Alessandro Argentina: 'Museo della civiltà contadina e non solo'

di GRAZIA STELLA ELIA - Alessandro Argentina è un artista completo (fotografo, pittore, poeta, scenografo, restauratore di dipinti ad olio e di sculture in legno e cartapesta, ritrattista di famosi personaggi) che mi aveva già stupita quando, giovanissimo, nel 1994 aveva pubblicato con Levante editori di Bari un volume che, ora come allora, definisco un piccolo prezioso gioiello, per contenuto e manifattura, dal titolo ‘Francavilla Fontana- Ricordi’, in cui palesava la sua passione e grande abilità per la fotografia dei Maestri senza tempo. So che il libro, esaurito, ha ricevuto molti premi e che «...tutto rifinito a mano con custodia di cartone doppio pressato, oggi difficile ed oneroso da rieditare…», sono parole dell’editore.

Quando il giornalista Gianni Cavalli, uno dei fratelli che da vita alla Levante, mi ha donato un piccolo speciale volumetto, pubblicato da Schena Fasano, il cui titolo Museo della civiltà contadina - Francavilla Fontana ha catturato la mia attenzione, non ho potuto fare a meno di notare che era curato dallo stesso Argentina del ‘librone’ di cui sopra ( solo con Levante avviene che regalino libri non propri e che stimolino a recensirli : Signori d’altri tempi, come le foto e gli attrezzi di cui vi parlerò), per cui mi occuperò con infinita partecipazione del Museo, essendo studiosa di tutto ciò che riguarda la vita e le opere dei nostri predecessori. Chi fa nascere un museo etnografico deve raccogliere, ordinare, studiare l’eredità storica, linguistica e folclorica di un luogo e di una collettività, deve cioè conservare e far conoscere gli usi e costumi della gente del posto e non solo. Un museo etnografico, silenzioso eppure decisamente espressivo, racconta i mestieri, le opere, gli arnesi di lavoro, la religiosità, la vita quotidiana degli avi, improntata alla laboriosità, al sacrificio e spesso agli stenti. 

Questo Museo di Francavilla Fontana, ricco quant’altri mai di oggetti del mondo agricolo, artigianale e sociale, si pone quale brillante esempio da imitare, perché spesso la saggezza matura troppo tardi e tutto rischia di cadere tristemente nell’oblio, se non addirittura nella scomparsa di oggetti notevolmente documentari di un passato che a tutti appartiene. In questo caso la raccolta è sfociata in una esposizione a regola d’arte nel 1986, per opera di un professore innamorato della storia dei contadini della sua terra, Alessandro Argentina, il quale per molti anni ha fatto leva sulla sua grande passione, per giungere ad una formidabile raccolta di “pezzi” del mondo contadino. Per ospitare degnamente questo importante Museo, egli ha usato tutti i sottani del palazzo di famiglia: Palazzo Argentina, appunto, rinunciando ad ogni tipo di profitto, pur di vedere realizzato il sogno di un contenitore ampio, elegante e accogliente, che ospitasse una miriade di oggetti, gratuitamente fruibili da ogni visitatore. 

Il Museo consta di varie stanze che si diramano da un cortile interno, tutte organizzate secondo un sistema tematico. All’ingresso è possibile osservare numerosi carretti e calessi; poi lo sguardo può posarsi su gabbie per uccelli e piccionaie. A seguire la cucina, la sala dedicata al lavoro femminile della tessitura, un’osteria fedelmente ricostruita con tavola e panche originali e tutto quanto riguarda la lavorazione dell’uva con i relativi sistemi di misura. Proseguendo, si entra in una stanza che contiene selle, finimenti, attrezzi per cavalli. Vi sono poi le stanze con oggetti e attrezzi tipici del lavoro del fabbro e del ceramista (la ceramica è un’attività tipica e peculiare di Francavilla Fontana, per giunta Argentina è un virtuoso di dipinti a sfondo sacro su maiolica, tipo quello che illustra questo mie note). Si tratta dunque di un Museo gestito privatamente, aperto tutto l’anno, del quale il professore Alessandro Argentina deve andar fiero, poiché egli, esperto non solo di di fotografia d’epoca ma di costume e di ambiente, oltre che della linguistica e delle radici del suo popolo, è riuscito a compiere un’operazione culturale e sociale di enorme portata. 

Ma veniamo al libro, che è uno scrigno di sapienza e memorie; un libro particolare, perché, oltre a contenere numerose pagine ricche di immagini, contiene anche informazioni di carattere demologico e testi poetici in lingua e in dialetto di tutto rispetto, scritti da Alessandro Argentina e da altri autori. Pregnanti, sapide, straordinarie le poesie in vernacolo, specialmente quella dal titolo La terra meje, che mi hanno dato, unitamente alla condivisione, una forte emozione. Si riscontra quindi una trattazione variegata, fondata su studi approfonditi ed anche su reiterati incontri con le persone anziane, testimoni di una vita povera, ma ricca di dignità e fortemente legata agli antichi valori.

Alessandro Argentina, nel condurre la realizzazione di una imponente struttura materiale e linguistica, ha messo a partito tutte le sue qualità di professionista, conoscitore della lingua che ancora si parla nella Grecìa salentina, di storia e di etnografia del popolo di sua appartenenza. Egli può dire, con Orazio: Exegi monumentum aere perennius (Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo). Gli usi e costumi rivivono in una trama di cultura contadina, le cui testimonianze, salvate dalla devastazione e risorte nel contesto museale, danno voce ad un passato che merita di vivere nella mente e nel cuore di un’intera collettività. Trovo pertanto questo libro meraviglioso non solo per le immagini, ma anche per la maniera fantasiosa ed inedita in cui gli attrezzi sono descritti, intervallandoli con poesie, proverbi e cantilene. Esco da questa lettura arricchita e presa dal desiderio di visitare il Museo di Alessandro Argentina, per esprimergli tutta la mia stima ed ammirazione.

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