L’Ode a Creta di un cuore palpitante


DELIO DE MARTINO -
Splendidamente edita da Fides Edizioni, è appena uscita una fascinosa Ode a Creta dove il cuore palpita nel vento… di Santa Fizzarotti Selvaggi. Scritta a «Kolimbari in notti di stelle e di vento» è dedicata all’isola greca in cui la millenaria cultura occidentale affonda le radici. L’Ode è in italiano, ma è, per così dire, ideata in greco, perché questa poetessa si sente per tanti aspetti greca e vuole farsi leggere anche dai greci, come mostra la bella e fedele traduzione in greco a cura di Despina Vartholomatou.

L’Ode canta Creta e attraverso di essa la “nostalgia dell’originario mondo perduto”, perduto ma certamente vivo nell’ispirazione poetica. “Creta è un luogo dell’anima. Della mia anima” avvisa la poetessa nel prologo.

Oltre che luogo dell’anima, Creta diventa subito e soprattutto metafora della poesia, della letteratura e delle più profonde emozioni, un luogo metafisico in cui si incontrano e scontrano i versi e le pagine della più alta cultura dell’occidente in un modernissimo pastiche vorticoso di esplicite citazioni alternate ad accennate allusioni. L’isola dei miti del labirinto, di Pasifae, del Minotauro, di Dedalo e di Icaro diventa in questa silloge quasi un Aleph, “il luogo dove si trovano, senza confondersi tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli” secondo la definizione che ne diede Borges nel suo celebre racconto.

Forse non è un caso che sulla copertina sia raffigurata la prima lettera dell’alfabeto greco, l’alfa, incipit ideale e per antonomasia di tutto l’occidente. Una scelta che richiama quella di Borges, che per il suo racconto scelse come titolo la prima lettera dell’alfabeto ebraico: l’aleph appunto.

L’alfa sulla copertina del libro della Fizzarotti Selvaggi ricorda al lettore, inoltre, che Creta è stata la patria di una delle prime forme di scrittura dell’umanità: la lineare A, una scrittura dal sapore misterioso ed enigmatico, madre di tutta la cultura che l’occidente avrebbe prodotto nei secoli successivi. Ed è proprio questa letteratura occidentale che costituisce lo scheletro delle riflessioni poetiche della poetessa.

Dalle acque di Creta la poetessa si abbandona a versi rapidi e scorrevoli che procedono con continui e innumerevoli echi letterari. Tre sono i poeti che l’autrice cita in testa al libro: Saffo, che ci ricorda che “ciò che si ama” è “la cosa più bella”, Dante con il discorso di Ulisse nel XVI canto dell’Inferno e l’ammonimento a seguire “virtute e canoscenza” e il poeta greco Odisseas Elitis che avverte che “ormai non ho altro” oltre il panorama del mare e “il tuo più piccolo respiro”.

La silloge è strutturata in un “canto nel fremito del mare” e in un “controcanto, sulle ali dell’aquila reale”. Da un suono – l’incipit è “odo il fremito del mare” - ci si eleva verso l’aria in un percorso quasi iniziatico personale ma anche collettivo, in un viaggio quasi dantesco (nella “selva oscura” / della vita desiderio / di meli / profumati/ dal vento…, p. 124) che termina con il respiro dell’aria della vita. Inframezzano le due parti una citazione di Shakespeare sul destino conservato non “nelle stelle” ma “in noi stessi” e di Kierkegaard sull’impossibilita di soddisfare l’animo umano “che sente il bisogno dell’eterno” con cose finite: un invito alla trascendenza e all’impegno poetico e spirituale. Chiudono la parte poetica altre due citazioni che richiamano idealmente il dantesco explicit della Commedia (”l’amor che move il sole e l’altre stelle”). La prima di Rumi riguarda il sé come “stella nel firmamento”, la seconda è di Paolo Coelho sull’amore e sull’universo che “ha cospirato per farmi arrivare fino a te”. La terza parte è invece un saggio di Angela Campanella su Creta e sulle popolazioni che vi arrivarono 4000 anni fa.

I versi della silloge di Santa Fizzarotti procedono rapidi come un’onda marina, con frequentissime parole-verso ed enjambement che accompagnano l’occhio del lettore lungo le pagine con una tensione poetica verso un explicit che spesso tarda ad arrivare, ma sospinge verso altre onde poetiche. Una letteratura che dunque si fa così liquida e carica di magmatiche allusioni e citazioni che del libro è impossibile scrivere l’indice. “Non può avere indice un canto senza età” scrive Santa Fizzarotti Selvaggi alla fine del volume, proprio per avvisare il lettore di un leopardiano “dolce naufragio fatto di sogni” che lo porterà a nuotare tra i versi senza veri punti di riferimento. Uniche ancore in questo viaggio, le postille di Giovanni Losito che invitano a soffermarsi su alcuni versi per una lettura critica psicanalitica che accompagna sia la poetessa “alla ricerca del suo sé mai tradito” che il lettore nelle zone più profonde della sua cultura e insieme del suo animo.

Un percorso poetico che può portare “alla felicità”, a cui è dedicata l’intera opera. Una felicità che l’autrice rappresenta in una catartica danza: “a Creta danzo al chiaro di luna mentre la lira suadente riempie le ore notturne. E sono felice”. Poesia, danza, lira: davvero magicamernte “lirica” in tutti i sensi.

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