Aspetti culturali e psicologici della donazione di organi a scopo di trapianto: la solidarietà tra estranei



Per la strada vidi una donna

Che rovistava in una pattumiera

Con poca speranza di fare un pasto decente.


Mi arrabbiai e dissi a Dio:

«Perché permetti questo?

Perché non fai qualcosa?».

Per un po’, Dio non disse niente.

Poi, improvvisamente mi rispose:

«Certo che ho fatto qualcosa.

Ho fatto te».

de Mello


(in Continenti, dicembre 1991,

Attualità Missionaria dei Frati Cappuccini, Milano)


Di Santa Fizzarotti Selvaggi 

La salvaguardia della vita in cui così tanto hanno creduto persone illuminate , medici , filosofi , movimenti umanitari fa parte integrante della struttura dell’essere umano sin dall’alba dei secoli. Si tratta, infatti, innanzitutto, della cultura della vita.

Ma educare oggi alla cultura del dono quale elemento fondante la civiltà non è cosa facile poiché nella nostra contemporaneità la vita sembra non avere più senso se non quello del profitto e dell’utilitarismo economico. Dinanzi al dilagare dell’indifferenza, e talvolta di atteggiamenti cinici, non si può non riflettere sulle modalità attraverso le quali sollecitare la rinascita di una umanità, che ricentralizzi il valore della persona all’interno della complessità dell’esistenza. 

In tale ottica l’Associazione Crocerossine d’Italia ETS,  pone al servizio della società con un atto volontario, spontaneo e gratuito pregno di responsabilità.

Di qui l’azione educativa che tende alla realizzazione dei luoghi del bene, del curare e del “prendersi cura” dell’Altro. E a tal proposito sono proprio le nuove frontiere della Scienza Medica che inducono a diverse considerazioni intorno ad una rinnovata visione del mondo. 

La cultura della donazione sia essa di sangue, di organi o del nostro essere disponibile all’ascolto dell’Altro, all’holding, forse, è soltanto una delle possibilità che viene offerta di riappropriarsi della cultura della dignità dell’essere umano e della reciprocità in una società che spesso non percepisce il significato profondo della solidarietà, secondo la quale l’impegno per sé e per l’Altro da sé scaturisce dalla consapevolezza che «tutti siamo veramente responsabili di tutti». Si tratta di intravedere dentro e fuori di noi la dimensione della responsabilità sulla quale poter coniugare il valore della solidarietà, dell’essere con l’Altro e per l’Altro. 

Il sangue rappresenta il fluire della vita e tutte le sue rappresentazioni: il sangue nutre e porta ossigeno… Il sangue è indispensabile: è la linfa vitale.

Non credo che tecnicamente sia difficile donare il sangue, più complicato – come è noto – è la donazione degli organi che richiede ben altre condizioni… eppure dalla mia esperienza posso affermare che si verificano molte resistenze anche alla donazione di sangue. Il sangue si rigenera… eppure c’è carenza di sangue…

Occuparsi dell’educazione alla cultura della donazione significa, in realtà, spostarsi verso una soglia molto più ampia dell’altruismo che va ad inscriversi oltre le stesse frontiere «della reciprocità e della simmetria (donare e ricevere, donare per ricevere) e si colloca come forma superiore, non più arcaica, proprio perché essa si lascia regolare da un principio di relazionalità asimmetrica» in cui appare l’Alterità e dunque la «solidarietà tra estranei». La relazione duale, infatti, a causa dell’estraneità del donatore, viene trascesa. In tal senso la donazione di sangue o di organi si colora di una forte eticità. 

Si tratta, in verità, di un modo molto più profondo di ripensare la corporeità all’interno di una civiltà sempre più tecnologica e talvolta persa nel mondo virtuale dove tutto diventa sempre più facile fino a far perdere il senso dei limiti. Una società che nega la morte, il dolore, la sofferenza dell’Altro è una società alienata che sprofonda nella palude del narcisismo in nome della qualità della vita. In tale contesto non c’è posto per la perdita, il lutto, la separazione: una società che nega il principio di realtà non è in grado di elaborare e pertanto non si avvia ai processi maturativi.

In realtà angosce profonde la caratterizzano insieme alla percezione di antiche scissioni e processi psichici molto problematici che fanno sì che nulla riesca più a “commuovere” se non l’uso estremo della violenza quale espressione di rabbie profonde e massive proiezioni.

Il corpo, oggi più che in altre epoche, non è più inteso nella sua corporeità bensì nella sua “carnalità”, quale metafora di aspetti frantumati, di oggetti parziali e assemblati, che finiscono per essere parte integrante della visione utilitaristica del mondo e porre così in discussione l’identità della persona nella sua unitarietà. 

In tale contesto, che giunge finanche a livelli dissociativi notevoli rappresentati in parte dal mondo mediatico e virtuale che facilita l’emergere e il consolidarsi degli infantili sentimenti di onnipotenza e di eternità, risulta molto difficile per l’essere umano riconoscere la realtà della sofferenza e della necessità della condivisione del dolore dell’Altro senza peraltro colludere. 

La sfida della cultura della donazione si fonda, invece, sulla ricentralizzazione del valore della persona nella sua totalità. Ma impegnarsi per una cultura della salvaguardia della vita significa anche riflettere e continuamente «vigilare sulle ragioni profonde e sulle modalità esistenziali della nostra oblatività», vale a dire sulle motivazioni che determinano la scelta dell’essere volontari e dell’atto volontaristico. Fondamentale, infatti, è la consapevolezza delle proprie scelte affinché la logica del dono si inscriva nella dimensione della solidarietà come tale.

D’altra parte sembra che sia veramente giunto il tempo di comprendere che siamo dinanzi ad un’epoca in cui tutto ciò che ci appariva straniante ed estraneo in realtà ci appartiene sin dall’alba dei secoli. Mi riferisco in modo particolare alle ultime scoperte della genetica. Di qui la necessità di una diversa costruzione di una rete di relazioni e di condizioni in cui chiaramente si disveli la «improseguibilità della civiltà del consumo, ormai non più tollerabile non solo dagli equilibri della biosfera ma anche dagli equilibri della psiche umana». Ed è soltanto in tale dimensione che è possibile accogliere l’Estraneità, ovvero l’Alterità, che in ogni caso rappresenta sempre una parte di noi. Così come è soltanto in questa ottica che il “curare” non può essere scisso dal “prendersi cura” dell’Altro. L’atto di donazione rappresenta proprio il “prendersi cura” di coloro che soffrono.

In realtà, come scrive Winnicott, «la natura umana non è definibile in termini di mente e di corpo - è una questione di interrelazione tra psiche e soma, con la mente che sorge sul confine del funzionamento psicosomatico». Di qui la considerazione che lì dove esiste un dolore fisico emerge anche un dolore psichico e viceversa. Il paziente che soffre di una qualsivoglia patologia immancabilmente comunica “altro” sia al medico che a tutta la costellazione familiare. Non è più un mistero che il corpo, nella sua complessità di psichesoma “parla” anche attraverso la malattia. Ed è all’interno di questa “parola”, se pur enigmatica e misteriosa, che è possibile percepire il senso della «qualità assoluta della persona» che chiede aiuto. È evidente che l’holding necessario, soprattutto per quanto riguarda la cultura della donazione di sangue,organi o tessuti, non può essere il risultato di una imposizione o di messaggi manipolativi, bensì il frutto della consapevolezza che lo sviluppo della dimensione del futuro è affidato alle responsabilità dell’uomo. 

Il sole è sorto anche nel  ventunesimo secolo e la società, proprio attraverso le manifestazioni di quella eccessiva violenza quale bisogno compulsivo di provare emozioni e sensazioni, ci appare smarrita alla ricerca di quella identità, indispensabile base di un’antica e nuova coscienza. 

Ma è proprio la Scienza Medica contemporanea che consente a tutti la possibilità di intravedere altri orizzonti, permettendo di interrogarsi sul proprio modo di “essere al mondo”, all’interno di “un’etica planetaria” comprensiva di tutti gli altri esseri viventi di cui non siamo i padroni, bensì gli amorevoli custodi. Ed è proprio nel confronto fra scienze e conoscenze differenti che può essere coniugata l’umanità nella sua pienezza fatta di amore, ovvero intessuta profondamente della capacità di essere solidale e di donare parti di sé senza per questo sentirsi impoveriti, defraudati o disintegrati.

In altri termini è fondamentale, ormai, riscoprire che il senso della responsabilità nei confronti di se stessi e degli altri nonché della solidarietà, deve essere sostenuto dalla lucida coscienza dell’equità, dalla condivisione dei problemi e dal rispetto delle differenti opinioni. Non a caso M. Merleau-Ponty ha affermato che «nel corpo non ci sono due nature, ma una duplice natura: il mondo e gli altri diventano la nostra carne». 

Si stabilisce in realtà un intimo dialogo, quasi un colloquio di «amorosi sensi» con se stessi, con l’Altro da Sé, con la Natura nella sua interezza. Ci si augura, dunque, che nel futuro le capacità emotive, affettive, intellettive e conoscitive umane siano «lo strumento critico capace di rimettere costantemente in questione se stesso» in grado di operare delle scelte consapevoli.

«Naturalmente emergono con più intensità interrogativi che inducono ad un’analisi di tutte quelle tematiche relative alla questione del “corpopsiche”, all’identità e a tutto ciò che ha a che fare con il Sé, con la propria immagine corporea e psichica.

È evidente che se per i trapianti sembra essere la questione della “morte”, quale esperienza di impossibilità e di irrappresentabilità oltre che di limite estremo, a rappresentare il fulcro del discorso relativo alle difficoltà riscontrate nella cultura della donazione degli organi, per quanto riguarda la donazione di sangue centrale diventa l’educazione al “dono di sé”, al senso dell’essere che scaturisce dalle possibilità che l’uomo ha di elaborare la perdita.

Nel prossimo futuro probabilmente si apriranno problematiche ancora più complesse, che riguarderanno più da vicino i nuclei delle grandi questioni etiche, esistenziali e psicologiche. Saranno, forse, le nuove scoperte a far sì che l’uomo si renda pienamente conto di essere parte di una Natura, in cui la vita e la morte di qualsiasi essere vivente sono degne di rispetto e di attenzione per il loro valore esistenziale e non già per gli scopi utilitaristici ai quali spesso generalmente si fa riferimento abituale. 

La possibilità di trapiantare il “cuore” di un babbuino, il “fegato” di un maiale potrà facilitare in noi la diversa visione di un mondo in cui possa splendere nuova luce su tutte le creature che lo abitano. Tutti gli esseri viventi, infatti, sono degni di rispetto e considerazione… E forse soltanto quando si realizzerà tale dimensione emotiva, affettiva e cognitiva si potrà cominciare ad intravedere la nascita di una rinnovata civiltà»4.

Nella nostra mente, a questo punto, non può non affiorare il grande mito della Sfinge, e del suo enigma inscritto nel suo corpo di pietra dal volto umano, dal seno di donna, dalle ali dell’aquila, dalle zampe di un leone, dalla coda del drago… Si tratta del mistero della vera identità umana. Una antica chimera... forse prossima perturbante realtà, così come da ultime comunicazioni scientifiche da parte di biologi e genetisti, su cui ampiamente riflettere! È proprio vero quanto Ernesto Balducci sostiene: «La scienza non è che un dialogo mutevole tra mente umana e universo. La mente umana è nell’universo che ha prodotto la mente umana, e a sua volta l’universo è quale la mente umana lo produce»5.

L’amore per sé e per l’Altro da sé non è scisso dall’amore per il creato. È, infatti, l’aspetto solidaristico consapevole, profondo, spontaneo, gratuito e volontario nei confronti di tutti le creature viventi che definisce la nostra identità di esseri umani. Claudio Bucciarelli afferma che «è in questa direzione che ogni azione volontaria, in favore dell’altro e di tutta la realtà creata, acquisisce e comunica la sua gratuita e autentica qualità».

Certo è che dinanzi alla grande richiesta di aiuto da parte di pazienti in gravi difficoltà, bisognosi talvolta con urgenza di sangue, di organi, di tessuti non si rileva da parte di tutti noi una crescita della consapevolezza civile nei confronti della donazione. 

A noi sembra necessario innanzitutto il recupero della dimensione consapevole del proprio modo di agire, di ascoltare e di sentire la reale possibilità di rispettare la vita e la morte, nonché per esempio il dolore e la disperazione dei parenti dinanzi ad un corpo che è il testimone dell’identità di una persona cara che non c’è più. 

In ogni caso nel ritorno alla centralità dell’individuo si colloca la questione complessa e affascinante della educazione alla cultura della donazione di parti del proprio corpo, sangue o tessuti, oltre che di tutte le altre frontiere della Scienza Medica. Ed è forse soltanto in tale ottica che tutti possiamo accettare il confronto con il dolore e l’angoscia del nulla che l’idea della morte determina in noi. 

Si tratta anche di imparare a percepire che l’identità che da sempre abbiamo faticosamente costruito fin dall’infanzia durante il tempo della nostra vita non si frantumerà con l’atto di una donazione consapevole, bensì incontrerà il senso più profondo dell’esistere che si costituisce nel riconoscere la sofferenza dell’Altro, l’Alterità del bisogno, la coscienza che è possibile trascendere i confini della propria identità individuale per ridefinire la propria rinnovata umanità. È forse in tale dimensione che si inscrive il senso del nostro esistere sulla Terra: il Volontario, infatti, è il testimone di un modo profondamente e spontaneamente solidaristico di pensare se stesso, l’Altro, la Vita.

Don Tonino Bello ha scritto: «Coraggio, profeti della primavera. / Anche se starete sui ghiacci del polo, / non vi mancheranno sarmenti / per impedire al fuoco che si spenga». Questa è forse la sfida su cui può essere progettata e costruita insieme all’Altro la dimensione del futuro. Ed è di questo che ora bisogna incominciare a parlare.