Ovidio, Verdi e la Madonna del Belvedere di Carovigno


LIVALCA -
In tempi ormai lontani scrissi qualcosa sul termine “leggenda” sollecitato da un amico di mio padre che ‘contestava’ alcune affermazioni riportate nel libro di Saverio La Sorsa «Leggende di Puglia» (Levante, Bari, 1958). Questa persona mi ‘ricordava’ che ‘legenda’ era neutro plurale del gerundivo (aggettivo verbale che esprime ‘dovere’) latino da «lego-is-legi-lectum-legere» della 3 coniugazione e in sostanza significava “da leggersi” per cui ogni cosa che si scriveva doveva essere veritiera, perché poi altri l’avrebbero ‘letta’ come tale. 

Per fortuna il buon Ovidio (43 a.C.- 17) da Sulmona «Sia veritiera ogni tua manifestazione, ma se non può essere tale, fai in modo che sia almeno verosimile» con la saggezza della gente senza mezzi di comunicazione, ma con i rapporti personali come metro di giudizio, aveva già anticipato un pensiero valido anche per il nostro secolo. E’ bene precisare che in origine il termine leggenda si riferiva alla vita dei martiri e santi, le cui imprese venivano lette nel giorno della festa loro dedicata. Poi nacquero i Legendarius, ossia i volumi in cui erano narrate le gesta di questi ‘benefattori’. Spesso questa enfasi con cui venivano ricordati fatti immaginari e fantastici non era priva di una se pur minima base storica. Un esempio? Si racconta che il 10 agosto del 1913 andò in scena, per la prima volta all’Arena di Verona, l’«Aida» di Giuseppe Verdi, opera in 4 atti, tratta dalla novella egiziana di Auguste Mariette, su libretto di Antonio Ghislanzoni dal testo del francese Camille Du Locle (Giuseppe Triggiani, Il Melodramma nel mondo 1597-1987, Levante,Bari 1988).

Si narra che giunsero per presenziare allo straordinario evento personalità da tutto il mondo e che i ‘bagarini’ ebbero giornate di grande movimento (otto repliche previste e tutte al gran completo !). Tra i fortunati presenti con Giacomo Puccini, Pietro Mascagni, Arrigo Boito, gli editori Ricordi e Sonzogno, anche un giovane giunto da Praga come inviato che aveva un nome sconosciuto ai più: Franz Kafka. Fra tanta nobiltà giunta da tutta Europa spiccava una curiosa novità: l’orchestra diretta dal Maestro Tullio Serafin annoverava, come arpista, la contessina Elena Rizzoni. I cronisti dell’epoca scrissero che le salumerie furono prese d’assalto e una di esse vendette 1000 fiaschi di vino e una tonnellata di prosciutto. Il passaggio dal piccolo fatto storico (vino e prosciutto fu senz’altro acquistato da una parte degli estimatori di Verdi, che oggi potremmo definire il ceto medio) alla leggenda (quale salumiere poteva avere come scorta tale abbondanza di prodotto?) non è obbligatorio ma potenzialmente possibile…in assenza di realtà, si può ‘perpetuare’ ogni cosa possibile.

Anni fa sbagliando (non avevo il navigatore, ma anche se ci fosse stato…voglio errare senza l’aiuto di un estraneo) strada nei pressi di Carovigno la mia attenzione fu attirata da un cartello in cui era scritto ‘Madonna del Belvedere’ e subito mia moglie mi invitò a seguire l’indicazione. Un posto bellissimo in cui la pace e la tranquillità regnavano sovrane. Era in pieno agosto e, in quello spiazzo lindo e senza anima viva, faceva bella mostra di sé una fontana con la scritta non potabile. All’interno della piccola chiesetta, che poco si conciliava con la maestosità (in termini di ampiezza) della parte esterna, non vi era nessuno, ma una voce gentile, quasi un’eco, che proveniva da una grotta che emergeva dalla destra di chi entrava, disse qualcosa.

Mia moglie, curiosa per natura ai limiti dell’incoscienza, scese rapidamente (lei agile e magra per vocazione) le ripide scale e sparì dietro una curva. Le scale, sempre più a forte pendenza, la portarono fino a terra, dove trovò la signora della ‘voce’ che aveva recato fiori freschi alla Madonna. Angela subito gridò: «Gianni non scendere è troppo erta e pericolosa per le tue condizioni fisiche», con questa affermazione sapeva di ‘costringermi’ ad intraprendere la china. Con grande bravura mi fermai alla prima curva e attesi la sua risalita accompagnata dalla signora. Questa donna, con un fazzoletto in testa e una leggera giacca da uomo sulle spalle - in effetti giù l’aria era fresca - mi invitava (più una deduzione la mia), in un dialetto non semplice da capire, a completare la mia visita. Angela per togliermi dall’imbarazzo accompagnò la signora sopra e poi mi raggiunse. Chiaramente mia moglie aveva parlato con la solitaria visitatrice che doveva abitare nei paraggi perché era venuta a piedi.

Tornato a casa cercai tra le mie carte degli appunti che riguardavano la Madonna del Belvedere di Carovigno, che avevo passato molti anni fa al Prof. Gino Pastore che, nato a Triggiano, vive da sempre a Capurso e ha pubblicato una ventina di libri di argomento storico molti interessanti, di cui parecchi con la casa editrice Levante. La fonte delle mie notizie era proprio il libro di La Sorsa citato all’inizio (Ho prestato questo libro nei giorni della Fiera del Levante del 2015 ad una persona che non vedo dagli auguri di Natale del 2019 e che non risponde più alle mie chiamate. In quel libro La Sorsa aveva scritto qualcosa per mio padre Mario e sono stato ‘leggero’(ai limiti della ‘stupidità’) nel compiere l’operazione. Nella mia vita ho regalato migliaia di libri e sono contento di averlo fatto, ma se trovo questo testo su qualche bancarella potrei…).

Vi esporrò velocemente solo la sintesi della leggenda. Un ricco possidente della zona di Carovigno non poteva muoversi con le proprie gambe e questo era il suo cruccio maggiore, ma una notte ebbe in sogno l’apparizione della Madonna che gli diceva: «Se mi trovi, guarirai». Trascorreva intere giornate a perlustrare la zona, aiutato dai suoi contadini, ma nessun posto pareva avere affinità con quello del sogno. Un giorno la campagna perlustrata gli parve avere dei riscontri con quella del sogno e spinse i suoi assistenti ad inoltrarsi verso l’interno dove, improvvisamente, vide una piccola folla che circondava un fosso, ne chiese il motivo e gli fu risposto che una vitella vi era caduta. Subito mandò nella grossa buca il suo contadino più giovane e forte affinché gli desse notizie dell’accaduto. Tornato dal padrone riferì che la vitella era rimasta in ginocchio davanti all’immagine di una bella Madonna, per cui l’uomo, senza esitazione, si fece calare dai suoi contadini giù e, con gioia e stupore, constatò che la Madonna era la stessa del sogno. Piangendo si prostrò davanti a quell’immagine e dopo pochi istanti si alzò: era guarito.

Quest’uomo fece costruire una chiesa e pulire la zona in modo che la grotta potesse essere visitata da tutti. La contrada del ritrovamento era chiamata Belvedere e fu naturale estendere tale nome alla Madonna.

L’uomo euforico, noto già per trattare bene i suoi collaboratori, diventò ancora più magnanimo e quello che era ritenuto il capo dei suoi contadini per la gioia lanciò in aria una bandiera facendo ‘germogliare’ l’usanza di gettare l’insegna: era nata la festa della Nzegna di Carovigno.

Lo scorso anno, sempre in agosto, siamo tornati a visitare la Madonna scendendo fin giù: un posto magico, incantato, un paradiso. Mi è parso irriverente chiedere una grazia come il possidente, mi sono limitato - memore degli insegnamenti paterni - a precisare che mi va bene non peggiorare. In verità mia moglie conoscendo le mie, mai nascoste, debolezze temeva chiedessi di fare rientrare il libro di La Sorsa secondo quella teoria secondo cui, spesso, il vero miracolo riguarda quello che non è… successo.


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