I 60 anni di sacerdozio di Padre Damiano Bova ‘rivissuti’ con l'amico Gianni Cavalli
BARI - Martedì 8 luglio per festeggiare con mio nipote Mario i suoi 10 anni sono passato dalla Basilica di San Nicola per ringraziare il Santo e salutare gli amici confratelli.
Mario che vive a Roma con la mamma, mia figlia, il fratellino Giovanni e il padre Mimmo, negli ultimi 4 anni ha trascorso il suo compleanno sempre a Bari con me: con tappa presso San Nicola di ‘rigore’.
Il priore Distante, sempre occupatissimo e lucidissimo nonostante il caldo, mi ha ‘regalato’: “Ricordati che il 19 luglio ricorre il sessantesimo anniversario dell’Ordinazione Presbiterale di P. Damiano, non puoi mancare”. In quelle ultime tre parole ‘npm’ vi era tutto il messaggio di un ‘padre nato per il comando’, fedele a quelle otto parole che recitano: “Si può far tutto, ma non dire tutto”.
Partecipo, da quasi sempre con Nicola Simonetti, in Basilica alla messa domenicale delle 7,30 con tutto il ‘Gruppo degli Amici di San Nicola’ (Nicola, Peppino, Titti e Antonio, Luigi, Michele, Marco, Antonio il giovane, Jolanda e P. Ciro, cui spesso si affiancano Enzo, Sara, Pino e Savino) e spesso commentiamo l’omelia di padre Damiano che racconta i fatti della vita con la consapevolezza del calabrese che ha deciso alla soglia dei trenta anni di seguire la sua vocazione. L’Amico Damiano a volte leggermente ripetitivo: solo nel momento che, constatato che alcuni lottano contro un principio di ‘sonno’ improvviso, deve ristabilire il contatto. Detto ciò padre Bova risulta sempre estremamente brillante e concreto nel rammentare con San Giacomo “che la FEDE si nutre anche di opere, altrimenti…”.
La storia dei Rettori della Basilica parte con P. Girolamo De Vito - l’unico che chi scrive non ha conosciuto - che nella seconda settimana del gennaio del 1952 ricevette l’investitura ufficiale da Mons. Marcello Mimmi, all’epoca Arcivescovo di Bari; continua con P. Leonardo Leonardi, valente pittore nato nelle vicinanze di Trento, sotto il cui mandato nel 1968 la Basilica fu dichiarata ‘Pontificia’ con la Bolla datata 11 febbraio e prosegue con P. Tarcisio Alessio nativo di San Giovanni in Fiore (CS), che ha avuto maggiori rapporti con mio fratello Raffaele. Con una cerimonia d’investitura, datata 28 ottobre 1979 a cui ho presenziato, P. Damiano Bova da Bivongi (RC), a 48 anni diventa il quarto Rettore della Basilica (un bel primato per uno che come dirà di ‘sua sponte’ nell’intervista che segue ha risposto alla vocazione a 27 anni ed è arrivato in Basilica a Bari nel 1969 con un incarico di segretario dell’Istituto di Teologia Ecumenica). A Damiano Bova, nato il 27 settembre del 1931, bastarono 15 mesi per contribuire alla fondazione del Centro Studi Nicolaiani. Il dinamismo di cui è portatore ancora oggi - che miete ‘vittime’, ieri come oggi, felici di… esserlo - lo portò a rendere epocale, per la dedizione e la diligenza profusa, la celebrazione del IX centenario della traslazione delle reliquie di San Nicola da Myra a Bari.
Come non riferire anche, indelebili nella memoria di tutti, i toccanti istanti in cui nella Cripta di San Nicola il 26 febbraio del 1984 Papa Giovanni Paolo II, Mons. Mariano Magrassi ed il Rettore P. Damiano Bova pregano inginocchiati davanti la tomba del Santo; ed ancora, subito dopo, il Santo Padre, il metropolita di Myra Crysostomos Konstantinidis, P. Bova e mons. Barracane accendono la lampada uniflamma. Il tutto è ricordato nel volume dal titolo “IL PAPA A BARI… CON IL VENTO DI PENTECOSTE. Bari-Bitonto 26 febbraio 1984” (Levante Bari, 1986) pubblicazione fortemente voluta da mio padre, Mario Cavalli, che con la proverbiale pazienza - riconosciuta urbi et orbi - riuscì a far collaborare l’organizzazione generale con il coordinamento editoriale.
Padre Damiano, dopo una pausa durata dal 1988 al 2005, è tornato a ricoprire la carica di Rettore dal 2005 al 2011. La mia collaborazione con lui, in questi anni, è stata totale: anche quando ritenevo di meritare più ‘affetto’. Recentemente scortato come sempre da un sincero Amico professionista, il prof. Auteri rinomato oculista materano, dispensa consigli al termine della sua omelia e, ultimamente, ha avuto il coraggio di affermare “Gianni non mi fai parlare, sei ‘prepotente’ verbalmente”, a me che, gli faccio notare che, sceso dall’altare, deve ‘pazientare’ anche nell’ascolto dell’altra ‘campana’: dopo il ‘din’, vi è sempre un ‘don’.
“Va bene padre Damiano verrò a farti una ‘veloce’ intervista in cui ti concederò il privilegio - con lui dare e avere pari sono - di proporre anche qualche domanda”. Così un venerdì di questo afoso luglio - dopo una rigorosa mediazione delle alte sfere - con mio nipote Mario sono stato ricevuto al secondo piano, nella seconda stanza a destra.
P. Damiano, quando e perché hai deciso di scegliere la via del sacerdozio?
Ho scelto di seguire questa vocazione nel 1958 all’età di 27 anni. Ero già avviato all’insegnamento nelle scuole elementari. Da tempo ero attivo nell’Azione Cattolica e nella vita politica locale. Ero anche attivista nazionale dei Comitati Civici fondati da Luigi Gedda nel 1948 su incarico di Pio XII. Da un po’ di tempo mi era balenata l’idea di fare il monaco, come dicevo con un mio fraterno cugino. Ero indeciso, temevo di non farcela, essendo molto vivace. Mia madre diceva che avevo l’argento vivo addosso. Tentai di fidanzarmi, ma ero sempre attratto dall’impegno sociale ed ecclesiale, finché una sera in una passeggiata solitaria sulla via del cimitero decisi di fare il salto nel buio ed entrare nell’Ordine domenicano.
(Ho provato, inutilmente, ad approfondire il ‘tentai di fidanzarmi’, ma, come fa notare l’amico di tanti anni fa Virgilio, conviene mantenersi in ambito ‘bucolico’, “Sic itur ad astra”, per onestà di cronaca frase ‘rimodellata’ sul pensiero di Voltaire).
Perché hai scelto di diventare domenicano?
Vedi! Io non scelsi di fare il sacerdote, ma anzitutto di fare il frate in un ordine religioso. Ero molto legato alla famiglia. Per quanto molto irrequieto e fantasioso, ne combinavo di tutti i colori, ero anche molto ubbidiente ed avevo sempre il sogno di solcare le vie del mondo. Lettore accanito: a nove anni mia madre mi comprava il Giornale d’Italia che costava sei soldi nel 1940, a 12 anni leggevo i romanzi dei più grandi autori dell’epoca, oltre a quelli di avventure, alimentando i miei sogni di adolescente di andare sempre oltre.
Scusami! Ma non potevi fare il prete? Perché domenicano?
Confidai il mio proposito a un sacerdote del mio paese, molto giovane, con cui ho collaborato strettamente nell’Azione cattolica. Lui era segretario del Vescovo di Squillace, Armando Fares, originario, se non mi sbaglio, di Andria. Il vescovo che mi conosceva bene mi invitò a entrare in seminario. Mi avrebbe mantenuto lui. Mi fece anche presente che aveva undici parrocchie senza il parroco. Io con istintiva e immatura lucidità gli esposi il perché della scelta di una famiglia religiosa, in spirito di libertà dai legami affettivi che avrebbero mortificato la mia fantasiosa aspirazione ad orizzonti più vasti. Ho lasciato con grande sofferenza la mia famiglia di sangue per sceglierne un’altra spirituale molto più ampia. Piansi sulla spalla di mia madre, quel mattino che lasciai il mio paese, la quale mi aveva chiesto di farmi prete, perché, di quattro figli maschi, ero l’unico che poteva restarle vicino. Ma fu contenta ugualmente. Nella mia vita di religioso ho potuto personalmente sperimentare che ho lasciato una casa e ne ho trovato cento e al posto di qualche figlio ne ho allevati veramente tanti.
Ma perché domenicano?
Io seguivo con attenzione le omelie dei predicatori invitati per le feste importanti del mio paese. Ma ero affascinato dalle prediche ad ampio respiro dei domenicani, al pari di mia madre che, pur avendo frequentato solo fino alla seconda elementare, aveva una mente molto aperta per l’epoca, coadiuvata da una memoria di ferro. Il giorno dopo, infatti, era in grado di riferirle alle compagne di lavoro con meticolosa precisione.
Quando studiavo a Reggio Calabria, mi recavo spesso nella chiesa di San Domenico per la messa domenicale. È stata una scelta istintiva, una scelta che dopo 65 anni di vita religiosa, nonostante tutte le difficoltà, sceglierei di nuovo in piena coscienza. San Nicola, presso la cui Basilica ho vissuto complessivamente 44 anni, mi ha offerto i suoi ampi spazi ecumenici. Io sono cosciente di aver dato il mio contributo alla vita dell’Ordine domenicano, ma sono altrettanto cosciente di avere avuto molto di più dall’Ordine.
Dopo 60 anni di sacerdozio, in breve, puoi dirmi cosa rappresenta per te questa vita?
Vedi, Gianni! Fuori di ogni retorica che sprizza fumo ma non offre arrosto, ho compiuto il 15 febbraio scorso 65 anni di professione religiosa domenicana. Nessuno si è accorto di niente. Ma dentro il mio cuore quella è stata la festa più importante. Vi siete mai domandato perché Gesù non è stato sacerdote, nonostante la Lettera agli Ebrei lo acclami Sommo Sacerdote? Nell’Ultima Cena Gesù ha annunciato la fondazione della nuova alleanza che ha sancito sulla croce. San Francesco non è stato sacerdote. Negli ordini monastici sono pochi i sacerdoti per il servizio ai fratelli non sacerdoti. Quanti santi e sante non sono stati sacerdoti! Il loro compito primario, come lo è stato per gli Apostoli, è stato quello che per due volte ha affermato Luca di aver voluto mettere per iscritto quello che Gesù incepit facere et docere, anzitutto fare e poi insegnare.
Allora, scusa se insisto, perché sacerdote?
Il termine sacerdote deriva dal latino sacerdos, che a sua volta deriva da sacer (sacro) e dalla radice indoeuropea doht (dare): colui che offre le cose sacre. La sua funzione è quella della mediazione tra il divino e gli esseri umani. Questo servizio lo offre dall’altare mediante il memoriale del sacrificio di Cristo (fate questo in memoria di me), autore della nuova alleanza mediante il suo sangue; e nello stesso tempo con l’annuncio autorevole della Parola di Dio. L’altro servizio lo offre nel confessionale, laboratorio di medicina e scuola di Sacra Scrittura, di medico e di maestro. Il confessionale è il purgatorio del cristiano. Il sacerdote è il mediatore tra Dio e le sue umane creature mediante i riti e la parola, dall’altare, dal pulpito, dal confessionale e nell’ambito sociale.

