Il pane: storia, curiosità e proverbi


VITTORIO POLITO
- Solitamente per qualificare una persona si dice “buono come il pane” perché non c’è pane che non sia buono, che non sia nutrimento per chi lo mangia. Il profumo del pane appena sfornato risveglia antiche sensazioni e attiva i nostri sensi: la vista con il suo colore, l’olfatto col suo profumo unico e inconfondibile, il tatto con la sua crosta ruvida o liscia, l’udito per la sua croccantezza e, naturalmente, il gusto con il suo sapore.

Con l’acquisizione della conoscenza della coltivazione dei cereali e delle tecniche di cottura, il grano è diventato per tutti i popoli l’alimento più importante. Già nell’antico Egitto si conoscevano circa 40 tipi di pane e di pasta e nelle formule per i sacrifici funebri si parla di “pane e birra” come alimenti fondamentali nell’aldilà. Nell’antico Oriente il pane non veniva tagliato ma spezzato, esprimendo in senso figurato il “mangiare insieme”. In sostanza venne dato il significato spirituale di un’azione sacra e, com’è noto, nel Nuovo Testamento si parla del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci in occasione di un evento.

Il pane è un alimento ottenuto dalla cottura in forno di una pasta lievitata preparata con farina di frumento (o di altri cereali), acqua e sale. Esso può assumere varie forme sia di grandezza che di qualità: filoni, pagnotte, rosette, ciabattine, pancarré, ecc. Per i cristiani vi è anche il pane per il nutrimento dell’anima: l’ostia consacrata o Eucaristia.

Le popolazioni non sempre hanno mangiato regolarmente pane. Non di rado il pane è stato un alimento di lusso sostituito, in montagna, dalla polenta di farina di castagne, detta anche “pattona”, mentre in pianura l’alternativa era la farina di mais o di granturco dalla quale si ricavava anche un tipo di pane. In certi luoghi alpini il pane era considerato un vero lusso, si faceva poche volte l’anno e si conservava per mesi, usando altri prodotti al posto del pane.

Il pane è citato anche in alcune canzoni di Baglioni, De Andrè, De Gregori, Bovio, D’Alessio, nel classico canto liturgico “Panis Angelicus” di Franck e nell’opera di Puccini “Suor Angelica”.

Il Pane, oltre ad avere la sua Giornata dedicata, per celebrare uno dei primi cibi lavorati dall’uomo, è ricordato anche nella preghiera del “Padre Nostro”: …dacci il nostro Pane quotidiano…”.

Il pane è presente anche nelle rappresentazioni pittoriche: la sua storia è descritta sulle pareti delle tombe, dei templi, nei papiri egizi, nell’iconografia religiosa come simbolo di carità, di raffinatezza, di abbondanza, di bontà. Nel Seicento quando la ricchezza dei banchetti ispira le più belle nature morte. Il pane compare in molti quadri accompagnando vari cibi. Anche nell’arte del nostro secolo il pane è protagonista: basterà ricordare René Magritte che nell’opera “La leggenda dorata”, immortala le baguette (una specie di filone di origine francese), in una rappresentazione di navi spaziali. Anche nella letteratura il pane ha un suo spazio. Solo a titolo di esempio, ricordo i “Promessi Sposi” di Manzoni, con due riferimenti: il “pane del perdono” che padre Cristoforo chiede al fratello dell’uomo che ha ucciso e “il pane della provvidenza” presente in molte pagine. Ma non dimentichiamo la fiaba che ha sempre un posto di rilievo nel nostro immaginario: Cappuccetto Rosso porta alla nonna un paniere pieno di focacce e Pollicino segna la strada con briciole di pane. Nel cinema il pane è citato come richiamo nei titoli: “Pane, amore e fantasia”, “Pane, amore e gelosia”, ecc.

Per non parlare della più famosa “Ultima Cena”, quella di Leonardo da Vinci, visitabile nella chiesa di S. Maria delle Grazie a Milano, ove Leonardo dispone tutti i soggetti dell’affresco di fronte allo spettatore, evidenziandone gesti ed espressioni del viso. Straordinaria l’attenzione ai dettagli della tavola: i numerosi pani appoggiati lungo tutta la mensa, le pieghe della tovaglia, ecc.

Curiosità

Il 27 aprile 1898 a Bari ci fu la rivolta del pane. Per i baresi era una giornata come tutte le altre, nessuno avrebbe immaginato cosa sarebbe successo più tardi. Nei pressi della Porta del Castello, detta Porta Napoli, a Piazza Mercantile o Piazza grande, molti lavoratori attendevano di essere ingaggiati per il proprio sostentamento e quello della famiglia. Quella mattina una popolana nata a Bari tra l’800 e il ’900, col soprannome “La mosce” (dovuto alla faccia butterata), moglie di un certo Loprieno (ferroviere), si recò ad acquistare del semolone, per preparare “Megneuicchie” e “Strascenate” (cavatelli ed orecchiette), la famosa pasta fatta in casa ancora oggi oggetto di succulenti e graditi piatti della nostra tavola. Entrata nel negozio di “Vagghie Vagghie”, soprannome della venditrice, per il lavoro di vaglio che faceva alla farina, dopo aver salutato, chiese il solito chilo di semolone a cinque soldi. Le fu risposto: «cinque soldi e due centesimi», invece di una garbata replica al suo saluto. E così iniziò nella mente della donna una serie di elucubrazioni, meditando una reazione, ma la venditrice, dopo attimi di silenzio, tentò di giustificare l’aumento del prezzo del semolone in maniera un po’ sprezzante. «Se volete mangiare e riempire lo stomaco, pagate l’aumento, diversamente mangiatevi la crusca» e, nel contempo, gettò sul viso di Anna Loprieno un pugno di crusca. Questo gesto significò per “La Mosce” un invito alla “guerra”. E così iniziò una grande sommossa, da questa capeggiata, finalizzata a prendersi una rivincita attraverso una grande ribellione. Alla “Mosce” fu dato un secondo soprannome “La Portapannère” (portabandiera), dal momento che in capo ad un’asta legò uno straccio a mo’ di bandiera, invitando la gente alla rivolta. E così fu. Quella rivolta, rimasta nella mente del popolo barese, si svolse quanto mai violenta e fu definita “La piccola rivoluzione francese” e dimostrò che non sempre il popolo è disposto a sopportare torti di qualunque genere. Il grave fatto, pur svolgendosi a Bari, ebbe ripercussioni anche in campo nazionale.

E i proverbi che dicono?

Il pane degli altri è sempre salato. Il cibo dato dagli altri è sempre salato, come conferma Dante (Paradiso 17.8-60): “Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e il salir per l’altrui scale”.

Pan di signore pane di dolore. Il pane che dà il padrone è pagato con fatica e umiliazioni.

Ogni pane ha la sua crosta. Ogni modo di procacciarsi da vivere ha i suoi aspetti negativi.

Bisogna dire pane al pane e vino al vino. Bisogna parlare chiaro, semplice e comprensibile, senza equivoci e frasi oscure, evitando reticenze e allusioni, in modo che le parole corrispondano a concetti univoci. Insomma essere sinceri e diretti.

Il pane del povero è sempre duro. Per una ragione o l’altra il povero non arriva mai a mangiare pane fresco: la sua situazione è tale che le cose buone non gli toccano neppure per sbaglio. Anche perché il pane del povero è guadagnato con grande fatica e duro lavoro.

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