Quante basi americane in Italia? Riecco "la Repubblica delle Banane"!

(Foto: la base di Gioia del Colle)
di Roberta Calò. “Te lo dico io quante sono e voi mi guarderete e mi direte è impossibile. 113!”.Questo è quanto Beppe Grillo ha gridato a gran voce nel corso del V2 day del 25 aprile scorso.
Durante una puntata della trasmissione Matrix, Alfonso Desiderio del Limes ha chiarito: “Le basi sono regolate dall’accordo segreto del 1954 quindi la presenza americana in Italia si giustifica con gli accordi Nato o comunque con l’accordo bilaterale con gli Stati Uniti”. La risposta all’omertosa verità che sembra non tangere un’opinione pubblica italiana annebbiata da una politica governativa di strumentalizzazione della mente umana, giunge dal giornalista italiano Alberto Mariantoni, il quale ha approfondito una filosofia di pensiero sull’influenza dell’ onnipotenza americana nel nostro paese. Le basi militari USA nella nostra nazione sarebbero oltre cento confermando ora sul piano militare, ma da anni già consolidato a livello subliminale sul piano sociale, la figura dell’Italia, parafrasando le parole del giornalista stesso, come “una Repubblica delle Banane”. Lo studio condotto dal giornalista italiano, impegnato nella ri-scrittura apocrifa della storia sul piano nazionale e internazionale, contesta l’impreciso numero descritto dal collega Grillo e lo fa sulla base di studi condotti con rilevamenti in loco delle singole realtà. La sua spiegazione farebbe riferimento a basi e/o installazioni militari e logistiche americane ma anche quelle italiane e della Nato perché, secondo Mariantoni, sarebbero comunque sotto controllo dell’America. L’ottica dovrebbe dunque apparire chiara e inequivocabile; l’Italia geograficamente dislocata di fronte alla Libia come più facile base di partenza per un attacco ma altrettanto in pericolo come bersaglio scoperto per un’eventuale controffensiva libica, si fa tirare le fila da un paese che si trova dall’altra parte del globo, ben lontano dalle bombe, dagli attentati, dagli sbarchi dei profughi e che cela dietro la svettante crociata umanitaria, interessi economici ben più forti. Un obiettivo di spessore se si tiene conto che la Libia produce all’incirca 1,7 o 2 milioni di barili di petrolio al giorno (secondo produttore dell’Africa, dopo la Nigeria) ed un PIL di all’incirca 87 miliardi di dollari (14.200 usd per abitante) l’anno. Sorgerebbe allora spontanea la domanda sul come mai l'Italia, in trattative da ben 40 anni con questo paese, sia improvvisamente insorta contro l'autocrazia di Gheddafi. Il controllo, diretto o indiretto, di paesi in disordine è un'occasione unica per la gestione arbitraria di fonti economiche abbandonate all'anarchia. Un dato forse meno tangibile, ma non trascurabile, della manipolazione dell'Italia e di tanti paesi europei palesemente strumentalizzati da poteri transoceanici. Come suggerirebbe Mariantoni a un suo compatriota: "Sappiate una cosa e questo lo diceva già Machiavelli alla sua epoca. Due sono le prerogative del principe: battere moneta e disporre del monopolio dell’utilizzo della forza armata. I nostri stati, in Europa soprattutto, non posseggono né l’uno n’è l’altro. Perché battere moneta lo abbiamo delegato alle banche private e disporre dell’utilizzo della forza armata l’abbiamo delegato alla Nato la quale lo ha delegato agli Stati uniti la quale lo ha delegato ad alcune aziende nazionali. Noi ci facciamo guerre per permettere a loro di fare soldi in Irac, di fare gli oleodotti in Afghanistan. Quindi cosa vuol dire essere primo ministro in una società del genere? Nulla". Come diceva Benjamin "il buon Dio abita nei dettagli". Una conclusione dunque facilmente condivisibile quella a cui giunge il celebre giornalista entro uno status quo di equilibri internazionali in cui le coincidenze sembrano diventare ormai troppe: "Ho molto esitato, negli ultimi giorni, ad ipotizzare uno scenario di tipo complottista. Ma – dopo l’eliminazione ad hoc dei “fusibili” Ben Ali (in Tunisia) e Mubaraq, in Egitto e la distribuzione a iosa ai rivoltosi libici, delle complicate e difficilmente realizzabili bandiere monarchiche incomincio seriamente a sospettare che – da parte degli Stati Uniti (e di qualche loro immancabile ed indefettibile alleato, come la Gran Bretagna e, forse, anche della Francia) – ci sia la precisa e viziosa volontà di destabilizzare l’insieme degli Stati del bacino mediterraneo".

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