Crudo e sconvolgente, "L'anniversario" di Andrea Bajani (Premio Strega 2025)

ALESSANDRA POLITI - Incidere le parole, come si fa col bisturi in un intervento chirurgico, richiede freddezza, coraggio, precisione. Quando poi queste parole riguardano i tuoi genitori, allora quest'operazione richiede anche distacco.

La scrittura di Bajani, parola dopo parola, colpisce il monolite familiare occupato interamente dalla figura paterna, nel tentativo di estrarre dalla roccia una madre invisibile, vessata dalla predominanza di un uomo che è un ingombro dell'intera scena familiare, un'istituzione talmente totalitaria da indurre la moglie alla stessa negazione di sé. 

Lei non è solo invisibile agli altri. È invisibile anche a sé stessa.

"Tolta la figura di mio padre il mondo è grande: c'è spazio per le palazzine, per il cielo, e per mia madre".

Nell'incipit del romanzo la memoria del narratore non possiede ricordi della madre, se non per quel difetto fisico della gamba storpia.

Questo brutale annientarla completamente, che posso capire in un bambino di dieci anni che si sente abbandonato, che posso capire anche in un ragazzo di venti, che subisce la mortificazione di assistere all'indegna sottomissione della figura materna, in un uomo di quarant'anni no, non lo capisco.

Nell'età della consapevolezza mi aspetto comprensione, non una fiamma ossidrica accesa sulla paglia delle frustrazioni, che insiste a soffiarci sopra, fino a scatenare un fuoco distruttivo di rabbia e risentimento.

La madre è chiusa in un confessionale, che non può aprire a nessuno, pena la catastrofe, la distruzione della "pace" familiare, della "pace" che lei si è costruita e dalla quale non può più scappare.

Qualsiasi gesto di ribellione è superiore alle sue forze.

Qualsiasi miccia che potrebbe accendere le esploderebbe in faccia.

È così difficile per un figlio, leggere sul volto senza sorriso della madre, l'infelicità?

"Mi chiedo come passasse la giornata quando mio padre era a lavorare e noi eravamo a scuola...C'erano le faccende certo, che legittimamente credo l'annoiassero. Le faceva quasi ostentando una mancanza di competenza...Il resto del tempo era un guscio vuoto...

Per di più la casa era piccola, due camere e una cucina...certo c'era la spesa, la cucina, i panni da lavare e poi stirare. Ma restava comunque altro tempo...

E poi la sera sedersi e ascoltare tutto quello che era successo agli altri".

E mi viene da domandare: ti pare poco? E riesci a parlarne con tanta ingratitudine?

Sedersi, dopo aver provveduto tutto il santo giorno alla cura degli altri, sedersi ad ascoltare tutto quello che era loro successo.

Senza che mai nessuno si preoccupasse di quello che succedeva a lei. Anzi, il quarantenne che narra, sottolinea che a lei non succedeva mai niente, la sua vita era vuota, spenta, lenta, chiusa, inconcludente.

Lei era un niente con una gamba storpia.

"Lui voleva che lei fosse niente per potere, lui, essere qualcosa, e lei voleva essere niente perché essere niente era almeno qualcosa".

Quest'analisi non ci mostra solo le umiliazioni che questa donna riceveva dal marito, nel disgraziato, disperato atto d'amore che la teneva incatenata a lui nonostante tutto. 

Non ci mostra solo le sue autoumiliazioni "ormai si guardava con gli occhi di mio padre". 

Quello che ci mostra e che ci fa più male, (perché grazie al cielo non ne siamo abituati) è un figlio che umilia la madre. Anche lui. 

Come se l' unico esempio ricevuto per tanti anni dal padre, ora fosse praticamente impossibile da non seguire.

Se l' intento dell'autore era riempirci di rabbia, allora è stato bravissimo.

Ma quello che a me balza prepotente agli occhi mentre leggo è che questo figlio è un adulto che non ha mosso un dito per cambiare la condizione di sua madre e non ha mosso un solo battito del cuore per avvicinarsi a lei e non dico salvarla, ma almeno amarla. 

Anche quando la violenza è diventata materiale, lui è rimasto tacito sullo sfondo, senza avere niente da dire o da fare. 

Un silenzio che in questi casi macchia di complicità e lascia un angolo cieco come solo spazio da abitare. Un angolo in cui una madre è invisibile anche agli occhi di suo figlio.

Mentre tutto questo mi risulta vergognoso e sono arrabbiata, continuo voracemente a leggere, finché non arrivo a un punto preciso, che ribalda, chiarisce, svela tutta la situazione (pag.77):

" Eppure adesso...c'è un elemento che s'impone. Che in ogni scena - mio padre che colpisce il figlio a mani nude o lo spinge contro il muro pronto a farlo - mia madre non compare. 

O meglio, in ogni scena mia madre guarda altrove...Quel sottrarsi è quello che mi resta".

Ecco la rivelazione, il vero senso di questo romanzo.

Ecco la solitudine, la rabbia, la delusione, l'amarezza, ecco il dolore dello scrittore.

Una madre figlia della paura.

Un figlio vittima della sua profonda negazione della vita.

La mancanza di protezione da parte della madre diventa un errore imperdonabile, una falla incolmabile, perché trascina con sé nel vortice maledetto la sensazione di non essere sacri, amati, preservati. 

E non c'è sensazione peggiore. Nessuno resta dove non si sente amato.

La protezione è il primo sintomo dell'amore.

Mentre la violenza genera un cratere che s'allarga sempre di più e che alla fine ingoia tutti.

Un romanzo interessante, crudo e sconvolgente.

Una scrittura che attanaglia, forte, spietata, vera.

Bravo Andrea Bajani.

"Uno dei modi per esprimere la violenza è la distruzione...l'altro, più importante e per così dire virtuoso, è la precisione".

L'ANNIVERSARIO

Andrea Bajani

Pagine 128

euro 15.20