L’Università’ di Cadice con Levante vara il numero 62 della collana le ‘Rane’

di LIVALCA - Nella tradizione retorica dell’antichità classica con il vocabolo ‘poesia’  era indicata  una delle due divisioni che danno vita all’arte dello scrivere, ossia quella riferita alla metrica, per dirla in maniera semplicistica; forse da questa interpretazione nasce il fatto che la ‘poesia’ risulta una prosa nobilitata, elevata, innalzata che richiede più studio e impegno nella ricerca di parole sapienti, erudite, dotte e anche d’effetto. Con questa premessa risulta scontato che il termine ‘prosa’ ci parli di qualcosa di più libero, veloce, scorrevole, fluente, sciolto che si può scrivere di getto. Mai come in questo caso l’etimologia di prosa ci aiuta non poco: anticamente era prorsa, prima ancora proversa, cioè la forma femminile in latino di prorsus (diritto, di seguito) e quasi sempre era accompagnata dalla parola oratio per indicare uno scritto non in versi. Ora che ci siamo inoltrati in questa esposizione che richiederebbe un saggio come commento, con un notevole ‘volo pindarico’ ci spostiamo verso l’estetica di Croce per poi planare in quella forma che oggi consegna una notorietà e dignità senza pari alla prosa e che chiamiamo romanzo.

Questo rapido inciso ci è servito per introdurre il titolo di un corposo volume di circa 800 pagine pubblicato in lingua spagnola da Levante editori Bari nella collana ‘le Rane’ e che in italiano così recita ‘Confini tra poesia e prosa nella letteratura ellenistica e ellenistico-romana’. La collana ideata e diretta da Francesco De Martino, che nel lontano 1988 riuscì a convincere l’editore Mario Cavalli della necessità di ricorrere ad Aristofane e al suo modo naturale ed incisivo di fare critica per rendere giustizia ai tanti ‘capitoli dimenticati’ del mondo classico, partorisce il numero 62 in la collaborazione con l’Università di Cadice, città che è una delle otto province in cui è divisa l’Andalusia, splendida regione della Spagna sudoccidentale.

Andalusia e Puglia sono simili per affinità  paesaggistiche, culturali, turistiche e gastronomiche (cereali, olivi, vite, agrumi, mandorle ) e, nello specifico, Cadice, città  in cui lo scomparso Guillermo Montes Cala, coadiuvato da Gallè Cejudo, Sànchez Ortiz de Landaluce e Silva Sànchez, ha raccolto i contributi dei quasi cinquanta studiosi che si sono cimentati sull’argomento, e Bari, la città dell’editore e del direttore della collana in cui nasce materialmente il libro, hanno tanto in comune: un magnifico porto, uno spettacoloso lungomare da cui si intravedono le rispettive cattedrali, luminosità su ogni edificio e su ogni pietra, cordialità e comunicativa degli abitanti, i più simpatici pescatori del mondo.

A beneficio dei tanti lettori del ‘GIORNALE DI PUGLIA’ ecco qualche notizia su Cadice: città di origine fenicia (Gadir in fenicio ‘fortezza’), fu base cartaginese e dal 206 a. C. rilevante centro romano (Gades); passato un  periodo buio sotto i visigoti, riprese l’antico splendore  dopo la conquista araba (711);  nel 1812 fu proclamata la Costituzione e nel 1820 vi furono moti rivoluzionari; nel 1748 vi fu fondata la prima scuola di medicina spagnola; viaggiatori baresi andate a Cadice a visitare gli edifici barocchi e fate in modo che quella gente senta il bisogno di venire a Bari a scoprire la nostra storia.

Nel gruppo di esperti  che hanno affidato i loro lavori al volume ‘’Fronteres entre el verso y la prosa’, oltre i quattro curatori, troviamo  Vicente Sànchez, Vela Tejada, Urbàn Fernàndez, Eugenio Amato, Bernabè Pajares, Càlderon Dorda, Calero Secall, Campos Daroca, Clùa Serena, Cusset Christophe, De Martino Francesco, Fernàndez Camacho, Fernàndez Delgado, Garcìa Romero, Suàrez de la Torre, Stramaglia Antonio, Solis de los Santos, Schrader Carlos, Ruiz Pèrez, Rodrìguez Moreno, Redondo Jordi, Garcìa Valdès, Gonzàlez  Rincòn,  Hernàndez de la Fuente, Iglesias Zoido, Lòpez Canete, Lòpez Cruces, Lòpez Fèrez, Lòpez Martìnez, Llera Fueyo, Magnelli Enrico, Martìnez  Fernàndez,  Molinos Tejada, Morenilla Talens, Nieto Ibànez, Quijada Sagredo, Pòrtulas Jaume, Pordomingo Pardo, Pino Campos, Pèrez Jimènez e White Heather in rappresentanza delle Università di Còrdoba, Almeria, Alicante, Càdiz, Central e Pompeu Fabra di Barcelona, La Laguna, Nantes, Cassino, Zaragoza, Valladolid, Ecole Normale Superièure de Lyon, Paìs Vasco, Salamanca, Oviedo, Murcia, Sevilla, Firenze, Indipendent Researcher, Foggia, València, Santiago de Compostela, Extremadura, Complutense e Nacional de Educaciòn a Distancia di Madrid, Màlaga, Leòn, Lleida.

Come si è fatto cenno all’inizio dell’articolo poesia e prosa sono due entità intrinsecamente diverse, ma perennemente in contatto in un costante dialogo di reciproca attrazione. I confini tra questi due mondi sono stati infatti trafficati sin dall’età arcaica, divenendo nel tempo di primaria importanza in età ellenistica e ellenistico-romana.

Il volume in questione, dedicato alla memoria di Monte Cala, può essere considerato una vera e propria enciclopedia, testimoniato da un indice generoso e qualificato  in cui ricerche puntigliose e mirate hanno scandagliato un arco di tempo di oltre due millenni da Omero all’umanista Jacopo di Sannazzaro, passando per Esiodo, Epimenide, Arione, Ipponatte, Pindaro, Simonide, Sofocle, Euripide, Tucidide, Socrate, Platone, Demostene, Antimaco di Colofone, Licofrone, Callimaco, Apollonio Rodio, Bione, Dione Crisostomo, Partenio di Nicea, Galeno,  Eliano,  Alcifrone, Porfirio,  Coricio, Socrate Scolastico, Sozomeno e fra i latini Orazio e Ovidio. Con queste premesse le tematiche non possono che essere varie spaziando da singoli classici a generi specifici (inni, epigrammi, ecc.), senza trascurare argomentazioni di lungo respiro come l’Occidente o i mirabilia o l’arte di descrivere.

Chiaramente non poteva essere trascurata la fortuna dell’antico, per esempio Odisseo nella letteratura spagnola, una ballata popolare del XV secolo e l’ammaliante storia di Atlantide, e tanti altri argomenti: un vero caleidoscopio di nozioni, conoscenze e informazioni.

M. de la Paz Fernàndez Montanez e Rafael e J. Gallé Cejudo hanno curato un completo Currìculum  cientifico  dedicato alla figura di Monte Cala e, per rimarcare quanto fossero ampi e qualificati i suoi interessi di studioso, sono stati pubblicati tre suggestivi saggi postumi di grande efficacia.

Sembra quasi scontato che questo libro dovesse essere generato in Bari, capoluogo di quella Puglia che Francesco De Martino ha reso mitica con un volume di 1200 pagine, e da sempre città anello di congiunzione fra un’Europa unita e un mondo a volte assente pur nella presenza visiva.

I lettori del “GIORNALE DI PUGLIA” sanno che tutte le volte che è stato recensito un volume delle ‘Rane’ abbiamo sempre rivelato una chicca, una rarità, una preziosità che facesse sorridere nella sua cruda essenziale realtà. Eccola.

Nonostante il parere contrario di tanti il prof. De Martino volle pubblicare il primo volume de le ‘Rane’ a dicembre del 1988 (Pubblicare a dicembre significa far nascere, per pochi giorni, vecchio di un anno un libro, evento giustificato solo qualora vi fossero problemi di date per concorsi ecc., ma non era il nostro caso).

Un dotto e amabile professore disse a Francesco: “La tua collana rischia di durare da Natale a Santo Stefano”, celando a malapena una punta di sana invidia. Io, strano a dirsi, ero in sintonia con Francesco, ma per una questione di ‘numerologia’ spiccia: considero da sempre il numero 8 il mio portafortuna.

Sono nato ad agosto e per la prova del nove il 1988, l’anno di nascita de ‘le RANE’, è formato da 1+8+8= 17 quindi 8: se fosse stato pubblicato nel 1989 avremmo avuto una somma di 0, che da noi va bene solo al cantante Renato.

I miei ricordi sono che, con onestà, misi al corrente Francesco del mio modesto contributo alla sua causa e lui, posso rimembrare male, dimostrò di non praticare proprio la prova del 9… a meno che già allora fosse di ‘furbizia tucididea’. Per la realizzazione del volume 62 abbiamo avuto un piccolo problema realizzativo e Francesco inopinatamente mi ha detto: “chiedi alla nostra comune amica Santa numi sul numero 62” (inutile dire che ha richiesto l’anonimato!).

La professoressa scrittrice-poetessa Santa Fizzarotti Selvaggi, da sempre dedita alla studio della psicoanalisi e del linguaggio delle arti e anche della numerologia o scienza dei numeri e dell’anima, da me interpellata, in breve tempo, ha inviato un saggio stimolante, che mi riservo di pubblicare in seguito, che trae origine dal fatto che 62 è composto da 6+2=8. Per me potrebbe finire qui la ricerca e ricordare al prof. De Martino che è un uomo fortunato… cosa diversa dal ‘nato con la camicia’.

Vi riporto un piccolo stralcio di quello che afferma Santa: “…per ritornare al numero 62 possiamo sommare i due numeri che lo formano, vale a dire 6+2 = 8, numero che rappresenta l’infinito, l’eterno ritorno, la rigenerazione del Tutto senza tempo e senza spazio. L’8 è anche il simbolo della Rosa dei venti, del numero dei petali del fior di Loto, delle 8 Beatitudini del Discorso della Montagna di Gesù…. In ogni caso ci piace pensare che il numero otto, la somma dei numeri che compongono 62, sia il simbolo della rinascita interiore, della nostra essenza, del nostro diventare Uomini’.

Dando per scontato che siamo tutti Uomini - donne ci siete ‘nella parte per il tutto’ si tratta di metonimia classica! -, alcuni sono più grandi degli altri, ma non in tutte le circostanze come proverò a dimostrare  ‘dando i numeri’:  Alcifrone con appena 122 lettere giunte fino a noi  ha introdotto il tema del ‘parassita’, ad oggi irrisolto; Bione di Smirne  da secoli continua ad omaggiare la bellezza con il suo ‘canto in morte di Adone’; Apollonio Rodio sempre alla ricerca di nuove ‘Argonautiche’; Demostene ancora perseguitato dallo scandalo di Arpalo; Dione Crisostomo  cerca disperatamente di dimostrare la sua innocenza per abusi, ancora presunti, edilizi nella sua Bitinia; Euripide  non riesce a domare la passione di Fedra; Esiodo  continua a ripetere che la ricchezza è l’anima dei miserabili mortali, ma…; Partenio di Nicea è ancora alle prese con le sue ‘Avventure d’amore’; Ipponatte continua con i suoi  giambici scanzonati a castigare, senza esito, vizi e costumi; Simonide continua a considerare il ballo poesia nuda; Sofocle  ripete che la speranza per tanti è un bene, ma per molti un inganno; Porfirio ribadisce che con lui il paganesimo raggiunse alti livelli di moralità e religiosità; Galeno rimpiange Marco Aurelio e non si perdona di essere stato medico personale del gladiatore-imperatore Commodo; Tucidide con grande saggezza ci lascia una massima ‘anonima’ sulla donna: la migliore è quella di cui non si dice né bene, né male; Socrate che affermava ‘il piacere è la cessazione del dolore’ non si può dire sia stato lungimirante; Platone è stato il primo a capire che la persona perbene, anzi giusta, soffre in silenzio fino alla fine dei suoi giorni; Orazio ci ha lasciato una verità che noi di casa Levante non abbiamo mai seguito: ‘profitta dell’oggi e non fare nessun affidamento sul domani’; Ovidio, non poteva essere diversamente, ci ha regalato due perle sull’amore che si possono non condividere, ma sono state legittimate da fatti realmente accaduti: ‘spesso accade di innamorarsi davvero, dopo aver fatto il cascamorto per finta’ e ‘l’amore si ammanta spesso del vago nome dell’amicizia e da amico ad amante il passo è breve; Callimaco, che per giustificare lo scarso clamore-fragore che suscitavano i suoi versi, era solito affermare: ‘tuonare non è cosa mia, ma di Zeus’; Eliano citato ripetutamente dai colleghi perché attestava che le civette non esistevano nell’isola di Creta; Epimenide che dopo aver purificato la città di Atene dalle maledizioni divine, si è dimenticato di proteggerla da quelle umane; Licofrone  con la sua oscura e tenebrosa opera ‘L’Alessandra’, da molti considerata una tragedia, ci trasmette deliranti presagi; di Antimaco di Colofone  non si ricorda il poema epico Tebaide, ma la raccolta di elegie dedicate a Lide, l’odierna Elide; Coricio esperto in stesura di discorsi validi anche oggi; Arione il miglior citarista al mondo fino all’avvento del quartetto…Cetra; Pindaro, e non poteva essere diversamente, ha l’ingrato compito di dedicare a Francesco De Martino questo sua ‘volante’ intuizione: ’...quando la città che celebro sarà distrutta, quando gli uomini che canto saranno scomparsi nell’oblio, le mie parole perdureranno’. Rane o non Rane De Martino Francesco ci lascia sempre senza parole, dimenticando che non spetta a lui… l’ultima parola.  

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