La favola del Sud depredato dal Nord

FRANCESCO GRECO - 40 anni, Anna è nata al Sud, Terra d’Otranto: una maledizione. Laurea in Fisica a Bari col massimo dei voti e lode, sacrifici della famiglia orgogliosa: trovava solo lavori superprecari, da 300 euro al mese. Non poteva sposarsi. Oggi vive in Svizzera, fa la manager in una multinazionale, stipendio 10mila franchi al mese, ha messo su famiglia, due bellissimi bambini, comprato casa.

Una storia come tante, se è vero che dai paesi del Salento manca il 20% della popolazione e nessuno vuol più tornare da Barcellona, Londra, Berlino, se non per le vacanze e seppellire i genitori lasciati soli o abbandonati nelle case di riposo. Perché le tante Anna vanno via?

Quesito da cui si poteva partire se si voleva davvero scrivere qualcosa di serio sul Sud e i suoi drammi vecchi e nuovi, non l’ennesimo saggio piagnisteo in cui per non affrontare la realtà, e trovare i “colpevoli”, si accusa il Nord di ogni nefandezza.

Dinamiche e storie che se magari Lino Patruno avesse ben decodificato, forse non avrebbe messo giù il solito lamento sul povero Sud defraudato dal Nord rapace: speculare a migliaia di altri, lacrime e vittimismo, e perfettamente inutile alla causa.

“Imparate dal Sud” (Lezione di sviluppo all’Italia), editore Magenes, Milano 2022, pp. 372, € 16,00 (Collana “Voci dal Sud”) è infatti uno di quei libri il cui destino, come diceva Bukowski, è di finire sotto scrivanie claudicanti.

Terribilmente datato già nei postulati. Perché non bastano – specie al nostro tempo virale e di start-up che diventano multinazionali – le eccellenze di Napoli delle nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale della Calabria, se intanto da un secolo non riesce a fare un ponte e ci sono trasporti da età del ferro. Se il Mezzogiorno non riesce a spendere le risorse. Tutta colpa del Nord cinico e baro? Il Grande Vecchio che complotta ai danni del Sud?

Per Patruno non è colpa delle sue classi politiche e dirigenti, quindi le assolve, anche perché ne fa parte come casta.

Ove fosse vero, se il Sud non sa imporsi nei rapporti di forza col Nord, nonostante l’unità d’Italia (o forse proprio a causa di questa), vuol dire che ha politici inetti, autoreferenziali, intenti alla coltivazione del proprio ego e della propria carriera Se l’UE, di cui siamo fedeli ossequianti in tutti i desiderata, stava per dichiarare velenoso il nostro vino, cosa c’entra il Nord? Dove stavano i parlamentari del Sud?

Se i “cervelli”, per avere pane e dignità, devono andarsene, impoverendo il Mezzogiorno. Se restano solo i garantiti e i conformisti a fare da claque; se la classe politica è quella che è, la comunicazione embedded e che assistita; se la società civile, narcotizzata, accetta di tutto: ospedali chiusi, liste d’attesa, enti inutili fatti, come dice Galli della Loggia, solo per portare consenso ai politici, strade realizzate per alimentare la fame dei suddetti, cattedrali nel deserto a gogò, etc, che c’entra il Nord?

Se l’ascensore sociale è rotto e gruppi, lobby, confraternite, caporali, parvenu si prendono tutto. Se i finanziamenti hanno scarsa ricaduta occupazionale sui territori, portano consenso alla politica, ormai divenuta un ammortizzatore sociale e col nuovo status di casta mungono benefit e non lasciano manco le briciole, leccano anche quelle, il Nord che c’entra?

La società civile non è più massa critica, è nebulizzata, senza anticorpi, narcotizzata, per cui ogni porcata è possibile e non trova narrazioni. Enti inutili che non si sciolgono perché portano consenso alla politica; vai in un ufficio pubblico e ancora battono sulla tastiera con un dito. Comuni sciolti per mafia. Liste d’attesa infinite (ma se paghi le bypassi). Territori devastati e svuotati, il consumo scriteriato, meritocrazia zero, concorsi truccati con spartizioni dei politici (“Dammi i tuoi…”), ascensore sociale out of order, il darwinismo sociale la regola. E ancora: i giovani non votano e non leggono giornali. Al Sud più che altrove.

Tutta colpa del Nord? Certo, abbiamo la sagra del pesce fritto e i “Parduni”, il mare e il sole, ma non sono sfruttati che in minima parte. Per cui la celebre battuta di Eduardo, “Se volete fare qualcosa per Napoli, fuitevenne!” è sempre attuale.

Saggi come questi, infine, sono inutili, hanno il sapore rancido della minestra riscaldata e indigesta: autogratificanti e autoassolutori, perché non si trova un “colpevole”. Dipingono il metaverso, realtà che non ci sono, esercitazioni da salotto, non fanno opinione, non creano dibattito, non spostano di una virgola lo status quo: narrazioni turgide, cristallizzate, reticenti.

Il Sud affrescato da Patruno non c’è più. E altro da sé, per cui occorrono nuovi analisti, altri strumenti per decodificarlo. Il materiale umano diminuisce: restano i grilli parlanti. E un opinionismo ipocrita che quando chi se ne va si fa onore fuori, poi lo racconta, se ne vanta, per avere un po’ di luce riflessa.

Si potrebbe risalire al dna della situazione del Mezzogiorno, l’unità d’Italia, voluta da tutti, meno che dai meridionali, ma andremmo a scardinare un archetipo patrio, finiremmo nella blasfemi: c’è chi lo fa (Pino Aprile) ma a spese sue.

Patruno invece dando la colpa al Nord, assolve i veri “colpevoli”, naviga in acque sicure quanto putride: quelle della conservazione, dei luoghi comuni, sostrato culturale dei borghesucci (direbbe Pasolini). Di cui il Sud e i suoi cittadini oggettivamente sono stanchi e nauseati. Di una cosa siamo certi: finché escono saggi come questo, il Sud è condannato.

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