Libri: la storia militare del Regno delle Due Sicilie raccontata nell'ultima opera di Francesco Maurizio Di Giovine

di PIERO LADISA – La casa editrice napoletana Controcorrente, specializzata in storia del Mezzogiorno, ha pubblicato tra le sue ultime novità “Pagine di storia militare del Regno delle Due Sicilie” (pp. 221 € 20,00 ). In quest’opera l’autore, Francesco Maurizio Di Giovine, cultore di Storia Patria, racconta con dovizia di particolari gli avvenimenti bellici che videro protagonisti gli uomini dell’esercito borbonico, ma anche semplici civili, che difesero la causa del Regno fino alla morte. 

Tra gli episodi citati nel testo non mancano riferimenti riguardanti la Puglia, parte integrante e attiva del Regno delle Due Sicilie. Come ad esempio la fedeltà mostrata della famiglia Marulli originaria di Andria che, per sostenere economicamente la creazione di reparti di cavalleria specializzati, atti a sostenere l’armata della Santa Fede per liberare lo Stato borbonico, ipotecò i propri immobili. Oppure la difesa ad oltranza della maggior parte delle città e paesi della Capitanata che si è oppose all’esercito piemontese. 

Visti gli argomenti trattati, analizzati con criterio scientifico e accompagnati da una ricca e dettagliata bibliografia, il testo potrebbe essere tranquillamente utilizzato nei vari Atenei come parte monografica per l'esame di Storia Contemporanea.


INTERVISTA ALL'AUTORE 

D. Perché in questa nuova opera ha voluto focalizzare la sua attenzione sulla storia militare del Regno delle Due Sicilie?
R. «La storia militare del regno delle Due Sicilie è stata raccontata dalla parte uscita vincitrice dallo scontro risorgimentale. Ed il racconto è stato solo grottesco. Carico di menzogne e di luoghi comuni. La maggior parte degli uomini che nel 1860-61 indossavano la divisa dell'esercito Napolitano, non entrarono nell'esercito del regno d'Italia e furono molto vessati. Nel mio libro ci sono varie biografie che testimoniano la sofferenza di questi uomini. Morirono dopo essere stati dimenticati. Eppure avevano servito il loro Paese con lealtà e coraggio quando tutto sembrava perduto. Non ci fu mai un pubblico riconoscimento. Anzi questi uomini passarono alla storia come l'esercito di Franceschiello. A tale proposito La invito a leggere le poche pagine della lettera aperta che inviai a Paolo Mieli quando era direttore del Corriere della Sera ed in tale veste ospitò un disegno del bravo Giannelli, vittima anche lui del pregiudizio risorgimentalista che, nel descrivere lo stato di confusione che regnava nel PD, titolò la vignetta, dove si vedevano in marcia libera gli esponenti politici, con la stupida frase "L'Esercito di Franceschiello"». 

D. Consultando il testo ci si imbatte in un folta bibliografia. Tra gli episodi citati nel libro, quale ha richiesto un’analisi più approfondita delle fonti?
R. «La storia più complessa è quella che riguarda la Sicilia. Su di essa è stato scritto tanto ma sempre in termini utili al processo unitario. E' stato un lavoro lungo per ricercare le fonti obiettive. E devo aggiungere che proprio sulla Sicilia c'è ancora molto da studiare e da scrivere. La verità è che la Sicilia fu sin dall'inizio dell'Ottocento preda ambita dell'Inghilterra che se ne voleva impadronire e tutti gli avvenimenti successivi vanno in quella direzione. Paradossalmente mi permetto di sostenere che l'attuale Italia se conserva ancora la sovranità sulla Sicilia lo si deve a Ferdinando II che, dopo la rivoluzione del 1848, inviò in Sicilia il generale Filangieri con l'ordine di riconquistarla. Se ciò non fosse avvenuto la Sicilia sarebbe caduta elle mani dell'avida Inghilterra». 


D. Come mai la storia del Regno delle Due Sicilie viene ancora oggi screditata, bistrattata, e il più delle volte accantonata?
R. «Il ceto intellettuale del Sud si è sempre sentito asservito al ceto intellettuale del Nord e non ha mai avuto il coraggio di alzare la testa. Oggi a chi gioverebbe difendere la memoria storica del Sud? Nelle università del Sud è possibile trovare degli spiriti indipendenti che vogliono riscrivere la nostra storia, la storia del Mezzogiorno d'Italia, al di fuori degli schemi neo-illuministi?
Qualcosa si comincia a muovere e colgo l'occasione per rendere omaggio alla memoria di un grande storico del Sud che ha reso onore all'università di Bari. Tommaso Pedio. Il quale cominciò a scoperchiare il calderone delle menzogne giacobine sul Sud». 

D. Tesi gramsciana o tesi crociana? Lei in quale si rispecchia maggiormente?
R. «Per dare una risposta esauriente, ma breve, dobbiamo partire da Croce. Il quale sostenne che il regno delle Due Sicilie era morto in idea nel 1848. Cosa nasconde questa frase? L'impotenza degli intellettuali liberali che non perdonarono a Ferdinando II di aver sconfitto la rivoluzione borghese con le sole armi nazionali. Non ci furono eserciti stranieri per sconfiggere la rivoluzione napoletana. Essa fu sconfitta dal nostro esercito e dalla mancanza di appoggio popolare. Infatti non bisogna dimenticare, come ha spiegato brillantemente Tommaso Pedio, che gli operai di Napoli, il 15 maggio del 1848 non andarono sulle barricate fatte dai liberali e dagli studenti strumentalizzati. Essi rimasero al loro posto fedeli al Re. A Pietrarsa, gioiello metalmeccanico della monarchia borbonica, in quei giorni gli operai non si mossero dalle loro macchine. E questo deve pur dire qualcosa. Croce, che come ripeteva spesso il compianto Tommaso Pedio, fu una vera croce per il Sud. Aveva in testa un'idea della storia. Un'idea sua, rispettabile, ma che lui voleva far passare per realtà storica. E così non si può fare la storia. Concludo su questo punto affermando che la tesi crociana è da respingere. E dunque mi rifaccio alla tesi gramsciana. Gramsci era sardo, a passò l'infanzia a Gaeta e vide i resti straziati dei difensori di Gaeta, i soldati borbonici appunto, sepolti senza riti religiosi su terreni divenuti successivamente strade o piazze. Senza il pur minimo segno di ricordo e di rispetto. Poi osservò il brigantaggio ed individuò in esso i prodromi della futura lotta contadine. Di conseguenza ne diede una interpretazione che è da inserire nella storia della lotta di classe. Niente di più falso. Il brigantaggio, per confutare la tesi gramsciana, fu una guerra di legittima difesa a cui partecipò uno schieramento eterogeneo della popolazione. Dai soldati renitenti alla leva imposta dai vincitori unitaristi, ai commercianti, ai soldati, agli operai, agli artieri, ai contadini, ecc. Non lotta di classe ma guerriglia per la legittima difesa di un Sud cancellato dalle carte geografiche. Ed allora qualcuno si chiederà perché rispolverare queste storie. Rispondo con semplicità. Da uomo del Sud, mi sento discendente ed erede dei popoli che costituirono il regno delle Due Sicilie. Questo regno era uno dei più antichi d'Europa. Era sorto la notte di Natale del 1130 nella cattedrale di Palermo e, con dinastie diverse, ma tutte Napoletanizzatesi negli usi, nei costumi e nelle leggi, per concludersi il 21 marzo 1861 con la caduta di Civitella del Tronto. Studiare questa nostra storia per farla conoscere ai nostri giovani, agli uomini ed alle donne del sud, ai figli ed ai nipoti dei nostri fratelli che furono costretti ad emigrare dopo il 1861 è un atto di dovere e di necessità per riprendere con orgoglio il nostro cammino attraverso la storia». 

D. Future idee editoriali?
R. «Continuare a studiare ed a diffondere tutta la storia del sud. Dai tempi delle popolazioni italiche che si opposero alla forza di Roma, alla nascita delle prime monarchie meridionali. Dall'età medioevale al tempo in cui i destini di Napoli capitale si fusero con i destini di Madrid dando origine al progetto politico delle Spagne che costituì la cristianitas minore. Periodo violentemente distorto dalla storiografia laicista. Quindi Sud, sempre Sud, soltanto Sud».

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