Laura Mà: ''Ho scelto di mostrarmi per ciò che sono davvero''
E' in radio e in digitale “Ad un passo dalla mia follia'', il nuovo singolo della poliedrica cantautrice Laura Mà. Il brano racconta le vite invisibili dei senzatetto, esplorando la fragilità e la dignità di chi vive ai margini della società e mette in luce la possibilità di risalire dalle cadute più profonde, trasformando dolore e solitudine in energia e speranza.
Laura Mà (nome d’arte di Laura Manuela Di Biagio) è autrice, produttrice e interprete dei suoi brani,. Nel corso della sua formazione artistica ha studiato con grandi maestri di canto e pianoforte, tra cui Maria Grazia Fontana, Lello Abate, Fabrizio Zaniol e Giusy Zaccagnini. Ha partecipato a numerosi festival e concorsi musicali, tra cui nel 2017 il Festival di Castrocaro, nel 2018 Una Voce per l’Europa e X Factor, nel 2020 Musica contro le Mafie, nel 2021 Sanremo New Talent Winter e nel 2023 Il Premio Lunezia e Il Roma Music Festival.
''Ad un passo dalla mia follia'' cosa rappresenta nel tuo percorso artistico?
“Ad un passo dalla mia follia” rappresenta un vero punto di svolta nel mio percorso artistico. È il brano in cui ho deciso di non filtrare più nulla: né le mie fragilità né quelle delle persone che incontro ogni giorno. Per anni ho cantato cercando di essere precisa, corretta, impeccabile… poi ho capito che l’arte non nasce dalla perfezione, ma dalle crepe. Questo singolo segna il momento in cui ho scelto di mostrarmi per ciò che sono davvero: una donna che ha conosciuto la caduta e la rinascita, una psicologa che ascolta le fragilità degli altri e una cantautrice che trasforma il dolore in voce. È un passaggio identitario: da “cantare” a “testimoniare”. Per me questo brano è come aprire una porta e dire: “Ecco chi sono davvero, senza protezioni”.
Un brano che mette in risalto una realtà difficile, come quella dei senzatetto. Cosa ti ha spinto a raccontare questa problematica?
Mi ha spinto l’impossibilità di voltarmi dall’altra parte. Ogni mattina, andando al lavoro, incontravo persone senza dimora nella stessa piazza, che vivevano lì, immobili, invisibili, come se fossero parte del paesaggio. Ma non lo erano. Erano esseri umani, con una storia, un nome, un passato. A un certo punto ho sentito che non potevo più essere solo spettatrice. Come psicologa e come cantautrice, ho percepito il bisogno di dare voce a chi non ne ha, a chi è diventato “invisibile” pur vivendo accanto a noi. Dietro ogni persona che dorme su un cartone, c’è una storia fatta di cadute improvvise, dolore mentale, traumi, dignità ferita, una depressione non curata, un lavoro che finisce, una perdita. Ho scritto questo brano perché il confine tra noi e loro è sottile. La follia e la strada non arrivano all’improvviso: ti scivolano vicino in silenzio. Cantare di loro è stato un dovere umano, prima che artistico.
Bisognerebbe creare più centri d’accoglienza?
Sì, ma non basta. Un letto non salva una vita se manca un accompagnamento umano. Abbiamo bisogno di centri d’accoglienza, certo, ma anche di: supporto psicologico, percorsi di reinserimento, ascolto professionale, continuità nelle cure, reti sociali che non abbandonano. La strada è un luogo di solitudine estrema, e la solitudine è il vero nemico. Lo Stato deve intervenire, ma anche la società deve fermarsi, guardare e riconoscere chi abbiamo accanto. Perché nessuno sceglie davvero di vivere ai margini.
Tra le tante esperienze artistiche che hai vissuto, qual è quella di cui vai più fiera?
Sono fiera di ogni palco, audizione e concorso, ma la vera soddisfazione nasce dalle esperienze invisibili: le lacrime che nessuno vede. Di tutto il mio percorso, ciò che mi rende più fiera è aver avuto il coraggio di trasformare le ferite in voce. Questo brano è il simbolo di quel coraggio. Non è solo una canzone: è un modo per dire che si può rinascere, sempre, anche quando sei a un passo dalla tua follia.
