Nel giorno del voto di fiducia allo stesso esecutivo, i brigatisti prelevano Moro dai sedili posteriori della Fiat 130 blu sulla quale viaggiava e lo sequestrano dopo che il gruppo di fuoco - composto da avieri civili travestiti con uniformi e berretti del personale di Alitalia - sbuca da dietro le siepi fiancheggianti il Bar Olivetti e dalle quali sparano in direzione delle auto con a bordo i membri della sua scorta. Essa, colpita mortalmente, era composta dai due carabinieri Oreste Leonardi (maresciallo e inseparabile caposcorta di Moro) e Domenico Ricci (appuntato), dai tre agenti di Polizia Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e dal vicebrigadiere Francesco Zizzi, nativo di Fasano in provincia di Brindisi.
Dopo una prigionia di 55 giorni, durante la quale le Brigate Rosse richiesero invano uno scambio di prigionieri con lo Stato italiano, Aldo Moro fu sottoposto a un processo politico da parte del cosiddetto "tribunale del popolo", istituito dalle stesse BR, e che sentenziò la condanna a morte dello statista pugliese, eseguita con l'uccisione avvenuta tra le 9 e le 10 di martedì 9 maggio 1978. Il suo cadavere fu ritrovato quello stesso giorno nel bagagliaio di una Renault 4 rossa parcheggiata a Roma in via Michelangelo Caetani.
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