2 dicembre '43, 80 anni fa il bombardamento del porto di Bari

NICOLA ZUCCARO - La sera di giovedì 2 dicembre 1943 105 bombardieri Junkers JU88, appartenenti alla Luftflotte 2 tedesca e provenienti dall'aeroporto di Ronchi del Legionari (Friuli Venezia Giulia) e da 2 aeroporti della Grecia, sganciarono numerose bombe che colpirono le navi mercantili ancorate alla fonda del porto di Bari. 

L'attaccò durò 25 minuti (dalle 19.25 alle 19.50) e provocò 800 feriti e la morte di oltre 1000 persone, fra militari alleati (in prevalenza anglo-americani) e civili. Lo scopo dell'incursione aerea era quello di rendere inagibile il porto nel quale affluiva la maggior parte dei rifornimenti alle truppe dell'Ottava Armata Britannica del Generale Montgomery e ai bombardieri pesanti statunitensi della 15esima Air Force, dislocati negli aeroporti della provincia di Foggia. Su 40 navi mercantili ormeggiate, 17 furono affondate e altre 8, gravemente danneggiate. 

Nell'attacco fu colpito il mercantile americano John Harvey che trasportava un carico di 2.000 bombe all'iprite per 1350 tonnellate ed il cui uso bellico, era stato proibito dalla Convenzione di Ginevra del 1925. Dalle stive della nave statunitense di classe Liberty fuoriuscirono sostanze tossiche che contaminarono le acque portuali, i militari e i civili che operavano e che risiedevano nella zona circostante lo scalo portuale barese. 

Per la loro diffusione in grande quantità, unitamente ai danni arrecati alla salute dei marinai e dei pescatori operanti lungo il litorale barese negli anni successivi al 1943, il bombardamento tedesco su Bari fu il più grave episodio di guerra chimica del Secondo Conflitto Mondiale. Ottant'anni dopo, Bari resta la Pearl Harbor del Mediterraneo per la similitudine dell'incursione aerea della Luftwaffe sul capoluogo pugliese, con l'attacco effettuato dall'aviazione militare giapponese alle prime luci dell'alba del 7 dicembre 1941 verso la flotta statunitense ancorata presso l'omonima località dell'Oceano Pacifico.

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