ideali di una scenografia che vive sugli “interni” e sulla spalla cromatica dai toni opachi della fotografia di Masanobu Takayanagi.
