I riti della Settimana Santa a San Marco in Lamis
Il Mercoledì e il Giovedì Santo nella chiesa dell’Addolorata i Confratelli, vestiti con camice, mozzetta e scapolare, cantano ‘li fruffecicchie’ (profezie), che sono 15 Lamentazioni tratte dall’Antico e Nuovo Testamento. La sera del Giovedì Santo inizia la visita ai cosiddetti ‘Sepolcri’ che continua per tutta la mattinata del Venerdì.
I fedeli delle diverse parrocchie si recano nelle varie chiese fino a qualche anno fa processionalmente. In tale giorno si coprivano tutte le immagini che si trovavano in chiesa e si spogliavano gli altari. Le bambine portavano in processione, sulle braccia, un cuscino con i simboli della Passione: la corona di spine, i chiodi, i dadi, la scala, la fune, il martello, la lancia e il fazzoletto della Veronica.
All’alba del Venerdì Santo anche la statua della Madonna Addolorata viene portata in processione per le vie del paese alla ricerca del Figlio nei vari “Sepolcri”, abilmente preparati e addobbati da persone esperte. In passato venivano adornati con “piatti coperti di grano giallo, coltivato dalle devote al buio in qualche stipo o cassettone, perché sia del pallore che si addice alla circostanza” (G. Tancredi). È una delle processioni più toccanti della Settimana Santa. Partecipa una folla immensa di cittadini di ogni età e censo a cui si aggiungono tanti sammarchesi che per motivi di lavoro vivono fuori paese.
È molto commovente al mattino presto sentire i due cori, quello maschile e quello femminile, che alternativamente cantano lo Stabat Mater. Questa è forse la processione più sentita e senza dubbio la più partecipata. Anche la sera la statua della Madonna Addolorata ripercorre le strade del paese preceduta, questa volta, da numerose fracchie (grandi torce di dimensioni diverse costruite da un tronco spaccato longitudinalmente e riempito di rami, sterpi, schegge di legno e frasche).
Non si sa con precisione quando sia nata questa processione, senza dubbio è da collegare alla costruzione nel 1717 di una chiesa in località Monte di Mezzo da parte del canonico don Costantino Iannacone, dedicata alla Vergine dei Sette Dolori di cui era molto devoto. Dopo la sua morte (1720) i suoi eredi la cedettero in uso perpetuo alla Chiesa (1749). La devozione e il culto della Madonna si diffuse rapidamente tant’è che nell’anno della cessazione nacque la prima Confraternita che senza dubbio contribuì all’aumento della devozione per la Vergine dei Sette Dolori. Nel 1872 il Consiglio Comunale La nominò Compatrona della città .
“Quando nel 1717 nasceva la chiesa, rimanendo l’estensione del paese circoscritta tra la Collegiata e la Chiesa del Purgatorio, con alcune isolate abitazioni lungo il tratto per San Bernardino, il tempio dell’Addolorata si trovava, e non di poco, fuori le mura, e lì sarebbe rimasta fino all’ultimo ventennio dell‘800. Trovandosi, quindi, la chiesa fuori delle mura e mancando il paese di qualsiasi tipo d’illuminazione, i contadini del tempo potrebbero aver concepito le fracchie esattamente allo scopo di illuminare la strada alla Madonna, tra la sua chiesa e la Collegiata, mentre andava alla ricerca del Figlio morto. E in seguito, sempre allo stesso scopo, si dovettero concepire anche i lampioncini alla veneziana, ormai caduti in disuso, che venivano disposti sui balconi lungo il corso attraversato dalla Madonna. Stando alla tradizione popolare, in origine le fracchie avevano piccole dimensioni, superando difficilmente il peso di un quintale, e venivano trasportate a braccia, le più piccole da una sola persona e le più grandi da tre: due reggevano due assicelle su cui era posta la fracchia, e la terza la reggeva sul retro. Fu dopo la prima guerra mondiale che si cominciò a costruire fracchie di grandi dimensioni e a trainarle su ruote di ferro (...“ Ciavarella M. Garganostudi, Rivista quadrimestrale del Centro Studi Garganici. Anno III. Monte Sant’Angelo, 1980).
Fino agli anni ’60 le fracchie di grossa mole erano poche. Esse erano preparate per devozione verso la Madonna e a proprie spese, da qualche imprenditore (Matteo Soccio e dai carbonai più famosi del paese: Ggire Maruzze (Ciro Iannacone), Ualanédde (Gualano), Carrubbine (Lombardi), Michele la Riccia ecc. Con la quasi scomparsa di questi operatori la preparazione delle fracchie passò ai giovani che abitavano nello stesso quartiere e la legna veniva fornita dall’Amministrazione Comunale e si assistette così negli anni ’70 e ’80 ad un aumento vertiginoso del numero e delle dimensioni delle fracchie. Negli anni ’80 alcune pesavano circa cento quintali.
Oggi, grazie anche alla protesta degli ambientalisti, la Giunta municipale con apposita deliberazione ha stabilito che è ammessa la costruzione di fracchie di peso non superiore a 25 q.li.
La sera del Giovedì Santo tutte le fracchie sono pronte e i costruttori, per evitare che qualcuno possa danneggiarle, fanno la veglia per tutta la notte. Si riuniscono attorno alla propria fracchia col capofracchista che racconta le sue esperienze passate, ma soprattutto per insegnare ai giovani quali sono gli accorgimenti da usare per costruire una fracchia che bruci bene, che non penda lateralmente e che non si scomponga durante il tragitto.
Nelle primissime ore del pomeriggio del Venerdì Santo 20-30 ragazzi col capofracchista, vestiti in costume (berretto di lana, generalmente di colore rosso con pompon che lambisce le spalle, camicia bianca, gilè nero o comunque scuro, pantaloni fino al ginocchio, calzettoni generalmente bianchi con pompon), trasportano la fracchia in Viale della Repubblica, in prossimità della chiesa dell’Addolorata, dove vengono messe in fila in ordine di grandezza. Qualche minuto prima che inizi la processione vengono irrorate di liquido infiammabile e poi accese.
La processione inizia con le fracchie piccole portate dai bambini accompagnati dai familiari; seguono quelle più grandi, poi i lampioncini e le scene viventi riguardanti la Passione di Gesù preparati dalle scuole, dalle associazioni o anche da privati cittadini; viene poi la statua della Madonna Addolorata seguita dai fedeli che cantano lo Stabat Mater. Chiudono la processione le fracchie di media grandezza e le giganti che lungo il tragitto vengono ‘stuzzunijate’ (stimolate) dal capofracchista ‘cu lla véria’ (una sorta di verga), nei punti in cui la combustione lascia a desiderare. Lo stimolo provoca la levata al cielo di una lingua di fuoco e di una miriade di scintille che creano uno spettacolo unico e molto suggestivo.
Finita la processione, le fracchie vengono spente e poi trasportate nei quartieri di origine dove la legna rimasta viene donata o venduta (anche per recuperare una parte delle spese) oppure viene conservata per l’anno successivo.
I lampioncini, le scene viventi e le fracchie vengono giudicate dalla Giuria della Pro Loco “Serrilli” che premia con trofei i migliori. Le fracchie che vengono più apprezzate sono quelle che bruciano meglio e che sono state costruite con maestria.
Fino a qualche anno fa nel pomeriggio del Sabato Santo sfilavano, invece, in processione le statue del Cristo Morto e della Madonna Addolorata della chiesa di Sant’Antonio Abate, accompagnate da fedeli (una volta le donne che partecipavano si vestivano di nero) che cantano il Miserere e canti legati alla Passione. Da qualche anno questa processione viene anticipata al Venerdì Santo pomeriggio.
I riti della Settimana Santa a San Marco in Lamis si concludono con la processione della Madonna Addolorata che nel giorno di Pasqua, a mezzogiorno, vestita a festa, ripercorre le strade del paese quasi a voler invitare il popolo a partecipare alla sua gioia.
Nel passato il Sabato Santo, verso mezzogiorno al momento della Resurrezione di Gesù ‘ce ssciugghiévene li campane’ (si scioglievano le campane delle Chiese), cioè suonavano a festa, dopo due giorni di silenzio completo. Per ricordare ai fedeli l’inizio delle cerimonie religiose, giravano dei ragazzi per le strade della parrocchia suonando la trènnela (raganella).
In tutti i paesi del Gargano le giovani mamme rucelà vene (facevano ruzzolare) su una coperta stesa per terra in mezzo alla strada, i loro bimbi, che incominciavano a muovere i primi passi, convinte che come “e ssciugghiévene li campane accuscì c’èvena ssciogghie li jammicciòle de lli meninne” (con la convinzione che con lo sciogliersi delle campane anche le gambette dei bimbi dovessero camminare liberamente).
Subito dopo Pasqua i parroci, girano per la città per benedire le case ed accettare offerte. Una volta, invece, la padrona di casa offriva delle uova che il chierichetto o il sagrestano conservava con cura in un paniere di vimini.
Le notizie di cui sopra sono state riprese dal volume di Grazia Galante «La religiosità popolare di San Marco in Lamis» (Paolo Malagrinò Editore).