Sacco e Vanzetti, immortali icone dell’uomo libero

di FRANCESCO GRECO - Profetico Einstein: “Bisogna fare di tutto perché il tragico caso di Sacco e Vanzetti sia mantenuto vivo nella coscienza dell’umanità”. E lo scrittore Jhon Dos Passos: “Stanotte ucciderete i nostri coraggiosi compagni. I mercenari siedono con i piedi sul tavolo sotto la cupola del Palazzo di governo, non conoscono la nostra fede ma hanno i dollari, le forze armate, le centrali elettriche, hanno costruito la sedia elettrica…”.
 
A 90 anni dalla morte (“elettrizzati”, la notte tra il 22 e il 23 agosto 1927), Sacco e Vanzetti sono emblema di lotta contro le ingiustizie, per un uomo e un mondo liberi, icone forti, immortali, anche per la coerenza, per tutti i popoli che cercano un posto nella Storia, libertà, verità, giustizia, pane e dignità. 
 
E a riprova che il mito resiste, intangibile al tempo, anche in un’epoca che li ha destrutturati tutti, o quasi (sostituendoli con altri funzionali al dominio del potere su tutti noi), ecco la terza edizione di “Una vita proletaria” (Retroscena del processo di Plymouth), di Bartolomeo Vanzetti, Galzerano Editore, Casalvelino Scalo (Sa) 2017, pp. 208, euro 13,00, collana “Atti e memorie del popolo”, a cura di Luigi Botta, prefazione di Giuseppe Galzerano, traduzioni di Carmen Galzerano e Lale Gursel, emozionante corredo di foto dell’altro secolo (in attesa della traduzione dei tre libri di Pa Chin, risalenti agli ‘30).
 
Va dato atto a questo piccolo editore di provincia, libero in un mondo di gente che cerca un padrone, di perseguire una sua idea di editoria di qualità, che recupera pagine di memoria che altrimenti andrebbero perdute, per preservare e rafforzare una coscienza civile, un’identità lacerata e depotenziata dalla spazzatura della modernità. Pochi titoli, ma impassibili al tempo.
 
Come questa autobiografia di Vanzetti (Villafalletto, Cuneo, 1888), scritta nel 1921, in carcere, quando ancora il suo destino e quello di Nicola Sacco (Torremaggiore, Foggia, 1891) entrambi emigranti anarchici (si erano conosciuti nel maggio 1917), appariva già segnato dalla condanna a morte.
Il suo crudo realismo piacque a venti giornali americani, che la pubblicarono, in Italia apparve sul quotidiano anarchico “Umanità Nova”.

L’America ebbe paura di loro. Accusati di rapina e duplice omicidio a South Baintree, la giustizia non si fermò, il processo non fu rivisto nonostante il mondo intero (non l’Italia fascista, ci mancherebbe altro) lo chiedesse a viva voce da ben sette anni.
 
I due operai si erano politicizzati nella “Terra Promessa” avvicinandosi al pensiero anarchico e nell’America della grande crisi economica (il 1929 era nell’aria) scattarono i meccanismi difensivi del sistema e dell’establishment economico e culturale. Due anarchici italiani (Sacco operaio calzaturiero, Vanzetti pescivendolo) erano i capri espiatori più facili da offrire all’americano disperato, sfatto dalla crisi, che faceva la coda per un lavoro qualunque, per distrarlo. Solo mezzo secolo dopo (1977) la democrazia americana farà autocritica, ammettendo l’errore giudiziario. Per quel che serve…
 
Toccanti le autodifese dinanzi a un tribunale sordo a ogni dato oggettivo, alle testimonianze e a tutti gli appelli del mondo e degli uomini liberi (anche dopo l’esecuzione ci furono manifestazioni in tutto il mondo). L’America ci fece una pessima figura. Vanzetti, peraltro, ricorda alla corte le lettere del padre (“è in buone condizioni economiche”), che lo invita a tornare a casa e a dedicarsi alle loro terre, insieme alla famiglia (sono inedite). Quindi era emigrato per spirito d’avventura, non per bisogno. (“Non ho ucciso, né ferito, né rubato mai…”),       
 
Un libro da leggere avidamente, anche per specchiarsi – in tempi di relativismo di valori e di ideali, e di inciuci e larghe intese – nelle vite di uomini che avevano una coscienza politica e un’etica non barattabile. Sullo sfondo vedrete minacciosa l’ombra della miseria infinita e del sudiciume dei nostri anni.
      

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