Capire la Jihad, tra spiritualità e conflitti moderni
DEBORAH PETRUZZO - Nel dibattito contemporaneo, la parola jihad è spesso associata a immagini di violenza e terrorismo. Tuttavia, il significato originario di questo termine arabo, profondamente radicato nella tradizione islamica, è molto più complesso e sfaccettato.
Capire la jihad significa comprendere non solo un concetto religioso, ma anche le sue deformazioni e strumentalizzazioni nel mondo moderno.
Origini e significato religioso
Nell’Islam, jihad significa letteralmente "sforzo" o "impegno". Nei testi sacri, si distingue tra la Grande Jihad (al-jihad al-akbar) e la Piccola Jihad (al-jihad al-asghar).
La prima indica la lotta interiore del credente contro le proprie debolezze, un percorso spirituale verso la purezza e la giustizia.
La seconda, invece, può riferirsi allo sforzo collettivo per difendere la comunità islamica da aggressioni esterne — ma sempre entro limiti morali e giuridici ben precisi.
Molti studiosi musulmani sottolineano che la jihad non equivale automaticamente alla guerra santa, concetto che, di fatto, non esiste nel Corano con i termini e le connotazioni attribuitegli in Occidente.
La distorsione del concetto
A partire dagli anni ’80, movimenti radicali e gruppi terroristici come Al-Qaeda o, più recentemente, lo Stato Islamico (ISIS) hanno reinterpretato la jihad in chiave militante, trasformandola in una giustificazione ideologica per la violenza politica.
Queste organizzazioni hanno manipolato il linguaggio religioso per reclutare seguaci, promettendo ricompense spirituali a chi combatteva per la loro causa.
Tale visione estremista è respinta dalla grande maggioranza dei musulmani e dalle autorità religiose islamiche, che ribadiscono la natura etica e difensiva della jihad.
La jihad oggi: tra religione e geopolitica
Oggi la jihad è al centro di una complessa rete di conflitti ideologici, sociali e geopolitici.
Da un lato, alcuni credenti rivendicano la jihad come uno sforzo personale per promuovere giustizia, solidarietà e progresso sociale.
Dall’altro, in diverse aree di crisi — come in Medio Oriente o nel Sahel — gruppi armati continuano a usarne il nome per legittimare guerre e attacchi contro civili.
Il ruolo dei media e della società
Il linguaggio mediatico occidentale ha spesso contribuito a semplificare il concetto di jihad, riducendolo a sinonimo di terrorismo.
Tuttavia, un giornalismo responsabile deve distinguere tra fede e fanatismo, tra religione e strumentalizzazione politica.
Solo attraverso una comprensione più profonda del significato autentico della jihad è possibile evitare stereotipi e favorire un dialogo interculturale costruttivo.
Chi lavora per la Jihad?
Chi "lavora per la jihad" nel senso autentico (religioso e pacifico).
Nella visione dell’Islam tradizionale e moderato, “fare jihad” non significa combattere, ma impegnarsi per una causa giusta, cioè sforzarsi per il bene.
Esempi di chi “lavora per la jihad” in questo senso:
-Persone religiose e comuni credenti che cercano di migliorarsi moralmente e spiritualmente (es. pregare, studiare, fare del bene).
-Volontari, insegnanti, medici, attivisti che si impegnano per aiutare gli altri, educare, lottare contro la povertà o la corruzione.
-Studiosi islamici moderati (come Tariq Ramadan, Amr Khaled, Fethullah Gülen) che promuovono la jihad del sapere e la jihad sociale.
In questo senso, "lavorare per la jihad" significa servire Dio e la società, non fare la guerra
Chi "lavora per la jihad" nel senso estremista (distorto e violento)
Ci sono però piccoli gruppi radicali che usano la parola jihad per giustificare la violenza o il terrorismo.
Questi gruppi non rappresentano l’Islam, ma un’interpretazione politica e ideologica molto estrema.
Esempi storici e contemporanei:
-Al-Qaida (nata negli anni ’80 attorno a Osama bin Laden).
-ISIS / Daesh (Stato Islamico, attivo in Siria e Iraq).
-Boko Haram (Nigeria).
-Talebani radicali (Afghanistan, anche se oggi si presentano in modo più politico).
Questi gruppi dicono di "fare jihad", ma tradiscono il vero significato del termine: uccidono anche musulmani e usano la religione come strumento di potere o vendetta.
In realtà, molti leader religiosi musulmani hanno condannato esplicitamente le loro azioni, definendole anti-islamiche.
Perché fa paura oggi?
La paura nasce quindi da:
- Atti di terrorismo compiuti da gruppi che si definiscono "jihadisti", come al-Qaida, ISIS o Boko Haram.
- Propaganda estremista che usa il linguaggio religioso per reclutare e motivare alla violenza.
- Incomprensione culturale, poiché molti non conoscono il significato autentico e complesso del termine.
- Impatto mediatico, che associa automaticamente "jihad" a "attacco terroristico".
Per gli studiosi moderati, contemporanei la vera jihad non è combattere con le armi, ma combattere l’ignoranza, l’ingiustizia, la corruzione e l’odio.
Cito Amr Khaled, predicatore e comunicatore egiziano, molto popolare tra i giovani musulmani.
Cosa dice sulla jihad:
- Interpreta la jihad come auto-disciplina, lavoro, educazione, servizio agli altri.
- Parla spesso di "jihad del cuore" e "jihad del sorriso": essere buoni, perdonare, migliorarsi.
- Critica i gruppi che parlano di guerra santa: dice che "non hanno compreso lo spirito dell’Islam, che è misericordia e costruzione, non distruzione".
In sintesi: la jihad è uno sforzo positivo per rendere il mondo migliore, non un pretesto per combattere.
È quindi un concetto profondamente etico e spirituale, e la paura nasce solo quando questo termine viene distorto da chi lo usa per giustificare la violenza politica.
