La regola del retropassaggio al portiere: cos’è e com’è cambiata nel tempo
Nel calcio, poche regole hanno inciso così profondamente sul modo di giocare come quella del retropassaggio al portiere. Ha inciso tantissimo ovviamente quella del fuorigioco, ma è un’altra storia.
Sembra assurdo, ma in passato si poteva passare il pallone al proprio portiere coi piedi e questo poteva raccoglierlo con le mani. Così all’infinito, con l’obiettivo ovviamente di non rischiare nulla e perdere un sacco di tempo. Si tratta di una norma apparentemente semplice, ma che ha trasformato il ruolo dell’estremo difensore e il concetto stesso di costruzione del gioco.
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Cos’è il retropassaggio al portiere
La regola del retropassaggio stabilisce che un portiere non può toccare con le mani un pallone ricevuto volontariamente da un compagno di squadra tramite un passaggio di piede. Se lo fa, l’arbitro assegna un calcio di punizione indiretto alla squadra avversaria nel punto in cui è avvenuto il tocco irregolare.
In altre parole, nel calcio di oggi il portiere può ancora prendere il pallone con le mani solo se il compagno gli ha passato la palla di testa, di petto o di ginocchio. C’è però un’eccezione: se questo passaggio all’indietro non è intenzionale, ad esempio tramite un rinvio o una deviazione involontaria, allora il portiere può raccoglierla con le mani ugualmente.
Ma perché è nata questa regola? Fino al 1992, il retropassaggio era una tattica difensiva comune per rallentare il gioco o proteggere il risultato. Le squadre spesso usavano il portiere per guadagnare tempo, passandogli il pallone ripetutamente e costringendo gli avversari ad attendere. Risultato? Partite lente, spezzettate e poco spettacolari.
L’introduzione della regola ha avuto l’obiettivo di rendere il gioco più fluido e offensivo, impedendo alle squadre di abusare dei passaggi al portiere come strumento di gestione del tempo.
La trasformazione del ruolo del portiere nel calcio moderno
Da quel momento, tante cose sono cambiate per il portiere. Prima gli era chiesto solo di parare, oggi invece l’estremo difensore deve saper giocare bene anche coi piedi, poiché è diventato parte integrante della manovra. Il suo ruolo si è evoluto: da semplice “difensore della porta” a vero e proprio regista difensivo.
Non è raro vedere una vera e propria impostazione dal basso da parte del portiere, il quale deve saper controllare la palla, impostare da dietro e partecipare alla costruzione del gioco sotto pressione. Molte squadre utilizzano il portiere come primo costruttore, sfruttandone la posizione per creare superiorità numerica nella fase di impostazione.
In sostanza questa regola, nata per limitare il gioco difensivo, ha finito per aprire nuove prospettive tattiche e tecniche. Di fatti, oggi il valore di un estremo difensore non si misura solo nelle parate, ma anche nella qualità tecnica e nella gestione del pallone con i piedi. Molti la considerano una rivoluzione silenziosa.
