Da Omero a Gianni Brera, storia e leggende degli “agoni”

FRANCESCO GRECO - Quando nell’Iliade Achille si dispera perché Ettore ha ucciso Patroclo, che aveva indossato la sua armatura, e dopo aver acceso la pira, per onorare l’amico, indice i giochi detti “agoni”, con ricchi premi e onori, non sa che traccia l’inizio di qualcosa che andrà avanti per secoli e millenni. Ma l’eroe omerico ignora forse che si tirava di pugilato già presso gli Assiri e gli Egizi (2000 a.C.). 

A Creta al tempo di Minosse e Pasifae l’aristocrazia si cimentava nelle corse dei carri e dei tori. Il mondo greco (spirito dionisiaco), poi romano (panem et circenses, il pollice dell’Imperatore) e quindi medievale può esser letto anche attraverso le continue performance agonistiche.

 Da Troia a Olimpia sino agli stadi e i palazzetti dei giorni nostri, storie e leggende che Moris Gasparri (Jesi 1984) con dovizia di bibliografia narra in “Il potere della vittoria” (Dagli agoni omerici agli sport globali), Salerno Editrice, Roma 2021, pp. 264, € 18,00, prefazione di Federico Buffa.      

Incontriamo subito termini che hanno dato l’etimo a parole ancora oggi in uso: athla, agōn, etc. E l’idea di fondo che l’astuzia (mētis) conti più della pura forza fisica (Simone Weil definisce l’Iliade “il poema della forza”). 

Quando Nestore, ripensando con tristezza ai suoi anni migliori, catechizza il figlio che sta per cimentarsi nei giochi, per associazione di idee, torna in mente la manina di Maradona di Inghilterra-Argentina, ai mondali del 1986. 

Il teatro è immutato da secoli: c’è sempre un giudice (dallo stesso Achille al var) e il pubblico che incita l’uno o l’altro protagonista e si immedesima nella sua prestazione, oltre a mettere sempre in discussione il verdetto, ipotizzando ingiustizie e “complotti”.

 Ci sono stati tempi, nel Novecento, in cui lo sport fu derubricato quasi a oppio dei popoli, sottraendogli così un’oggettiva ricchezza semantica, una densa filologia, implicazioni etiche e sociologiche, metafore, allegorie, chiaroscuri, declinazioni, decodificazioni.

Che invece Gasparri individua e spiega con vastità di letture passando dalla pianura di Troia alla sabbia del Colosseo con i gladiatori e i carri che sollevano polvere al Circo Massimo, passando per le piazze medievali dove i cavalieri si mettono in gioco, sino alle piste di atletica, le candide nevi dei giochi invernali, gli stadi. 

Il pathos è sempre uguale d’intensità, lo schema prevede l’atleta in cerca di gloria, il transfert del pubblico che assiste alla performance, l’esito della gara oggetto di interpretazione: rigore si, rigore no, sospetti di doping, furbizie, narrazioni e altri aspetti che si muovono dietro le scene. Meccanismi che nel tempo hanno avuto soltanto impercettibili modifiche legate al progresso tecnico e scientifico. 

E chi l’avrebbe detto che anche Paolo di Tarso se ne occupò addensando di pedagogia lo sport mentre faceva opera di proselitismo del Cristianesimo in nuce?       

Gasparri ci regala un’opera deliziosa e sfaccettata, utile a capire ogni evento di sport, dal torneo di quartiere alle Paralimpiadi, dal Giro d’Italia alla Formula Uno: poiché, dove c’è qualcuno che scende in campo per provare a se stesso di potercela fare, bisogna solo fare silenzio e ascoltare il ritmo del suo cuore, che è anche il nostro.

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