Le streghe di Bari Vecchia: tra fede e superstizione
MARIO CONTINO - Nel cuore di Bari Vecchia, dove muri sembrano ancora respirare i sospiri del passato, convivono da sempre due anime opposte: quella della fede e quella dell’occulto. L’imponente Basilica di San Nicola, tra le più importanti della cristianità , rappresenta la luce spirituale che per secoli ha guidato i passi dei fedeli. Ma all’ombra delle sue mura, il popolo ha custodito con ostinazione miti e leggende radicate nel tempo, storie sopravvissute nonostante i tentativi della Chiesa di reprimerle.
A Bari, parlare di streghe non è un tabù ma puro folklore, memoria viva. Donne temute e rispettate, accusate ingiustamente di patti col demonio, esperte conoscitrici di erbe e rituali, capaci — si diceva — di influenzare il destino altrui, guarire o condannare. Erano le mascià re, termine dialettale che indica figure ambigue, a metà tra la guaritrice e la strega. Potevano essere la salvezza o la rovina, a seconda dello sguardo della comunità . E se una cura falliva o una disgrazia colpiva la famiglia sbagliata, bastava un sospetto a condannarle come emissarie del male.
Nel cuore del centro storico si trova un luogo simbolo di questo passato esoterico: l’Arco delle Streghe, conosciuto localmente come “U arche d’la mascià re”. Situato nei pressi di Corte Cavallerizza. Qui, secondo la leggenda, si riunivano le gatte mascià re, donne capaci di trasformarsi in gatti neri grazie a un unguento magico. Nelle notti di luna nuova, si racconta che danzassero sotto l’arco, recitando formule dimenticate, tracciando segni con il carbone e il sangue, evocando forze che solo loro potevano comprendere e percepire. Di giorno erano parte della comunità , donne semplici, silenziose. Ma di notte diventavano creature dell’ombra, depositarie di un sapere oscuro, temute da chi conosceva le storie che le riguardavano.
Eppure nessuna figura incute tanto timore quanto quella della Mal’Ombra, la più temuta delle streghe nel folklore barese. Non si tratta di una semplice leggenda: per generazioni, la sua presenza è stata avvertita, temuta, esorcizzata. La si descrive come un’ombra viva, scura e densa, capace di assumere forme diverse, ma più spesso quella di una vecchia strega dagli occhi vuoti, il volto incavato e le vesti consunte. Alcuni la vedono insinuarsi sotto le porte o emergere dagli angoli più bui della casa. Altri raccontano che la sua apparizione porti con sé brividi improvvisi, apnea notturna, incubi e paralisi. È una strega silenziosa, ma letale, che agisce nel sonno e si nutre della paura delle sue povere vittime.
Si dice che la Mal’Ombra entri nelle case senza essere vista, che osservi il suo bersaglio e lo immobilizzi con lo sguardo. Quando giunge, il freddo penetra le ossa e l’aria diventa pesante come piombo. È in quel momento che si manifesta: con occhi spenti e mani nodose, fissa chi dorme e lo priva della voce, della forza, della volontà . Alcuni parlano di morsi, graffi, sogni febbrili. Altri raccontano solo di un buio più profondo del solito, e della sensazione — inspiegabile ma reale — di non essere soli e di non poter opporst in alcun modo.
La tradizione popolare ha sempre suggerito metodi per tenerla lontana: una scopa posta accanto alla porta, che la costringerebbe a contare le setole fino all’alba, perdendo così il tempo utile per nuocere. Oppure un paio di forbici di metallo, lasciate aperte vicino al letto, capaci — secondo la credenza — di ferirla nel momento in cui si avvicina. Astuzie semplici, nate dalla paura, ma anche dalla speranza.
Un anziano di Giovinazzo (paesino a nord di Bari), testimone diretto secondo quanto riferito, raccontò di averla vista da ragazzo: era in casa dei nonni, in campagna, quando si svegliò nel cuore della notte, bloccato da un freddo innaturale. Non riusciva a muoversi, a gridare. Davanti a lui, ferma, c’era una vecchia dai tratti scuri, vestita di stracci, che lo osservava. Quando scomparve, urlò con tutta la forza che aveva e i nonni, accorsi, gli parlarono per la prima volta della Mal’Ombra. Da quella notte, sul suo comodino, venne lasciato un paio di forbici.
Storie come queste non sono rare nel Sud Italia. Le vecchie credenze non sono morte: sopravvivono nei gesti, nelle parole, nei piccoli riti quotidiani. Perché in fondo, anche tra i muri benedetti della città vecchia, c’è sempre uno spazio per il mistero.
* Lo scrittore del mistero
A Bari, parlare di streghe non è un tabù ma puro folklore, memoria viva. Donne temute e rispettate, accusate ingiustamente di patti col demonio, esperte conoscitrici di erbe e rituali, capaci — si diceva — di influenzare il destino altrui, guarire o condannare. Erano le mascià re, termine dialettale che indica figure ambigue, a metà tra la guaritrice e la strega. Potevano essere la salvezza o la rovina, a seconda dello sguardo della comunità . E se una cura falliva o una disgrazia colpiva la famiglia sbagliata, bastava un sospetto a condannarle come emissarie del male.
Nel cuore del centro storico si trova un luogo simbolo di questo passato esoterico: l’Arco delle Streghe, conosciuto localmente come “U arche d’la mascià re”. Situato nei pressi di Corte Cavallerizza. Qui, secondo la leggenda, si riunivano le gatte mascià re, donne capaci di trasformarsi in gatti neri grazie a un unguento magico. Nelle notti di luna nuova, si racconta che danzassero sotto l’arco, recitando formule dimenticate, tracciando segni con il carbone e il sangue, evocando forze che solo loro potevano comprendere e percepire. Di giorno erano parte della comunità , donne semplici, silenziose. Ma di notte diventavano creature dell’ombra, depositarie di un sapere oscuro, temute da chi conosceva le storie che le riguardavano.
Eppure nessuna figura incute tanto timore quanto quella della Mal’Ombra, la più temuta delle streghe nel folklore barese. Non si tratta di una semplice leggenda: per generazioni, la sua presenza è stata avvertita, temuta, esorcizzata. La si descrive come un’ombra viva, scura e densa, capace di assumere forme diverse, ma più spesso quella di una vecchia strega dagli occhi vuoti, il volto incavato e le vesti consunte. Alcuni la vedono insinuarsi sotto le porte o emergere dagli angoli più bui della casa. Altri raccontano che la sua apparizione porti con sé brividi improvvisi, apnea notturna, incubi e paralisi. È una strega silenziosa, ma letale, che agisce nel sonno e si nutre della paura delle sue povere vittime.
Si dice che la Mal’Ombra entri nelle case senza essere vista, che osservi il suo bersaglio e lo immobilizzi con lo sguardo. Quando giunge, il freddo penetra le ossa e l’aria diventa pesante come piombo. È in quel momento che si manifesta: con occhi spenti e mani nodose, fissa chi dorme e lo priva della voce, della forza, della volontà . Alcuni parlano di morsi, graffi, sogni febbrili. Altri raccontano solo di un buio più profondo del solito, e della sensazione — inspiegabile ma reale — di non essere soli e di non poter opporst in alcun modo.
La tradizione popolare ha sempre suggerito metodi per tenerla lontana: una scopa posta accanto alla porta, che la costringerebbe a contare le setole fino all’alba, perdendo così il tempo utile per nuocere. Oppure un paio di forbici di metallo, lasciate aperte vicino al letto, capaci — secondo la credenza — di ferirla nel momento in cui si avvicina. Astuzie semplici, nate dalla paura, ma anche dalla speranza.
Un anziano di Giovinazzo (paesino a nord di Bari), testimone diretto secondo quanto riferito, raccontò di averla vista da ragazzo: era in casa dei nonni, in campagna, quando si svegliò nel cuore della notte, bloccato da un freddo innaturale. Non riusciva a muoversi, a gridare. Davanti a lui, ferma, c’era una vecchia dai tratti scuri, vestita di stracci, che lo osservava. Quando scomparve, urlò con tutta la forza che aveva e i nonni, accorsi, gli parlarono per la prima volta della Mal’Ombra. Da quella notte, sul suo comodino, venne lasciato un paio di forbici.
Storie come queste non sono rare nel Sud Italia. Le vecchie credenze non sono morte: sopravvivono nei gesti, nelle parole, nei piccoli riti quotidiani. Perché in fondo, anche tra i muri benedetti della città vecchia, c’è sempre uno spazio per il mistero.
* Lo scrittore del mistero
