Frammenti di luce di Santa Fizzarotti
Protagonista del libro è Creta, “terra in mezzo al mare dove abita il Dio eterno”, l’isola “bella e feconda” citata da Omero, come ricorda la stessa Santa Fizzarotti, per la quale è l’isola dell’anima,culla della amata cultura greca. Creta è dunque la capitale di un arcipelago lirico della poetessa, l’isola delle isole per antonomasia, che in modo più o meno indiretto richiama tutte le altre isole del mito e della storia greca, da Lesbo a Zante fino adItaca.
Per l’io poetico è insomma una sorta di Itaca poetica, lontana eppure vicina; una scelta giustificata dal fatto che persino Odisseouna volta approdato ad Itaca parla ad Atena della sua amata isolacitando Creta: “Ho sentito palare di Itaca anche nell’ampia Creta,lontano oltre il mare” (Odissea, XIII).
Non è la prima volta che la poetessa dedica all’isola una silloge. Già in Ode a Creta aveva dichiarato la sua passione per questo lembo di terra immerso nel mar Egeo. Come chiarisce il titolo su quest’isola, la Fizzarotti questa volta ambisce a una palingenesi poetica e spirituale che la porti a “tornare nel grembo della Grande madre” come afferma il poeta Moudatson nell’epilogo.
In quest’ultima fatica lo spirito è quello di una rinascita umana e trascendentale che appunto può avvenire solo per fragmenta lucis, ovvero attraverso una sorta di caleidoscopio poetico di luci che si proiettano da una terra che si trasforma in borghesiano Alephmitico. D’altronde già nel mito classico Creta è l’ab ovo di tutta l’Olimpo: proprio lì, Rea, la madre di Zeus, nasconde il figlio per evitare che fosse divorato da Crono e persino per Dante dal “veglio di Creta” (una statua di un vecchio) sgorgano tutte le acque infernali dei vari fiumi come Acheronte e Flegetonte.
Ma l’isola di Creta per la Fizzarotti è in primis l’equivalente di Lesbo per Saffo, tanto che nell’estasi poetica proprio qui l’autrice ammira “le capre” che appaiono “tra le querce della meravigliosa Saffo”. Ad accomunare le due isole e le due poetesse vi è una forte tensione erotica - difatti l’opera è dedicata a Francesco Paolo e agli amici del cuore - che oltrepassa ogni categoria umana per polverizzarsi in una intensa inquietudine poetica e spirituale ma allo stesso tempo fisica e incarnata nella pletora di emozioni esensazioni fisiche vissute sull’isola.
La poetessa parte proprio da un frammento, anzi dal frammentopiù breve e più evocativo della poetessa di Lesbo e forse dell’intera letteratura greca, il numero 182 Voigt: “ἰοίην” (ioien). Il celeberrimo e potentissimo ottativo greco del verbo eimi(andare) indica in prima persona la volontà di andare, di andare oltre sé stessi e le ombre del passato ed esprime l’insopprimibile anelito di oltrepassare l’umana finitezza.
Questo iniziale fragmentum lucis si può interpretare come una dichiarazione di poetica in grado di illuminare l’intera silloge,tanto che le successive liriche possono leggersi come una personale appendice di quell’anelito saffico.
A partire da questo incipit i versi della poetessa procedono anch’essi frammentari, spesso brevissimi, a volte in forma diparole-verso quasi ermetiche, ma semanticamente pregni di una ricerca multisensoriale ed esperienziale che coinvolge tutte le dimensioni dell’anima e insieme della corporeità . Si parte dalsenso della vita: la prima lirica è dedicata alla luce della stellaBetelgeuse, che è in realtà un’autocitazione della recente sillogeBetelgeuse. Nel respiro di Dio... la sinfonia del cuore (Gagliano 2024). l bagliori luminosi pur risplendendo di luce propria si riflettono nello sguardo dell’amato e allo stesso tempo richiamanoil crepuscolo di Creta, che con una logica sinestetica è definita “piena di vento e profumo di miele”. Creta, l’isola di Europa, del Minotauro e del labirinto, è descritta dalla poetessa “ventosa” quasi quanto un’altra isola mitica Eolia, e sull’onda di questo vento poetico i versi si fanno sempre più incarnati e concreti nella loro icasticità .
Ad esempio sotto la pelle è il titolo della seconda lirica in cui la poetessa prova a “sognare l’amore” “in silenzio” mentre il “cuore trema di angoscia e di paura”. Insomma Santa Fizzarotti racconta un amore “antico”, riacceso e soffocato quasi come quello di Saffo nella celeberrima Ode alla gelosia (fr. 31 Voigt) dove la poetessa di Lesbo sente il cuore “scoppiare in petto” ma senza che esca un “filo di voce” perché “la lingua è spezzata”. Ma la poetessa, a differenza di Saffo, riesce a sublimare in chiave mistica la passione in un abbraccio di un angelo dalle “braccia di vento forte” mentre ascolta “il suono della lira riempire l’universo”.
Le braccia di quest’angelo ricordano quelle di un mito ambientato proprio a Creta, quello di Icaro, che come scriveva Ovidio(Metamorfosi, libro VIII) mentre Dedalo sistemava le ali“acchiappava le piume che un soffio di vento sollevava”.
Il vento, reale e metaforico, soffia su un labirinto di emozioni che si mescolano nella sensibilità poetica e riappare costantemente nel corso dell’opera come un leitmotiv come nella lirica Nel vento del sud. Si tratta dunque un vento poetico, apollineo e mistico che idealmente mescola le emozioni e soffia nel cuore della poetessa e avvicina la sua Creta anche all’orfica Delfi, il luogo oracolare di Apollo, e a Delo, l’isola natale di Apollo, che non a caso nell’Inno a Delo Callimaco definisce “ventosa e fustigata dai mari”.
Il volume termina proprio con la poesia dedicata al vento e intitolata Il vento riempiva, in cui il vento dei “miti d’Occidente e delle leggende d’Oriente con Europa ignara tra le braccia di Zeus… tra il sogno e la veglia” gonfia il cuore di “suoni lamentosi e del “fulgore della palma del dattero”.
Colpita dalla luce divina, “guaritrice di ogni ferita”, in attesa di una palingenesi, la poetessa firma l’explicit con una domanda rivolta a sé stessa, al lettore e all’intero mondo: «Eri tu Signore quel vento?». Una domanda a cui l’unica risposta davvero universale resta, oggi come ieri, quella della poesia.
