Bari, Marina Corazziari espone in via Melo ‘i gioielli di famiglia’

LIVALCA - Non ricordo il motivo per cui alla fine degli anni ’80 del secolo scorso sono entrato in contatto con l’architetto Guido Corazziari: un artista originale, estroso, stravagante che poteva parlarti tranquillamente della “Nascita di Venere” di Alessandro Botticelli e, subito dopo, approdare ad una scultura di Pablo Picasso e, magari, planare su una tecnica mista su carta “La famiglia di acrobati” che ha reso celebre il pittore, incisore, ceramista spagnolo nato a Malaga nel 1881 e morto a Cannes nel 1973.

Notai che era un ‘simpatizzante’ della Pop Art e fan di Andy Warhol, per cui dal momento che mi ero occupato anni prima - mio malgrado ma questo non si dice - del disegnatore, pittore e regista statunitense per un articolo su un settimanale locale mi sentii autorizzato ad affermare che mi stavano bene le tele dedicate a Superman e Batman, ma mi era difficile non catalogare ma comprendere un’opera come “Campbell’s Soup Cans” (si tratta di 32 tele, del f.to 51x41 cm, in cui vengono raffigurati altrettanti barattoli di zuppa Campbell, immessi sul mercato negli anni, servendosi di una particolare tecnica di serigrafia). Io mi limitai a far presente all’architetto che la ritenevo una ‘banale’ operazione commerciale, ben retribuita, piuttosto che una genuina e positiva visione di una ben definita civiltà e cultura moderna. Nel 1996 il MoMA di New York ha acquistato il quadro, per cui invito i miei affezionati lettori-viaggiatori a fare una ‘capatina’ per verificare il tutto di persona a Manhattan sulla 53 strada tra la V e la VI avenue. Non posso non registrare che aveva ragione il barese Guido Corazziari nella veste di professionista ed artista. A breve tornerò ad occuparmi di questo valente e poliedrico operatore multimediale ‘ritrovato’.

Fu un vecchio amico - ormai scomparso per cui evito di citarlo, non avendo la sua ‘approvazione’ - molto inserito in ambito artistico a illuminarmi: “Gianni l’architetto Corazziari fa parte di una famiglia di grandi artisti a partire da nonni e genitori e la sorella Marina da poco ha esposto a Parigi al Museo del Gran Palais per la Biennale delle Donne”. Ritengo che l’anno fosse il 1988 o ’89, perché ero ferratissimo sul Gran Palais che era stato costruito nel 1900 per l’Esposizione Universale di Parigi, essendomi occupato in quel periodo della ristampa anastatica dei tre volumi della “Terra di Bari sotto l’aspetto storico, economico e naturale” realizzata dalla casa editrice Levante nel 1986 (La stessa Levante ha replicato la ristampa nel 2013 con 120 copie numerate che riportano in copertina opere del mio amico Carlo Fusca, che non ha ancora recepito, nella sua portata storica, l’immenso ‘regalo’ di cui gli ho fatto dono).

Marina Corazziari, scenografa e docente di Storia dell’Arte, è molto stimata per le sue creazioni spesso ispirate all’arte contemporanea, ma non disdegna l’arte bizantina realizzando gioielli ricchi di storia e valori che hanno il pregio di essere unici. Di lei mi parlava anche la pittrice prematuramente scomparsa Lucia Buono, la signora di ‘un vuoto nel colore’ sorella del mio caro amico ‘flacchista’ Vito, che allora frequentavano per motivi di lavoro la nostra azienda. Lucia una volta mi mostrò una foto in cui ‘imperavano’ due opere lavorate e trasformate, il tutto eseguito a mano con abilità e passione, dalla Corazziari, manufatti di solito esclusivo ‘marchio’ del genere femminile, oggi anche del mondo maschile. 

L’immagine destra rappresentava un granato del tipo almandino, l’altra un topazio - se non mi fosse stato specificato lo avrei considerato turchese - che mi permise di sfoggiare una discreta preparazione su questa ricercata pietra preziosa, di solito gialla, spesso incolore, ma anche verde, azzurra, rossastra e violetta. Feci presente alla Buono che il topazio essendo una pietra durissima (ottavo termine della scala) doveva richiedere una forza non comune per lavorarla, ma si trattava di una semplice facezia, dal momento che risulta pesante, lucente e inattaccabile dagli acidi (Presso l’Università di Firenze è custodito quello che si ritiene il più grande topazio al mondo, di provenienza brasiliana, del peso di 150 chili).

Ho contattato al telefono Vito Buono che, dimenticando che sono refrattario ad andare in rete per ricercare notizie, mi ha detto: “Se clicchi nome e cognome trovi di tutto di più”. Poi con la pazienza che abbiamo noi settantenni per ‘grazia ricevuta’ mi ha elencato tre peculiari pregi personalissimi che contraddistinguono Marina Corazziari: ha realizzato per un paio d’anni la scultura del premio Margutta, risulta fedele al blu di Yves Klein e, pur avendo viaggiato da Londra a Milano, da Parigi a Roma, da Firenze a New York, ha scelto di vivere a Trani.

La scultura del premio Margutta - evento ideato e posto in essere nel 2001 da Giovanni Morabito in primis nella veste di presidente dell’Associazione Internazionale via Margutta e poi in quella di gallerista - realizzata nel 2014 e 2015 custodisce una ‘traccia’ che rende l’artista ancor più legata alla Puglia e ai suoi colori: la struttura del lavoro è stata concepita partendo da una base in roccia di Trani che, immagino, serva a ricordare la purezza e la trasparenza delle acque che fanno da contorno alla cattedrale di S. Nicola Pellegrino.

Per quanto riguarda il nizzardo artista francese Yves Klein e le sue famose “Fontane d’acqua e di fuoco” non posso non considerare che è stato un qualificato esponente del ‘noveau réalisme’ e il suo blu, colore preferito sempre e comunque, viene riportato come la tinta dell’aria. Fu il giornalista Pierino De Giosa che mi parlò a lungo di lui - i ricordi a volte non sono sorretti dalla memoria e, nonostante Wilde ci rassicuri con il suo “La memoria è il diario che tutti ci portiamo addosso”, le pagine sono talmente scolorite da non vedere neppure gli errori di un…’blu’ intenso - e rammento che Klein tra il 1950-60 si rese autore di molte sculture in cui dominava la forza primordiale del fuoco. In sostanza ritengo che Marina Corazziari per le sue creazioni, pur tenendo presente lo spazio al servizio dell’aria, del mare e del fuoco, faccia vibrare le sue corde seguendo le emozioni provate in ogni momento della vita.

Lei parte dal presupposto che ‘l’oro può fare molto, ma la bellezza di più’, per cui, appena entra in sintonia con un pezzo di corallo, di turchese, di quarzo, di acquamarina, ma anche di argento avorio e oro, intravedendone lo ‘splendore’, diventa la perfetta artigiana dei suoi futuri gioielli.

Sarà stato questo il motivo che ha spinto la stilista-designer (questa definizione mi è stata fornita da mia moglie Angela) a dare vita nel cuore di Bari, in via Melo 188, ad uno ‘Spazio Art d’Or’ che può essere definito un contenitore dove sognare da svegli la bellezza diventa una sagace opportunità che viene offerta a tutti. Non solo gioielli, ma ceramiche, incisioni su vetro, moda: il tutto all’insegna del made in Italy. In questa avventura l’artista è stata affiancata, oltre che dal fratello Guido, dal noto creativo Gian Piero Cozza, artefice del brand Napoli Couture.

Nonostante abbia girato il mondo la Corazziari esibisce la famiglia, i ‘suoi gioielli di famiglia’, non certo perché la vuol far passare come pilastro della società, ma solo perché i monili da sempre si tramandano fra i componenti il nucleo famigliare e le sue creazioni nascono proprio per essere una testimonianza di vita fra il passato e il futuro… quel futuro in cui non ci saremo fisicamente, ma ci sarà la nostra cultura ed arte ad attestarne il passaggio.

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