Quando Pippo Baudo incantò Bari: tra libri, musica e ricordi di un’icona della televisione
LIVALCA - Correva l’anno 1972 e mi recavo spesso al Teatro Piccinni per definire gli ultimi accordi per la presentazione del volume Capostazione con complesso di Hermann Coal (Carbone in italiano, vero cognome dell’autore) che definiva il suo lavoro un romanzo “amaristico” di km 400 e passa (numerazione al contrario, in modo che il lettore, potendo stabilire quanti chilometri mancassero al termine del “viaggio”, aveva facoltà di scendere o proseguire).
Non era facile conciliare tutte le autorizzazioni necessarie per procedere, con la mia esigenza di sprecare il meno tempo possibile. Senza dimenticare che, in quel periodo, al Piccinni vi era una commedia di Anna Bonacci L’ora della fantasia che vedeva fra gli interpreti Sandra Mondaini, Pippo Baudo, Luciano Virgilio e Maria Grazia Grassini.
Una mattina Baudo stava discutendo con alcuni funzionari del Comune, di mia conoscenza, ed io per rompere il ghiaccio dissi: «Da ex presentatore, forse, posso aiutarvi». Baudo, colpito dalla familiarità che avevo un po’ con tutti, proferì una frase tipo: «Un presentatore non è mai ex». Ci presentammo e, onde evitare equivoci, precisai subito che, se mi trovavo lì, era perché stavo organizzando la presentazione di un libro, in modo che fosse evidente che non facevo parte del gruppo di persone che rappresentavano le istituzioni.
Baudo fu felice di sapere che non conoscevo solo gli attori, ma sapevo abbastanza della compagnia che stava portando in scena la commedia L’ora della fantasia: regia di Montemurri, costumi di Colabucci, direzione musicale di Caruso Pippo, testi delle canzoni di Paolo Limiti e la libera traduzione teatrale di Maurizio Costanzo. Non so come e perché parlammo di chi avesse vinto poche settimane prima il Festival di Sanremo (presentato da Mike Bongiorno con Sylvia Koscina e Paolo Villaggio): Nicola Di Bari con la canzone I giorni dell’arcobaleno, che vedeva come autori Masini, Pintucci e lo stesso interprete, e che aveva relegato al secondo posto Come le viole cantata da Peppino Gagliardi.
Per fortuna Baudo precisò che Nicola Di Bari era stato escluso dal Festival sanremese del 1968 e, ascoltando le altre sue puntualizzazioni, dedussi che lui aveva presentato l’edizione di quell’anno. In quel periodo del 1968 ero in ospedale e non potetti seguire le riprese televisive, ma, avendone scritto, sapevo quasi tutto… perfino che Luisa Rivelli affiancava il presentatore, che ignoravo fosse Baudo. La vita è strana: bastano poche parole per cambiare il percorso. Mio padre mi ha sempre detto: «Ascolta e poi parla»… nello specifico, grazie anche al fatto che non era semplice togliere la parola a Pippo, evitai di ledere la suscettibilità dell’uomo che ha inventato un tipo di televisione.
Nel 1968 vinse Sanremo Sergio Endrigo che, in coppia con Roberto Carlos, cantava Canzone per te: sorpresi Baudo rammentando che fra gli autori del testo, oltre Endrigo e Bardotti, figurava Luis Bacalov, non ancora premio Oscar come migliore colonna sonora. Precisai inoltre che non “sopportavo” i Beatles e le mie canzoni preferite erano, in quegli anni, Teresa di Endrigo e L’amore di Don Backy: dal suo volto non trapelò alcuna emozione che potesse essere interpretata come approvazione o non condivisione.
Il pomeriggio di quella stessa giornata, sinceramente non sono in grado di stabilire se casualmente o volutamente, incrociai Baudo e colsi l’occasione per regalargli il libro di Carbone ed invitarlo alla serata, anzi, in maniera molto esplicita, mi avventurai a chiedere un suo intervento. Fu subito disponibile: non parlai di presentare perché doveva esserci il bravo Gianni Roman, contattato dall’autore del libro, ma non so perché poi nella realtà le cose andarono diversamente (ciò mi consente di dedicare un pensiero affettuoso al bravo Gianpaolo Romanazzi, in arte Roman, che conoscevo bene, il quale avrebbe meritato molto di più per la sua carriera artistica, ma come diceva Ovidio: «La vita è un’avventura e l’avventura un caso»).
Finalmente Baudo mi chiese della mia esperienza di presentatore, che mal si conciliava con la mia innata timidezza: la timidezza spesso porta a comportamenti “sopra le righe”. La sua qualificata analisi mi costrinse a precisare … “alla Villaggio”, ma il suo volto rimase atto ad ogni possibile interpretazione.
Fu un musicista, amico del pittore Enzo Mele, che tirò in ballo la canzone Donna Rosa, che vedeva tra gli autori Paolini, Silvestri, Fineschi e Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo da Militello. Mele, che era l’autore del disegno della copertina del libro di Carbone, testo alla mano, illustrò a Baudo che vi erano anche 7 divagazioni e 14 illustrazioni da lui create appositamente: Mele era un pittore sempre disponibile a dare spiegazioni e interpretazioni, amante di ogni sfumatura dell’arte.
Si trovò un accordo per far esibire al piano Pippo con la sua Donna Rosa; anzi, io feci sfoggio di sapere rammentando che, anni prima, vi era stato un film dal titolo Il suo nome Donna Rosa, diretto e scritto dal regista napoletano Ettore Maria Fizzarotti, che con il presentatore siciliano vedeva impegnati attori del calibro di Anna Campori, Dolores Palumbo, Enzo Cannavale e la coppia Al Bano e Romina Power. Nonostante l’impegno di tutti, non se ne fece niente, forse anche per la gioia di Carbone che, giustamente, non voleva condividere il parto della sua creatura con altri protagonisti.
La sera della presentazione, come testimoniano le foto da me scattate, Baudo fu impeccabile, non solo perché aveva letto tutto il libro, ma proprio per stile, eleganza, simpatia, raffinatezza, e non mancò di sottolineare il mordente e la vivacità di Carbone: “un autore che potrebbe tranquillamente scrivere per il teatro, ‘mestiere’ che probabilmente ha già praticato”.
Carbone quella sera fu contento, perché vi erano suoi amici “importanti”, che potettero notare come Baudo concedesse, come solo i predestinati sanno fare, la scena all’autore del libro. Riconsegnato Carbone ai suoi “ospiti”, mi defilai con Baudo e si parlò anche del Sanremo del 1968: era stato organizzato dal potente Gianni Ravera, che collezionerà presenze ininterrotte fino al 1984, anno della seconda conduzione di Baudo.
Nel 1968 il secondo posto fu di Marisa Sannia e Ornella Vanoni con Casa Bianca di Don Backy e La Valle, e terzo Canzone di Don Backy e Detto Mariano, cantata da Milva e Celentano. Ricordai a Baudo un episodio (mi era stato rivelato da un elegante, famoso giornalista, grande amico di Aurelio Papandrea, il quale era decano dei giornalisti sportivi proprietari di autonoma testata) che lo vedeva protagonista: il presentatore, nell’annunciare gli autori di Canzone, disse Don Backy e, dopo alcuni secondi di esitazione, Mariano… dimenticando Detto.
Io esposi a Baudo le tante congetture che erano state formulate, ma lui precisò solo che poi il motivo era stato portato al successo dallo stesso autore con una nuova etichetta discografica e non più quella del Clan Celentano. Poi, negli anni successivi, la storia è continuata nei tribunali, ma io non ho più parlato con Baudo.
Nel 2005, nel volume di Vito Maurogiovanni Come eravamo (Levante Bari, dicembre 2005), mi sono riservato la parte conclusiva con il titolo “Un messaggio, tante foto, storia di una rivista, ricordi della casa editrice”: il proposito era quello di contattare Bippo Baudo. Procediamo con ordine.
Ad aprile 2005, l’Università di Foggia - Facoltà di Lettere e Filosofia, ha conferito a Raffaele Nigro la laurea honoris causa, ed io, nella parte di mia competenza, ho inserito nel libro la foto in cui Raffaele viene festeggiato dagli amici Marzano, De Martino e mia moglie (… il sottoscritto non trova mai tempo per questi “cammini di fiori”, dimenticando che anche la piccola gloria si nutre di visibilità).
Sapevo che l’Università di Foggia, nei primi mesi del 2006, intendeva assegnare a Celentano una laurea honoris causa per meriti artistici, senza trascurare che i genitori erano nati entrambi a Foggia; inoltre, il sindaco dell’epoca Ciliberti gli avrebbe concesso la cittadinanza onoraria (piccola precisazione: la mamma di Celentano ha partorito Adriano a Milano all’età di 43 anni - per l’epoca quasi fuori tempo massimo - quando aveva già Alessandro e Rosa nati quasi 20 anni prima a Foggia).
Fu mia cura trovare per il volume Come eravamo - ripeto pubblicato a dicembre 2005 - delle foto che attestassero la performance di Baudo per il libro di Carbone. Il lettore sano di mente si sta chiedendo il nesso tra Baudo, Celentano, Carbone e Levante. La mia idea era questa: per il giorno della consacrazione di Celentano a Foggia convocare anche Pippo Baudo per ricordare una delle pagine più belle della nostra televisione, ossia quella splendida Serata d’onore, in cui il presentatore intervista il ‘molleggiato’, come solo i grandi sanno fare.
Io vidi lo spettacolo la sera della messa in onda in diretta, anno 1989, in televisione: Celentano aveva 50 anni e sembrava padrone assoluto della scena e, spesso, Baudo sembrava in “finta” difficoltà nel contenere l’esuberanza delle estemporanee uscite di Celentano. Posso sbagliare nei ricordi: avrei evitato il piccolo monologo finale del cantante, in cui regalava “frecciatine” ai colleghi; penso che Gino Landi in regia non si sia divertito affatto a interpretare le richieste dei due protagonisti-antagonisti. Comunque, entrambi i mattatori erano al servizio del pubblico.
I lettori esperti della rete potranno comodamente rintracciare il programma per vederlo o rivederlo (come ho più volte precisato, non vado mai in rete non per “capriccio-negligenza”, ma solo perché mi considero di altra generazione o, come dice mio nipote Mario, il più grande dei quattro, per inettitudine… inutile puntualizzare che lui adopera un termine romanesco molto più eloquente).
Fu l’amico di sempre, l’ordinario dell’Università di Foggia Francesco De Martino, a comunicarmi che Celentano voleva restare il “RE degli ignoranti”, per cui aveva comunicato l’indisponibilità a ricevere riconoscimenti.
Il mio piano di convocare Baudo per il conferimento della laurea a Celentano naufragò miseramente: sarebbe stato bello riproporre pochi minuti di quella Serata d’onore, che avrebbe prodotto, sono sicuro, altri momenti di televisione al servizio di tutti. La mia convinzione è che Baudo sarebbe venuto in quel 2006 e avremmo ripreso il discorso interrotto nel 1972 e avrebbe sorriso nel vedere le sue foto d’epoca.
Sognare, da giovani, fa male alla salute, ma da “anziani” le chimere aiutano ad evitare quei “bilanci” che tendono a dar peso a cose che ormai… non hanno peso.
In quel famoso 1972 chiesi a Baudo della fidanzata dell’epoca, Maria Grazia Grassini, che faceva parte della compagnia ed era la sua compagna ufficiale, ma la sua ritrosia, quasi fastidio, mi bloccarono. L’ultima cosa che mi disse con un piglio perentorio ed anche bonario: “Vieni a trovarmi a Roma: Roma è tutto”.
Anni dopo, nel 1976, quando ho fatto il militare ad Aurelia (Civitavecchia), sono stato due volte in Rai, ma la Domenica in dell’epoca era targata Corrado Mantoni. Per onestà va precisato che, lavorando in maggiorità, spesso riuscivo a procurarmi i famosi “36” ore per tornare a Bari da Levante, invece di “spassarmela” nella città eterna.
Le foto allegate a questo “caotico” articolo sono inedite, non sono quelle del libro, e ci mostrano un artista di 36 anni e 20 il sottoscritto, che non è quello che il pubblico italiano ricorda, ma pur sempre quello di un personaggio abituato al palco, al podio e al “protagonismo”.
Per una foto del libro del 2005, in cui Baudo sembra catturare l’attenzione del fotografo, scrissi questa didascalia: “Mentre Mario Cavalli abbassa lo sguardo, poco avvezzo al flash, Pippo Baudo, già padrone della scena, fissa con grande dimestichezza l’obiettivo. Inutile il tentativo, anche gestuale, dell’autore Carbone di attirare l’attenzione del presentatore: la basetta del Pippo siciliano e i capelli lunghi, con relativa scarpa con il tacco, dell’elegante signore di spalle, ci conducono inevitabilmente ai primi anni ‘70”.
A Pippo, in quel 2006 sfumato a Foggia per l’imprevedibilità di Celentano, avrei detto che la canzone di Bella Mogol L’emozione non ha voce (1999), splendidamente cantata da Adriano, nei versi “Io con te sarò sincero / resterò quel che sono / disonesto mai lo giuro / ma se tradisci non perdono”, fotografa perfettamente l’indole dell’uomo nato il 7 giugno del 1936 a Militello in Val di Catania.
PS:
Caro Baudo, è vero: Roma è tutto, ma per me Bari è di tutto di più e ti confermo che alla RAI manca una B fondamentale, quella che fa della mia città la seconda lettera dell’alfabeto… quell’alfabeto che il “RE degli ignoranti” ha voluto sottovalutare non perché ignora le lettere.


