Un nuovo libro di Michele Fanelli su ricette, usanze e buone creanze baresi
Un volume che l’autore dedica a tutte le donne baresi del passato che attraverso la creatività, dettata dalla povertà, sono state capaci di inventare dei veri capolavori di arte culinaria barese, conditi anche con un po’ di dialetto barese.
Di che si tratta: è una passeggiata culinaria attraverso ricette, aneddoti, leggende e fatterelli che si snocciolano lungo il percorso editoriale con la presentazione di piatti che mani sapienti hanno saputo preparare per noi in momenti in cui le avversità della vita ci hanno costretto ad arrangiarci. Ma le nostre donne non si sono mai perse d’animo e hanno preparato “di tutto e di più”, in momenti critici, ma lo hanno fatto con tanto amore e passione che alla fine hanno prodotto anche piatti eccezionali come la famosa e ormai internazionale tièdde de “rise, patàne e cozze” o la “parmegiane de melengiàne”.
Ma l’estro delle nostre nonne si è scatenato a tal punto che non si sono fermate solo ai primi piatti, ma hanno esteso il ricettario ai piatti terapeutici (riso in bianco con parmigiano per facilitare la digestione, o la fettina di carne al sangue e lenticchie senza pasta per gli anemici); ai piatti delle feste, le cosiddette ‘feste terribele’, ai liquori (il classico ‘resòglie de lemòne o de cafè’); ai dolci delle feste (zèppue, carteddàte, scarcèdde), alla pasta fresca (strascenàte, làneche, tagghiarine), alle conserve, al pane ed alle focacce. Il tutto “condito” con alcune poesie in dialetto barese appropriate ad alcuni argomenti presentati, come ad esempio quella dedicata alla classica ‘brasciola” barese, dello stesso autore, che si riporta in calce. Insomma una strenna per le imminenti festività.
LA BRASCIOLE
di Michele
Fanelli
La demeneche
sope alla taue
non esiste
raggione
ce non ge sta
na bella brasciole.
U uaddore iè
tande assà
che non vite
l’ore de mangià.
Menze alla
strade, jinde a le vie
U uaddore iè
da Die.
Aqquanne la
tine nanze a tè
u prime
penzire, vedime a comme iè.
L’appunde che
la fercine
l’acchiaminde
iè belle e fine.
Che la vocche
tutta spalancate
nge da la
prima mezzecuate.
Iè tande bone
che sparisce
che nu beccone.
Santa
brasciole si bona assà
e la demeneche
senza de tè non se pote stà.
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