La Storia, le storie: il Novecento a Sud


FRANCESCO GRECO -
Identitario e sociologico sino a sconfinare nell’antropologia, ma riflesso anche nella psicoanalisi. Pubblico e privato. E poi: delicato e poetico, in certi snodi commuovente. Una continua osmosi fra le piccole storie che confluiscono nella grande e questa che irrompe nelle microstorie. Come l’onda del mare che va e viene e lascia qualcosa sulla riva, un’alga, un sasso che raccontano e fecondano la memoria.

E’ la declinazione (una delle tante in stand-by) di “Annibale, Vito e gli altri come noi”, di Alfredo De Giuseppe (acquistabile su Amazon.it, anche in formato kindle, pp. 258, € 13,50), cover “Le radici di un albero” de “La Pupazza”, impaginazione di Giancarlo De Giuseppe, presentazione a Tricase (la città dello scrittore), il 20 agosto.

D’istinto fa pensare alle “Storie” di Erodoto e gli “Annali” di Tacito, le “Vite parallele” di Plutarco. Ovvio, a Edgar Lee Masters della celebre “Antologia di Spoon River” (“Dormono, dormono sulla collina…”), o a una necropoli messapica con i vasi ficcati nella terra scura, che nascondono le ceneri degli uomini e le donne del passato: eroi, navigatori, sacerdoti, re e regine, coltivatori di verdure, allevatori di api e di cavalli, tessitrici di arazzi, bambini bellissimi: ognuno racconta la sua storia, facendone dono agli dèi e alla gente che verrà, se vorrà ascoltarla.

Tra sociologia e antropologia (scansioni presenti anche nel cinema di De Giuseppe, da “L’arte nascosta” a “Ulalà”), più livelli narrativi scorrono e si intrecciano, poi si dilatano in un ampio respiro, che è quello del tempo, per tornare ad aggrovigliarsi. Se è vero che viviamo in un presente dilatato che ha formattato la memoria, l’oblio incombe su tutti noi.

Novello Dante, lo scrittore dà voce ai personaggi hanno fatto la Storia, che così, giunti alla fine della loro parabola, si raccontano in prima persona con sincerità e lucidità. Raccoglie il bilancio di un’esistenza, rimpianti, ricordi, errori e dolori: come una eduta psicoanalitica..

C’è Anna Magnani sfatta dal cancro al pancreas che racconta dei suoi amori e del padre che non ha mai conosciuto, Fellini preoccupato per le sorti di Giulietta che lo ha amato nonostante tutto, Elio Petri “pentito” dei film che ha fatto, Alighiero Noschese sfatto dalla depressione che muore nella stessa clinica dove Andreotti sta per fare un’operazione alla cistifellea. E poi Moro e Togliatti (curioso: transita a Yalta con accanto Nilde Jotti), Pasolini, Calvino, Eduardo De Filippo, Sciascia, etc.

La microstoria della gente che l’ha vissuta nella declinazione politica: la prima guerra, la seconda e i reduci che non metabolizzano, il ’68, il ’77, le lotte studentesche, il terrorismo e dintorni.

E poi quelli che non si sono mossi da dove sono nati: il sagrestano senza una donna, quello che per una vita ha pulito i pozzi neri del paese, il quasi centenario che se ne va col rimpianto dei quattro mesi che gli mancano per il secolo, la vecchia rimasta vedova da ragazza che ha vissuto col nipote barbiere, la bella figlia del pescatore di Leuca che muore con i sei figli accanto al letto, la principessa finita in miseria che invece se ne va amaramente da sola, etc.

Tutti posseduti dalla paura della damnatio memoriae che, nonostante tutto quello che hanno fatto, potrebbe rimuoverli per sempre avvolgendoli in un sudario di anonimato.

Una gallery in forma di vite romanzate che racchiude il secolo che fu definito breve, ma che invece è lunghissimo, tant’è che non si riesce a scacciarlo dalla memoria collettiva.

Ombre che riflesse nello specchio, a cui non si può mentire, ansiose di sottrarsi all’oblio e raccontare per provare a se stesse di essere esistite. Accomunati dall’urgenza smodata, parossistica, di ancorarsi al tempo e alla memoria.

Domani toccherà a noialtri, posto che ci sia qualcuno che raccolga le nostre ultime parole e qualcun altro abbia voglia di ascoltare…

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