Joachim Murat. Il nome della rinascita del Regno di Napoli
ROBERTO BERLOCO - Si scrive Murat. Si legge rinascita di un regno. Quello di Napoli, appena emerso dai sommovimenti rivoluzionari di marca napoleonica che avevano ribaltato il regime borbonico, lasciando sospirare prima e soffiare con forza dopo, il vento nuovo delle libertà tra le vie di ogni borgo del Mezzogiorno d’Italia.
Murat. Come il nome d’un importante quartiere centrale di Bari, quel che fu detto Borgo Nuovo, o, perlomeno, di quel che fu, cioè prima di interventi avvenuti durante il Ventennio. Murat, come il sigillo architettonico di uno spicchio di urbe, fiore all’occhiello del capoluogo pugliese per soluzioni stilistiche. Murat, come il segno di una esperienza di spirito del tutto nuova anche per gli stessi Baresi del tempo, ai quali fu dato finalmente di essere conquistati dal fascino della ragione e della bellezza applicate all’urbanistica.
Murat. Come il segno luminoso di un destino finalmente benevolo nei confronti di una plebe piagata dalle vessazioni baronali, e, da tempo, in cerca di un respiro di speranza che non si risolvesse nell’inclito di una mera illusione.
Di bella e cortese presenza, ma pure di virili ed energiche maniere, Joachim - Gioacchino in italiano - Murat nacque il 25 Marzo 1767 a La Bastide Fortunière, un Comune occitano francese, in onore suo ribattezzato Labastide Murat, e che, dal 2016, è stato fuso con altre entità urbane viciniori nell’unico Comune di Coeur de Causse.
Ultimo di una nutrita figliolanza dei locandieri Pierre Murat Jordy e Jeanne Loubières, sarebbe stato destinato alla vita ecclesiastica, se non fosse che, per indole e caratteristiche proprie del suo naturale agire, si ritrovasse molto più a suo agio nelle vesti di uomo di mondo. Ma fu più per necessità , o, meglio, più per fuggire le collere familiari che per una cosciente ambizione personale, che finì per arruolarsi nell’esercito, allora ancora monarchico sotto l’egida della Casata dei Bourbon. La data di questo suo primo arruolamento risale al 23 febbraio 1787, il nome del reparto quello dei “Cacciatori delle Ardenne”.
Inizia da questo momento un lungo percorso di atti di valore, di coraggio e di fedeltà , accompagnati da una buona dose di fortuna, vale a dire quegli ingredienti di base che fanno autentico e duraturo il successo di qualunque uomo d’armi.
Una sincera fede nei princìpi della Rivoluzione fu lo sfondo del palcoscenico delle sue azioni, comunque fin d’assai prima dell’anno cardine del 1789, quando certe nuove idee già circolavano attraverso la parola e lo scritto, lasciando solo a questa e a quello ogni opportunità di persuasione. Era difficile, per esempio, impedire ad alcuni testi importanti, come il “Trattato sulla Tolleranza” ed altre opere di pensiero di Voltaire, oppure ad altri ancora di Enciclopedisti, come Diderot e D’Alembert, o di Illuministi di calibro come Montesquieu, di fermentare negli strati della borghesia francese più predisposta all’Illuminazione, e, di riflesso, di raggiungere quelle fasce di popolo più portato all’apertura della mente e all’influenza del progresso. Senza dubbio, un fertile terreno per lo sviluppo degli accadimenti travolgenti che verranno, malgrado i nomi trainanti di questa fase “preparatoria” corrispondessero più a monarchici riformisti che a coscienti rivoluzionari repubblicani.
E, a tanto, Joachim Murat si diede pure, alla diffusione di libelli inneggianti alla libertà , rischiando in prima persona, infine pagando di suo perfino con il congedo dall’esercito. Quando vi ritornerà , nel 1790, perché il Re era ormai uscito provvisoriamente di scena e i Giacobini avevano avuto la meglio, sarà come soldato semplice, quel tanto che gli sarebbe bastato per riprendere a marciare spedito verso più alte vette, di carriera e di gloria militare anzitutto, ma non soltanto. Due anni dopo, fu nominato luogotenente, e, l’anno successivo, comandante di squadrone. Di lì a breve, si segnalerà per un’azione magistrale di repressione della reazione lealista dentro Parigi, meritandosi la sconfinata fiducia di Napoleone Bonaparte, che lo vorrà con sé nella Campagna d’Italia alla guida di una formazione di cavalleria.
Una fiducia che, d’altronde, fu ben presto meritata, visto che, il giorno 8 Settembre del 1796, durante la battaglia di Bassano, un momento di quella che sarebbe passata alla storia come Prima Campagna d’Italia, Murat ebbe modo di risultare determinante per le sconfitta degli Austriaci comandati dal Feldmaresciallo Dagobert Von Wurmser.
Ma sarà la Campagna di Egitto a dare a Murat i massimi gradi. Bastò una sola battaglia, quella di Abukir contro l’Armata turca, per ritrovarlo decisivo per la vittoria, e, a premio, per vedergli brillare le stellette di Generale sulle spalle.
Sposò Carolina Bonaparte, sorella di Napoleone, soprattutto una donna realmente innamorata di lui. E, d’altra parte, si trattava di un sentimento pienamente ricambiato. La coppia dimostrò tutta la propria solidità amorosa con la nascita di ben quattro figli, Napoleone Achille, Letizia, Napoleone Luciano Carlo e Luisa Giulia.
Nel 1804, sempre per puro merito e per infinite doti legate ad un istinto di coraggio fuori del comune, ma, tutto sommato, anche perché si era fatto largamente amare dal Bonaparte, fu investito della carica militare più ambita dai tempi dei monarchi medievali ultramontani, quella di Maresciallo di Francia. Un grado che, se si vuole, esiste tutt’ora nell’Armèe repubblicana, ma più che altro sotto forma di eccelsa dignità .
E non sarebbe finita qui. In un lieto giorno di piena Estate, quello del Primo Agosto 1808, venne incoronato Re di Napoli, ovviamente, ancora una volta, per volontà di Napoleone.
Da monarca, non fu da meno di quel che aveva dimostrato come condottiero. Stesso stile fedele e utile alla causa, medesima brillantezza di atti e di gesti, quella giusta apertura mentale che s’accorda tanto bene ad ambizioni grandi ma sempre realistiche, oltre a varie qualità regali insospettabili in un tipico uomo d’arme.
Se ne ebbe subito una dimostrazione nel manifesto senso di responsabilità ch’egli infuse nell’occuparsi delle finanze dello Stato, dissestate dal suo predecessore, Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, con l’accumulo di debiti che, tra l’altro, s’erano sommati a quelli risalenti al Borbone.
Ad eco di quanto realizzò il normanno Ruggero II, uno dei suoi più remoti predecessori, rese sicure le strade del Regno, infestate da frotte di briganti, contro i quali volse le attenzioni del Generale nizzardo Andrea Massena, e, in un secondo momento, del collega di questi Charles Antoine Manhès. E bisogna ammettere che ambedue fecero un gran bel lavoro, soprattutto nelle regioni più colpite, vale a dire la Calabria e la Basilicata.
In ambito economico, il novello re francese si diede a liberare da vincoli di soggezione la borghesia imprenditoriale, rafforzandone strumenti e accessi alle risorse, in buona sostanza favorendo una loro maggiore dinamicità .
Sul piano urbanistico, oltre agli interventi di cui si è fatto cenno a proposito del capoluogo pugliese, è Napoli che può dar meglio l’idea di quanto concreto fosse l’impulso rinnovatore del Murat.
Proprio di fronte al Palazzo Reale, quella che era una piazza fatta modesta dalla presenza di vecchi monasteri e fatiscenti edifici, divenne improvvisamente la base per il progetto di un enorme spazio, un Foro con tutti i crismi dell’arte classica e la realistica ambizione ad ospitare ogni genere di evento cittadino. L’inizio dei lavori per quello che sarà chiamato Foro Gioacchino (oggi piazza del Plebiscito), fu fatto coincidere con il genetliaco del monarca ispiratore, e cioè il 25 Marzo 1809, ma la conclusione dell’opera avvenne dopo la fine dell’epoca murattiana, e, comunque, con il compromesso di alcuni interventi voluti dal Borbone al proprio ritorno.
Un anno prima, era stato costituito il Corpo degli Ingegneri dei Ponti e delle Strade, e avevano visto luce il corso di laurea in Agraria (il primo in Italia), una Cattedra in Zoologia e altre novità in ambito universitario. Ma fu dato impulso pure alla Società reale, che si occupava di Lettere, Storia, Belle Arti e Scienze.
Diversi e numerosi furono anche gli interventi nel campo delle opere pubbliche, come, ma solo per alcuni esempi, un apparato di luminarie per le strade di Reggio Calabria, l’istituzione dell’Ospadale San Carlo di Potenza, il primo manicomio d’Italia ad Aversa, il restauro e il rafforzamento del porto di Brindisi.
Si fece inoltre squisitamente umana, se non addirittura paterna e amabilmente generosa, la sua intelligenza militare. E se ne trovò dimostrazione nella costituzione dell’esercito “meridionale” che nacque dalla firma dei suoi decreti.
Una leva obbligatoria, invero non subito bene accolta, rappresentò alla lunga una scelta felice per i destinatari, perché valse anche da fonte di miglioramento economico e sociale per gli umili che ne furono coinvolti, soprattutto braccianti della terra, che videro improvvisamente le proprie condizioni di vita portarsi ad un minimo agio fino ad allora pressocchè sconosciuto.
Fu a questo modo che vennero costituiti una dozzina di reggimenti, tra cui, con una marcata connotazione locale, il “Real Calabria”, il “Real Sannita” e il “Napoli”. E fu sempre a tal maniera che, per la prima volta nella sua storia, un esercito “Napoletano” conobbe la vittoria in un’azione contro un distaccamento estero, quello inglese arroccato nell’isola di Capri. Un evento destinato a non rimanere isolato, testimoniando così quanto l’esperta guida francese, unita al carisma trascinante del Murat, facessero la differenza anche nella stessa motivazione a combattere.
Ma l’affezione di Murat per il suo Regno, rimase anche nel momento più difficile, quando gli eventi della Restaurazione travolsero le ambizioni napoleoniche, annientando gradualmente le sue creazioni in tutta Europa.
E quell’affezione fu talmente fiera e ferma da portarlo ad affrontare l’estrema prova, quella della morte avvenuta per fucilazione a Pizzo, in Calabria, il 13 Ottobre 1815, con lo stesso coraggio che, fino a quel momento, aveva messo in ognuna delle sue imprese, militari, civili e perfino amorose.
“Risparmiate il mio volto, mirate al cuore, fuoco!”. Queste le ultime parole al plotone di esecuzione, che faticò non poco a sparare.
Ovviamente, si potè eliminare fisicamente un concorrente, ma non l’enorme opera di beneficio che quegli aveva portato al Meridione d’Italia, e, per giunta, in un lasso di tempo estremamente breve. In certo modo, non diversamente da quanto accade con i Martiri della Chiesa cattolica, la cui memoria si protrae nei secoli proprio per l’esemplarità delle loro azioni in vita.
Ancora oggi, in tutto il Mezzogiorno del Bel Paese, il nome Murat suscita una immagine benigna e amabile, alla quale sono dedicate folle di piazze e di strade, e verso cui, assai probabilmente, si continuerà a porger pensiero anche in futuro, come conviene agli aristicratici d’animo che ebbero modo, circostanze e fortune per dimostrare di esserlo.
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