'Pelè “O Rey”': la recensione

di VALTER CANNELLONI - La prima biografia che il cinema dedica al più grande calciatore di tutti i tempi, il brasiliano Edson Arantes do Nascimento, detto Pelè. Dall'infanzia tribolata fino all'esplosione ai Mondiali di Svezia del 1958, il film ripercorre la fase iniziale della carriera di Pelè, la nascita di una leggenda, come recita il titolo originale.
 
Tutto ha inizio a Bauru, uno sperduto paesino del Brasile. Qui, un ragazzino che gioca scalzo e che ha il football nel sangue (gene ereditato dal padre Dondinho, ex giocatore tradito da un infortunio e ora umile inserviente in una clinica ospedaliera), si fa notare dal lungimirante talent-scout Waldemar de Brito che lo vorrebbe convincere a effettuare un provino con il Santos, una delle più forti squadre del Paese.
 
Ma la mamma vuole che il bambino studi, per non fare la fine del papà, rovinato dal calcio, e declina l'offerta del manager. Passano gli anni, e il bambino è diventato un adolescente: papà Dondinho ha continuato in segreto a nutrire il talento calcistico del figlio. Lo ha  allenato con metodi alla buona, usando frutti di papaya come palloni, per migliorare la sensibilità dei piedi del ragazzo. Quando la mamma scopre il segreto tra i due, e prende atto della passione incredibile del figlio per il calcio, convoca personalmente Waldemar de Brito e gli chiede di condurre l'adolescente al provino.

Il futuro Pelè viene accettato nelle giovanili del Santos, ma non sono tutte rose e fiori. Gli allenatori considerano il suo gioco primitivo, e il ragazzo ci mette del suo, fino a prendere la decisione di smetterla con il calcio e di tornare a studiare.

Mentre sta aspettando il treno che lo riporterà al paesello natio, Waldemar de Brito, che lo ha seguito, gli narra, per convincerlo a restare, la storia della “ginga”, l'antica danza di guerra praticata nel 1600 dai deportati africani in Brasile e poi sublimata nel gioco del calcio. “Tu la ginga ce l'hai dentro”, gli dice il buon de Brito, e il ragazzo si convince a rimanere.
 
Da quel momento, la sua esplosione è esponenziale: nelle giovanili del Santos Edson Arantes segna quattro gol a partita, e il posto in prima squadra è suo. Anche qui, il campionario messo  in mostra è straordinario: finte, tunnel, dribbling, palleggio sontuoso ne fanno la rivelazione del calcio brasiliano, tanto che, a sedici anni viene clamorosamente convocato con la Selecao per la Coppa del Mondo del 1958, che si svolgerà in Svezia.
 
Per il Brasile c'è sempre da vendicare l'umiliante “Maracazo”, la bruciante sconfitta del 1950 al Maracanà, stadio di casa, contro gli odiatissimi rivali dell'Uruguay, e l'eliminazione  nell'edizione del 1954 contro la fortissima Ungheria.
 
Il gioco dei carioca, però, viene giudicato da tutti troppo indisciplinato e istintivo. Le squadre europee sono più tattiche e organizzate, e poi nessuna selezione sudamericana ha mai vinto un titolo nel Vecchio Continente nella storia della Coppa del Mondo.
 
Edson Arantes,  proprio sul più bello, si infortuna a un ginocchio: lo porteranno ugualmente in Svezia, sperando in un suo miracoloso recupero. Del resto, il posto in squadra non sarebbe stato assicurato: nella rosa ci sono fior di campioni, come Didì, Vavà, Garrincha (l'ala destra con una gamba più corta dell'altra) e soprattutto Josè Altafini, detto “Mazzola” che gioca nello stesso ruolo del futuro Pelè e che è l'indiscusso titolare.
 
Il Brasile va avanti nella competizione, ma una raffica di infortuni, tra cui quello di Altafini, costringe l'allenatore Feola a cambiare i suoi piani. Edson Arantes esordirà ai Mondiali a diciassette anni. Nella semifinale con la Francia, quello che è diventato per tutti Pelè, utilizzando un nomignolo denigratorio che gli era stato affibbiato  da bambino proprio da Josè Altafini, segna tre gol che portano il Brasile alla finalissima contro i padroni di casa della Svezia. 
 
Prima della partita conclusiva, il buon coach Feola imbottisce i suoi ragazzi di alchimie tattiche e di lezioni tecniche, ma poi capisce che quei funambolici campioni devono giocare il loro calcio divertente e spensierato: vinceranno o perderanno giocando quel gioco, “La ginga è con noi” tuona Pelè nello spogliatoio, e il ”fotbal bailado”sarà alla base del successo in finale e resterà per sempre nell'immaginario collettivo del calcio.
 
Il Brasile batte per cinque a due la Svezia, e Vavà e Pelè segnano due gol a testa. E' l'apoteosi, l'inizio di quel ciclo d'oro che porterà i carioca a vincere per tre volte la coppa Jules Rimet e a portarsela a casa definitivamente.
 
“O' Rey”, come ormai tutti chiamano Pelè, è il protagonista indiscusso di quel momento magico e i titoli di coda ne ripercorrono il palmarès impressionante: eletto Tesoro Nazionale dal Presidente della Repubblica brasiliana nel 1961, nominato miglior atleta del secolo dal Comitato Olimpico Internazionale, più giovane calciatore ad aver segnato ai Mondiali, unico ad aver vinto tre edizioni della Coppa del Mondo (Svezia 1958, Cile 1962, Messico 1970), 1283 gol segnati in gare ufficiali.
 
Come tutta l'infanzia del nostro eroe, anche le origini sul nome di Pelè si confondono nella leggenda: con ogni probabilità, come detto, fu il piccolo e facoltoso Josè Altafini ad affibbiargli quel soprannome mentre giocavano insieme nelle favelas, ma è certo che per quel ragazzino che si esibiva scalzo c'è di che essere fieri: Pelè è diventato il simbolo e l'orgoglio di un intero Paese, il Brasile, e di un intero sport, il calcio. Da sottolineare come nel film appaia, in un brevissimo cameo, lo stesso Pelè (che è anche produttore della pellicola) nel ruolo di un cliente dell'albergo che ospita la Nazionale brasiliana in Svezia.

Pelè, Birth of a legend.
Regia di Jeff Zimbalist e Michael Zimbalist, sceneggiatura Jeff Zimbalist e Michael Zimbalist, scenografia Matthew Libatique, musica A. R. Rahman.
Interpreti: Kevin de Paula, Leonardo, Lima Carvalho, Seu George, Vincent D'Onofrio, Diego Boneta, Pelè.
Produzione: USA 2016. 
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