Federico II di Svevia, Pier delle Vigne e «Il grande segreto» di Dell’Aere - Rescio


LIVALCA
- Pier delle Vigne (caro Enzo va bene anche Pier della Vigna, ma come ho sempre affermato in questi anni sono plurale costituzionalmente a partire dal cognome) è nato a Capua in un anno che non posso specificare di preciso, ma, essendo morto a San Miniato nel 1249 non ancora sessantenne, penso di aver indirizzato bene i vostri calcoli. Ben presto le qualità indiscusse di questo insigne giurista furono notate da Federico II (i ‘maligni’ - ci sono sempre stati in ogni epoca - affermarono che fu la bellezza sconvolgente della moglie di Pier a fare la differenza…come scoprirete nella seconda leggenda sotto riportata ) che lo pose a capo della cancelleria imperiale come notaio. Da subito il nostro rivelò doti da provetto politico e diventato giudice della Magna curia, fu attivissimo membro del gruppo che compilò la «Costitutiones regni utriusque Siciliae». La carriera era in continua ascesa come anche il suo prestigio personale tanto che era il maggiore promotore della vita culturale di quei tempi: i celebri “cenacoli federiciani”.

Molti importanti funzionari, messi da parte dall’esuberanza del braccio destro di Federico, non mancarono di mettere in giro voci che attestassero come gli onori e le prebende della famiglia di Pier delle Vigne fossero aumentati in maniera considerevole. Bisogna dire che Federico II da quando ricevette onori, che oggi potremmo definire accademici, per aver promulgato le Costituzioni nel Parlamento generale di Melfi (1231, le Costitutiones prima citate!) vide accrescere non la popolarità, già enorme, ma la stima personale. Il mio amico, attuale imperatore di Melfi, ora direbbe che le norme del codice legislativo furono raccolte nel «LIBER AUGUSTALIS» dove il giurista di Capua fu affiancato da Michele Scoto, Roffredo di Benevento e Giacomo Amalfitano, ma io non vi dico niente e…

Pier delle Vigne era diventato così ‘intimo’ con Federico da dipanare anche problemi che, definire di cuore, sarebbe una gratuita offesa per gli affetti. Le «Leggende di Puglia» di La Sorsa (Levante, 1958) ci regalano due ‘chicce’ dedicate a Federico II di Svevia. Racconta lo storico di Molfetta (1877-1970) che l’imperatore avesse perso la testa per una “damigella di alto lignaggio” a tal punto da colmarla di doni principeschi. Federico spesso si allontanava per lavoro e, alcune invidiose ‘spodestate’ dei loro privilegi, misero in giro una diceria che vedeva un paggio nuovo amore della signora. Senza nessuna prova concreta l’imperatore fece rinchiudere la sventurata in una stanza del castello di Gioia del Colle. Passarono i mesi e nacque un bambino che la levatrice definì ‘essere una goccia d’acqua dell’imperatore’. Fu Pier delle Vigne, mesi dopo, a portare il bambino da Federico affinché riscontrasse, oltre la somiglianza, un neo che entrambi, piccolo e figlio di Costanza D’Altavilla, avevano nello stesso punto.

Dicitur che la seconda leggenda di La Sorsa vada inquadrata proprio nel periodo in cui i rapporti fra l’imperatore e il suo aiutante fossero messi a dura prova dall’invidia che aleggiava loro intorno. A questo punto il noto grecista mio amico ci propinerebbe Eschilo «Non è felice l’uomo che nessuno invidia», ma lo sguardo della dolce Angela, dolce al 50% come tutte le ‘Angele’ nate nei paesi ‘caldi’, gli ‘Gela’ - luogo in cui morì nel 456 a.C. il tragico greco autore di più di 70 drammi - il sangue e si trasforma in «Sfinge» che, oltre ad essere un dramma satiresco di Eschilo, è il modo di interpretare la vita del Giuseppe Verdi di Maglie.

Pier delle Vigne, si racconta, acquistò un intero palazzo di fronte al castello dell’imperatore per essere sempre disponibile alle richieste continue del sovrano. A quelle finestre o balconi si affacciava spesso la più bella donna del reame che era ( un semplice caso ?) anche la moglie del rimatore (Pier era tenuto anche in grande considerazione per i suoi sonetti di natura amorosa ‘Però ch’Amore no se po’ vedire’). Per farla breve Federico anelava ardentemente vedere ‘in tenuta adamitica’ la donna e riuscì a corrompere una delle tante cameriere della signora in modo che lo aiutasse nell’impresa. La signora era solita riposare dopo il pranzo e la cameriera avrebbe sciolto nella bevanda una sostanza che la facesse dormire profondamente.

L’imperatore mandò Pier in missione e si accordò con la sua complice. Messa a letto la signora, la cameriera guidò il suo ‘complice’ fino alla stanza in cui riposava la padrona e lasciò soli i protagonisti della storia. L’idea dell’imperatore era quello di sollevare le lenzuola e vedere… La cameriera rimasta a ‘controllare’ sentì uno scalpitio di cavalli e intuì immediatamente che il suo ‘zelante’ padrone fosse già di ritorno. Avvertito subito l’imperatore, questi dovette allontanarsi non certo dalla porta principale. Non a caso si dice ‘ che il diavolo fa le pentole e non i coperchi’, infatti Federico nella sua missione si era tolto il guanto e lo aveva posato sul comodino, ma avendolo dimenticato lasciò una prova senza appello.

Perché senza appello? Il guanto di un imperatore ha ricamato sul rovescio la corona pertinente, ossia nome e cognome. Per giunta la moglie, causa la bevanda alterata, si svegliò tardi, dimostrando ‘stanchezza’. I rapporti non solo tra marito e moglie, ma anche tra imperatore e uomo di fiducia peggiorarono. Federico, da colpevole solo nelle intenzioni, decise che ci voleva una grande festa per ridare dignità ad un triangolo con due…lati. Durante la festa la moglie di Pier delle Vigne fece un brindisi e sussurrò proprio agli interessati che le erano vicini: Vigna ero, e vigna sono/ ero putata, e ora non sono/vorrei sapere l’occasione/ come perdetti la mia stagione.

Il marito colpito nel suo profondo , essendo un provetto rimatore, rispose: Vigna eri e vigna sei/eri putata ed ora non sei/per il guanto del barone/ tu perdesti la stagione. A questo punto Federico toccato nel suo amor proprio, ritagliatisi alcuni minuti per pensare senza assistenza, confessò: E’ vero che alla vigna entrai/ e che le lenzuola sollevai/Ma giuro per la corona che ho in testa/ che non toccai né pianta né cresta. Chiaramente a corte nessuno capì niente, oserei dire come sempre, ma il triangolo seppe la verità. Nonostante il chiarimento i rapporti non tornarono mai più come prima e tornerò presto sull’argomento per chiarire che non solo le storie dei comuni mortali finiscono senza lieto fine, ma anche quelle dei ‘reali’.

Per chi non si ferma alle leggende, ma vuol sapere notizie di storia tramandata, mi permetto di segnalare alcuni volumi:«IL SEGRETO di FEDERICO II di SVEVIA:L’ULTIMO FARAONE» di VINCENZO DELL’AERE, GIUSEPPE FARINA, PETER J. OSBORNE (Levante Bari, 1998) e «IL GRANDE SEGRETO. Dallo Zep tepi ai templari e oltre» a cura di PIERFRANCESCO RESCIO e VINCENZO DELL’AERE (Levante Bari, 2003). Il primo libro, ormai esaurito, è già illustrato dal titolo, mentre il secondo di oltre 600 pagine e quasi mille foto a colori è un viaggio nel tempo. Ci aiuta a capire quanto la conoscenza sia la consapevolezza di sapere alcune cose e la disponibilità e comprensione verso altre che potremmo non accettare, ma che abbiamo il dovere di esaminare ed approfondire con l’aiuto della scienza. Il libro di Dell’Aere-Rescio mi fa tornare in mente il pittore alemanno (questa scorribanda in Germania mi consente di precisare che il volume di Dell’Aere, Farina, Osborne fu tradotto nel 1999 in tedesco da Brigitta Flau e pubblicato da Levante lo stesso anno) Lucas Cranach il Vecchio che, in un generoso e sfarzoso dipinto, raffigura “L’albero della conoscenza del bene e del male’ con tale maestria che ogni commento può essere attinente o superfluo.

Del pittore Crunch si può ammirare a Monaco una «Crocifissione» del 1503 in cui al centro delle croci si trovano la Vergine e San Giovanni, figure monumentali, come imponente è il libro «Il grande segreto» che si pone al ‘centro’ lasciando al lettore la facoltà di seguire il canovaccio o procedere per altre strade, aiutati dal fatto che vi sono riproduzioni in cui gli autori cercano di decifrare documenti, ma lasciano libero, colui che lo consulta, di seguire la sua scienza. Di Cranach mi piace il suo volere indicarci una strada, che a volte può essere una morale, senza bisogno di scrivere niente. Non un invito, ma un consiglio di quelli che non costano e sono innocui: provate a rintracciare il dipinto noto come «Venere con amore che ruba il miele» e contemplatelo per 88 secondi. E’ garantito che dipenderà dalla vostra abilità-perizia trasformare il miele in mele e non…’fiele’. Ora potrei dirvi che Roberto Giacobbo e Vittorio Sgarbi si sono occupati di questi libri, ma mi limito a dire…anch’io.

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