In dialetto ‘Cumbà, me senghè m-brazze a CCriste’ non è scontato


LIVALCA - A dicembre del 1993 mi telefonò Alfredo Giovine e fu estremamente gentile: aveva fra le mani il volume “LA MUSICA A BARI. Dalle CANTORIE MEDIEVALI AL CONSERVATORIO PICCINNI” (volume a cura di DinKo Fabris e Marco Renzi, con un intervento di Riccardo Muti, luglio 1993, pp. 464 f.to 24x33, 15 tavole a colori fuori testo e 265 illustrazioni b/n, cartonato e rivestito in tela con custodia e sovracoperta, fotocomposto con carattere Bodoni e stampato su carta Fabriano da 115 gr. tipo Grifo vergato bianco, fabbricata su richiesta di Mario Cavalli che scelse la tonalità, Levante editori Bari) ed espresse un sincero orgoglio da ‘barese’ per una ‘pregevole’ iniziativa destinata a restare nella storia della città. Con delicatezza mi fece capire che, data la sua indiscussa e riconosciuta autorità in campo musicale, avrebbe potuto far parte della squadra dei collaboratori del libro.

Gli dissi la verità: che il libro uscito a luglio aveva ‘ridestato’ molti professionisti del settore che si lamentavano di non essere stati ‘interpellati’: per fortuna vi erano a fare da ‘parafulmine’ uno dei curatori del volume il poliedrico e valente direttore d’orchestra Maestro Marco Renzi (per oltre venti anni direttore del Conservatorio Piccinni), non barese perché nato a Teramo, ed il presidente del Conservatorio dell’epoca l’avvocato Paolo Ragone, la cui forbita e torrenziale eloquenza riusciva ad avere ragione di ogni resistenza.

Alfredo Giovine in quella telefonata mi ricordò che aveva preso lezioni di musica, forse di canto, dal celebre Maestro di cappella don Cesare Franco, nativo di Acquaviva delle Fonti, la cui scuola era molto rinomata.

Parlammo anche del periodo in cui noi avevamo l’azienda in via Crisanzio ed eravamo vicini non solo come ubicazione ed io gli attestai che avevo seguito con interesse le sue pubblicazioni dedicate a Bari con gli editori Giuseppe e Stefano Laterza. Mi parlò anche di un suo lavoro riguardante il dialetto barese e la sua grammatica e scrittura, mi parlò delle ventidue lettere necessarie per scrivere in dialetto barese (le ventuno canoniche, con l’aggiunta, del k e facendo sparire j,y, w e x) concludendo … ‘non sarà mai pubblicato’; la qual cosa il figlio Felice ha smentito con successo nel 2005 dando alle stampe “Il dialetto di Bari. Guida alla grammatica” per la casa editrice di Giuseppe Laterza.

Nel 2004 Felice, su invito dell’amico comune Vincenzo Schino, venne a trovarmi perché cercava un vecchio libro e mi parlò del suo proposito di dare alle stampe il dialetto paterno, io correttamente gli dissi che ero impegnato con un autore, che aveva già pubblicato con noi, per un nuovo dizionario dei baresi, italiano-barese e barese-italiano: omisi il nome dell’autore, ma nel 2007 quando uscì il libro di Lorenzo Gentile fu il primo a riceverlo.

Giovine nel 2021 ha pubblicato una seconda edizione (Alfredo Giovine “Il Dialetto di Bari-Grammatica, scrittura, lettura” a cura di Felice Giovine, Centro Studi Baresi, pp. 204, 2021, € 22,00) in cui in una premessa breve dal titolo ‘Due parole del figlio’ precisa: “La decisione sofferta di darlo alle stampe, perché in un certo senso contravvenivo alla volontà paterna, è stata sollecitata da amici e cultori, ma spinto soprattutto dal desiderio di far conoscere il frutto di tanti anni di lavoro”. In questa nuova edizione è sceso in campo anche Daniele Giancane, in questi ultimi anni poco propenso ad ‘esaltazioni’, che esordisce: «Con molto piacere apprendo che sta per essere ripubblicata l’opera di Alfredo Giovine ‘Il Dialetto di Bari’ che è - a ben considerare - un’opera ‘fondativa’, primigenia e imprescindibile attorno alla messa a punto di regole (sintattiche, grammaticali, fonologiche) che il dialetto della città di Bari non aveva mai avuto». Non solo, ma Daniele così conclude il suo intervento: «Chi non passa attraverso la lettura di questo poderoso lavoro, non può dire di voler essere un poeta dialettale e nemmeno un cultore del dialetto e, tra l’aver letto questo libro e chi non l’ha letto, passa tutta la differenza tra un autore competente e un dilettante».

Solo per rendere più equilibrato il discorso sui dilettanti vi riferisco che ad inizio anni settanta con Aurelio Papandrea, Beppe Lopez, Giovanni Modesti e Pasquale Cascella (tutti giornalisti di razza, tra cui Beppe e Pasquale viventi) si stava parlando di dilettanti, in verità si era partiti dall’ambito sportivo, ma vi furono due frasi che riassumo secondo i ricordi: una del direttore della testata ‘La città nuova’: “Le università sono istituzioni in cui dilettanti formano dei professionisti”, a cui fece seguito il direttore del Galletto: “Un giornalista-scrittore è un dilettante che non ha mai smesso di scrivere” che sono una variante - termine oggi in auge - sul tema. Felice afferma che l’idea del libro il genitore la ebbe agli inizi degli anni ’60 e precisa che il lavoro terminò nel 1964, quando si decise d’inviare una copia al glottologo Oronzo Parlangeli, non solo per avere un parere, ma anche eventuali suggerimenti. Ho citato il professore Parlangeli (nato a Novoli il 10 marzo del 1923, con studi liceali a Lecce e laurea in lettere classiche presso l’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano - allievo del Maestro Vittore Pisani, celebre glottologo e indianista romano - morto a Vervò, a soli 46 anni, in Val di Non in provincia di Trento il 1° ottobre del 1969) perché al termine di questo articolo riporterò un suo ultimo ‘messaggio- consiglio’ redatto 10 giorni prima della sua scomparsa.

I Giovine affermano che il loro scopo era quello di dare ‘uniformità e semplicità’ alla scrittura barese e citano due punti importanti: aver aggiornato il suono di ìe in ìi e citano il termine gardìedde che diventa gardìidde e chiariscono che è inutile l’uso della j, quella che noi chiamavano i lunga ed ora i giovani gèi.

Peppino Franco nel suo volume “Le poesie sportive” (Levante Bari, 1973) scriveva gardijdde; Giuseppe Romito nel suo “Dizionario della lingua barese” (Levante Bari, 1985) gardijdde; Enrica e Lorenzo Gentile per il loro “Nuovo dizionario dei baresi. Italiano-Barese/Barese-Italiano” gardèddre (Levante Bari, 2007).

Dal volume “BARI MITO” a cura di Luigi Sada, Carlo Scorcia e Vincenzo Valente (Japigia Editrice Bari, 1970): «Questa raccolta di apoftegmi baresi e di simboli relativi ai numeri del giuoco del Lotto si compone di una introduzione di Luigi Sada sul loro significato demopsicologico, dei testi curati da Carlo Scorcia, delle rilevazioni linguistiche e note etimologiche di Vincenzo Valente», chiaramente - lo dico solo per Livalca - gli apoftegmi sono gli aforismi, ma ora voglio proporvi un numero, l’89, che secondo il lotto barese rappresenta la vecchia e le fave:

SADA, SCORCIA, VALENTE scrive la vécchie, le fave
GIUSEPPE ROMITO “ la vecchie, le fave
ENRICA E LORENZO GENTILE “ la vècchie, le fave
AFREDO E FELICE GIOVINE “ la vécchie, le fave

‘Invecchia male chi pensa di restare sempre giovane’, può essere trasfuso, riferito al dialetto, in quello che scrisse nel lontano 1964 Alfredo Giovine: ”Avverto che ogni mio orientamento passato che possa risultare in contrasto con il presente opuscolo va ridimensionato alla luce delle mie nuove conoscenze” e per non essere accusato di ‘Giovinismo’ vi riporto una perentoria affermazione di Nicola Zingarelli (sempre meno conosciuto, non ho detto ‘consultato’, dalla nostra ‘mègghie gevendù’) che nel 1935 sottolineava: “…il mio vocabolario, a distanza di pochi anni dalla pubblicazione, mi pareva invecchiato e bisognava dunque rifarlo in parte, oltre che ricorreggerlo…” e, solo per non mettere in Croce (Pescasseroli, L’Aquila 1866- Napoli 1952) quel Benedetto uomo, dico a quel ‘bbuène fìgghie’ di Giancane che, grazie alla mia ‘discreta’ memoria retroattiva, mi sono ricordato di aver scritto nella notte dei tempi, su un giornale locale, del dialetto riportando un pensiero del filosofo, storico e critico apparso nel 1903 sulla rivista “La Critica” da lui fondata: ”Perché contestare i diritti della poesia dialettale? Come si può impedire di scrivere e poetare in dialetto? Molta parte della nostra anima è dialetto, come tanta altra parte è fatta dal latino, greco, antico linguaggio italiano e lingue straniere”. Solo per pochi intimi preciso che Giancane nella sua prefazione-approvazione al libro di Alfredo Giovine cita Benedetto Croce tra coloro che consideravano il dialetto lingua ‘minor’.

Nel 2007 per il “Nuovo dizionario dei baresi” di Enrica e Lorenzo Gentile pregai Vito Maurogiovanni di vergare una presentazione: dovetti convincerlo perché voleva restare fuori dalle ‘diatribe’ che hanno accompagnato da sempre il nostro amato dialetto; l’autore di “Come eravamo” così concluse il suo intervento: «Se poi ci sarà chi dirà che la scrittura è questa e non quella, o quella e non questa, credo che ogni studioso abbia diritto ad utilizzare le proprie interpretazioni. Che, come nel caso di questo dizionario, non sono né gratuite né tanto meno banali e il discorso sulla esattezza linguistica, se discorso c’è da fare, ha bisogno di studi e riflessioni non di garanti». Quando nel 1970 appare il volume “Bari mito” il professore Luigi Sada lo dedicò: ‘Alla memoria dell’amico e Maestro Oronzo Parlangeli’ precisando che probabilmente, la presentazione che stilò per il libro, fu uno dei suoi ultimi scritti. Parlangeli inviò la presentazione il 19 settembre del 1969: il 1° ottobre volerà in cielo.

Ricordo a coloro che ‘possono’ che il 10 marzo di quest’anno cadrà il centenario della nascita del glottologo e che la sua presentazione al volume di Sada, Scorcia e Valente è degna di essere approfondita, ma merita prima di tutto la sua conclusione rivolta a coloro che è difficile convincere: “Abbi pazienza! In questo o quel dettaglio tu hai sicuramente ragione. Ma nella vita non basta aver ragione: è molto più bello stare insieme, unirsi andar d’accordo, andare avanti! Tu ami il tuo dialetto: ecco, ti stiamo dando uno strumento (e ti assicuro che esso è valido e che è utile); con esso le voci del tuo dialetto le puoi raccogliere anche per coloro che non conoscono il tuo dialetto come lo ami tu e che non sanno ancora gustare i tesori di civiltà, di storia, di saggezza e d’amore che esso conserva e che tu vuoi tramandare!” - Vervò 19 settembre, 1969 Oronzo Parlangeli.

Partendo da questa saggia proposta di Parlangeli ritengo che coloro che, a giusta ragione o torto, sono convinti di essere in una posizione tanto invidiabile da poter sentenziare ‘Cumbà me sènghe m-brazze a CCriste’ non debbano trascurare che nella vita terrena mai dire mai, e mai dire sempre, si scontrano con tutto può iniziare e tutto può finire.

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