'Oppenheimer': la recensione


FREDERIC PASCALI -
C’è stato un momento in cui si è pensato che un male pressoché inimmaginabile potesse fare esso stesso da deterrente a ogni tentazione di approcciare qualcosa di ancora più grande; un’illusione durata il tempo di un’estate che avrebbe segnato per sempre la storia a venire dell’umanità.

Fautore di questo pensiero era Robert J. Oppenheimer, uno degli scienziati più famosi della sua epoca, un fisico che cercava di andare oltre Einstein e le sue teorie.

Una personalità complessa che Christopher Nolan descrive attraverso un film di drammatica intensità, surrogato dalla consueta e spettacolare cornice di rilevanza epica. La colonna sonora, firmata da Ludwig Göransson, ne acuisce il tratto eroico sottolineando l’irripetibilità di un punto di svolta a lungo tempo sospeso, tra le pieghe di una generazione segnata dalla tragedia atomica di Hiroshima e Nagasaki.

Tratto dall’omonimo libro di Kai Bird e Martin J.Sherwin, Oppenheimer indaga la personalità controversa di un genio trovatosi a maneggiare le chiavi per aprire le porte dell’ignoto, senza la reale consapevolezza delle sue conseguenze.

Il progetto Manhattan, per lo sviluppo e la ricerca di un ordigno atomico, nel bel mezzo del deserto del Nuovo Messico, a Los Alamos, è il fulcro attorno al quale ruota l’intera vicenda.

La sceneggiatura, scritta dallo stesso Nolan, la imprigiona in una serie di flashback e flashforward che la trasportano costantemente indietro e avanti nel tempo. La carriera di Oppenheimer, un eccelso Cillian Murphy, e il suo appello per radunare una squadra formata dai più grandi scienziati dell’epoca, onde bruciare sul tempo i nazisti nelle loro ricerche e poi, decaduta quella minaccia, mettere la parola fine alla guerra contro il Giappone, si delinea tracciandone il suo punto di rottura.

Il momento in cui da eroe nazionale, uomo più famoso del pianeta, viene messo in discussione da quelli stessi Stati Uniti da lui fedelmente serviti e glorificati. Due trame di conflitto sostengono questa narrazione: quella interna, di Oppenheimer con la sua coscienza, e quella esteriore rappresentata dalla volontà di Lewis Strauss, un Robert Downey jr. da Oscar, presidente, dal 1953 al 1958, della Commissione statunitense per l’energia atomica, di distruggerlo politicamente e umanamente. 

Un avvincente susseguirsi di riflessioni e confessioni, su pubblico e privato, all’interno del quale vengono risucchiati tutti gli altri personaggi di una storia segnata da molteplici rivoli di declinazione.

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