Catena Fiorello: «'Tutte le volte che ho pianto', un romanzo dedicato alle persone che hanno il coraggio di far venire fuori le lacrime»

di NICOLA RICCHITELLI – Nel ventoso weekend che si è appena concluso ha presentato nella sesta provincia pugliese – Trani, Bisceglie e Molfetta – la sua ultima fatica letteraria, “Tutte le volte che ho pianto”, e quindi la storia di Flora protagonista del romanzo. 

Flora - 36 anni - sta tentando di riprendere il controllo della sua vita dopo che il matrimonio con Antonio è naufragato in seguito all’ennesimo tradimento di lui. Eppure Flora non riesce a dimenticarlo. La sua vita è già complicata, con un bar da gestire, una madre anziana che non si è mai ripresa dalla morte di Giovanna, la sorella di Flora, bella e carismatica, morta a vent'anni in un tragico incidente. 

E adesso Flora trema vedendo che la figlia Bianca, per uno strano destino, desidera diventare attrice proprio come un tempo Giovanna. Ma un giorno arriva Leo che con i suoi modi affascinanti si insinua pericolosamente nei pensieri di Flora.

Nell’occasione abbiamo avuto modo di fare alcune domande alla scrittrice siciliana Catena Fiorello, oggi ospite del nostro spazio dedicato alle interviste.

"Tutte le volte che ho pianto", a chi è dedicato? 
R:«E’ dedicato a tutte le persone che hanno il coraggio, invece, di farle venire fuori le lacrime, anche se non è solo questione di coraggio, ma è anche questione di avere la forza per far sì che ciò avvenga, a me ad esempio è da qualche anno che questa forza non c’è». 

Cosa rappresenta per te questo libro? 
R:«Questo libro rappresenta – così come ho avuto modo di dire in occasione della prima presentazione del romanzo Vera Slepoj, secondo me la più grande psicoterapeuta italiana, comunque tra le più grandi  - un cambiamento radicale della mia persona, totalmente, è stata lei a prima a farmi credere che in effetti questo cambiamento ci sia stato. Lei mi ha detto: “Catena, questo è il romanzo del tuo cambiamento personale”, ed in effetti è stato proprio così, mi sono liberata di alcuni residui, di fatiche interiori, di dolori miei, che mi tenevano legata al passato, è sto diventando, forse una donna libera…».  

E il pianto? Cosa rappresenta per la vita di un uomo? 
R:«Il pianto è come un lavaggio, rappresenta un lavaggio di tante situazioni di tante situazioni emotive che creano tensioni, è come se ci si buttasse dell’acqua sopra, attraverso questo liquido che sgorga dagli occhi, quindi usando una metafora, è un lavaggio dei propri dispiaceri, che con il pianto vanno via».

E per te? Cosa rappresenta per te questo momento? 
R:«Io vedo il pianto come l’ultimo step per emanciparsi, staccarsi in qualche modo da eventi che ci tengono legati al passato. Noi dobbiamo usare il passato, come occasione per avere imparato qualcosa, ma è altresì vero che non possiamo costruire la dimensione della vita, rimanendo legati a quel passato, questo non va bene - anche questo dice Vera Slepoj, quando chiacchieriamo tra di noi – le cose che ci hanno fatto male, bisogna seppellirle, e bisogna averlo il coraggio di farli certi funerali». 

Quali le analogie tra Flora - protagonista del libro - e Catena Fiorello? 
R:«Secondo me quelle di non tirarsi mai indietro davanti a queste situazioni, siano esse di pericolo, di dolore, di sofferenza, o dove ci si deve mettere in gioco sfidando qualcuno. Io sono sempre stata una che ha guardato anche il nemico negli occhi, anche persone che mi hanno fatto del male, e nello stesso modo riesco a stare sempre con la faccia rivolta verso gli altri e a non abbassare mai lo sguardo,. Io ho paura di chi abbassa lo sguardo…».   

Quante Flora hai conosciuto nel corso della tua vita? 
R:«Flora è l’immagine delle donne di tutti i giorni, donne che incontriamo tutti i giorni, al supermercato, in palestra, dal parrucchiere, per strada, ad aspettare l’autobus sotto le pensiline, lungo la metropolitana, dire Flora significa dire tutte queste donne che sono così normali ma così straordinarie, donne da cui vengo sempre affascinata, perché è la normalità che crea situazioni bellissime, ed è lì che io vado a cercare materiale per il mio lavoro».

Quale la scintilla che ti ha messa dinanzi a delle pagine bianche da riempire? 
R:«La scintilla è stata osservare in un bar di Lecce, una signora che serviva al banco, un bar in cui vado spesso – situato nel centro storico,  la proprietaria si chiama Patrizia – io osservavo questa donna, poi lei si è avvicinata a me, mi parlava, chiacchieravamo, poi lei si è scoperta essere amica del mio compagno ai tempi di quanto erano ragazzi. In queste chiacchierate lei raccontava la sua vita, le sue cose, il suo amore - tra l’altro lei era comproprietaria del bar con il suo compagno – quindi mi sono detta che quello di avere un bar era un bel mestiere, ti dà modo di ascoltare e di parlare con i clienti delle proprie cose,. Lì ho scoperto una donna profonda, intensa, e mi sono innamorata prima del personaggio della proprietaria del bar, e poi a questo personaggio ho voluto dare il carisma di Flora, che è quello di una persona che non nasconde la propria emotività, così come anche la propria fragilità, perché poi come vedremo quella fragilità altro non sarà che il coraggio di essere se stessi».     
Cosa vogliono lasciare al lettore le pagine di questo romanzo?
R:«Vogliono lasciare un memento, un solo memento, abbiate il coraggio di piangere, queste lacrime non trattenetele dentro, perché si sedimentano e diventano blocchi di cemento che vi faranno del male, come hanno fatto del male anche  a me, piangete, l’ultima frase del mio libro è proprio questa, piangete, lasciatevi andare e non rimpiangete nulla».  

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