Europa ferita e la follia della guerra: riflessione di Santa Fizzarotti Selvaggi
Signori e Signore,
sto riflettendo molto in questi giorni intorno alle vicende dolorose della guerra a macchie su tutta la Terra. Nella guerra non ci sono mai vincitori né vinti, ma solo vinti, come più volte ho affermato: in qualsiasi conflitto bellico, infatti, ciascuno di noi perde i pezzi della propria storia.
È evidente che si tratta di una questione economica, come d’altra parte ebbe a scrivere Einstein a Freud in una lettera molto nota.
Io sono nata dopo la Seconda guerra mondiale, eppure i racconti dei miei genitori mi hanno accompagnato per molto tempo e sono rimasti dentro di me, impressi come un sigillo. La mamma mi narrava che era costretta a raggiungere mio padre sotto le bombe, alle Casermette in Corso Sicilia, oggi Corso De Gasperi.
Mio padre, Angelo, fu poi inviato al fronte, in trincea a Porto Empedocle, a contrastare l’azione del fuoco nemico, in compagnia solo del suo cagnolino di nome Quadrello: mio padre era una persona estremamente moderata e pacifista. Ha sofferto molto durante la guerra, ammalandosi anche di malaria. La casa materna dove ho visto la luce, in sua assenza, divenne il quartier generale degli inglesi. Mamma e zia Tina, con il nonno, costrette in una sola stanza.
Durante le guerre, coloro che sono più abbienti si arricchiscono sempre di più e tantissimi si impoveriscono. Non si passa indenni in ogni modo e nessuno escluso: una guerra comunque rimane un patto scellerato con la morte. Il peggiore dei patti.
Oggi assistiamo non già a un conflitto bellico ma alle stragi che vengono agite dai contendenti. Ai miei occhi sembra che questi conflitti abbiano come obiettivo ben altro, così come si gioca a “biliardo”: si colpisce una palla affinché questa colpisca un’altra.
L’Europa, senza alcun dubbio, sta soffrendo, a volte pare in agonia, ma forse ancora può riprendere la sua forte identità, al di là dei nazionalismi e delle culture. Un’Europa che nacque già come idea nel Mediterraneo. Sarebbe utile ricordare che il mito narra che Europa, principessa fenicia, fu rapita da Zeus, avendola questi vista raccogliere fiori insieme alle sue compagne. Il padre degli dèi assunse le sembianze di un bianco toro, si avvicinò a Europa che gli salì sul dorso. Zeus la rapì e la condusse con sé a Creta, a Gortina, dove l’amò all’ombra di un platano. Il mito di Europa rappresenta il legame culturale tra Oriente e Occidente. Tra il sole che sorge e il sole che tramonta esiste la vita, con tutte le emozioni.
E ora ho la sensazione che la bella Europa sia sottoposta a molte pressioni affinché possa definitivamente tramontare, smarrendo ciò che Papa Ratzinger rilevò quale identità europea:
a) la cultura greca,
b) le radici cristiane,
c) il diritto romano,
d) l’Età Moderna.
Ho spesso il timore che si voglia eliminare ogni radice identitaria: e quale occasione migliore se non queste guerre, che non rispettano più alcun diritto umanitario internazionale? E i “dazi”, poi, non sono un altro modo per piegare l’economia?
Annibale affrontò l’esercito romano in campo aperto a Canne il 2 agosto del 216 a.C., ma “Afris prope iam fessis caede magis quam pugna” – “I Cartaginesi erano quasi più spossati per la strage compiuta che per il combattimento”, si legge in Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXII, 48.
Una donna, Matrona Busa di Canosa, si prese cura dei feriti. Così come fu Puduhepa, la regina ittita del XIII secolo a.C., moglie del re ittita Hattušili III, a facilitare la pace con Ramses II e a firmare il primo trattato di pace della storia: il trattato di Qadesh.
E ora non ci si affronta in campo aperto, ma si uccidono i civili inermi, i bambini... Sono molto turbata, non lo nego, ma si eviti di generare ancor più odio. Qui non si tratta di essere anti-Israele o anti-Hamas, anti-Putin o anti-Zelensky: i crimini sono crimini e tutti, nessuno escluso, sono da chi scrive definiti assassini.
In un dipinto famoso di Louis Montero, Los Funerales de Atahualpa (1865, Firenze), di cui mi sono occupata insieme a Max Hernandez, si nota come gli Incas furono distrutti dagli Spagnoli nel 1532. Nel dipinto si osserva chiaramente come il trauma del popolo incaico sia stato irreversibile. Ancor oggi, in Perù, si percepisce tale dramma. Nell’opera di Montero vi sono i conquistatori a destra di chi guarda e i vinti a sinistra. Al centro, il cadavere di Atahualpa. Le donne discinte degli Incas, diventate le concubine degli spagnoli. I due vinti più evidenti sono Atahualpa e la donna stesa sul davanti. E poi un bambino, un solo bambino, che non guarda più davanti a sé, cioè al futuro, ma ha lo sguardo rivolto a terra.
Tragedie sempre vi sono state nella storia umana. Tutto è sempre accaduto, e l’essere umano è ancora quello della clava, come afferma Freud. Sono cambiati solo gli strumenti: non più la clava, ma le armi nucleari. E i poteri occulti ci stanno riportando ai primordi, facendo in modo che il preumano in noi (il cervello rettiliano) emerga e non abbia più limiti e confini, in modo da infrangere costantemente quel “Non uccidere” così perentorio dei Dieci Comandamenti.
Si uccide invece ogni giorno, in vario modo, e anche con le parole. Con quelle parole che sono state concesse a noi per poter dialogare, in modo da non passare all’atto.
Quando non ci sono più parole, si passa all’atto: e allora, togliendo a noi la possibilità di riflettere criticamente e creativamente su tutto quanto avviene, appiattendoci, anestetizzando con vari sistemi i nostri sensi e la mente, non c’è più dialogo che tenga, ma solo l’atto tribale dei primordi, affinché trionfi un solo dio: il Dio Quattrino.