Michelangelo Semeraro, un esemplare Maestro per i tempi moderni


TERESA GENTILE
- Michelangelo Semeraro con il suo modo di vivere e di saper educare si è impegnato dal 1923 al 1965 per migliorare le condizioni di contadini, ancora analfabeti, e aiutarli a conoscere e combattere superstizioni, a correggere le errate abitudini, a valorizzare le usanze, a mutare in occasione di gioia ogni lavoro, a serbare le verità di fede e fare dell’onestà una vita quotidiana. Soprattutto si impegnò a non far loro dimenticare il dialetto e le schegge di saggezza incastonate in proverbi, aforismi e modi di dire poiché essi “sono un segno di identità storica e sociale di cui essere molto orgogliosi”. Fu importante la sua intuizione che fosse urgente alfabetizzare il maggior numero di loro e far conoscere nuove metodologie di allevamento, coltivazione, lotta tempestiva contro varie malattie delle piante. Considerava anche importante far conoscere pesi e misure utilizzati in regioni diverse ecc. 

Semeraro è vissuto dal 1900 al 1965 e con grande passione operativa si è dedicato all’insegnamento elementare, all’Amministrazione Comunale, alla società operaia e all’assistenza, ma ha anche intuito la necessità di non invogliare i rurali ad abbandonare i campi calamitati dalle lusinghe, spesso ingannevoli, delle città e delle industrie perché “una volta fagocitati in zone dove già vi sono dei disoccupati e non essendo abituati alla caotica vita cittadina, potrebbero essere fagocitati dalle spire di lavori ignoti che potrebbero rivelarsi pericolosi in quanto fatti da persone prive di esperienza ben sedimentata e appresa a contatto diretto con maestri esperti. A volte aggiungeva “Sentendosi inadeguati e impreparati, tale sensazione li potrebbe portare a una vita sociale non serena ma stressante, violenta e dispersiva”. Ha insegnato all’Istituto Tommaseo (Fondato da Angelo Raffaele Chiarelli), era austero, ma spesso sorridente e, in modo maieutico, sapeva dialogare utilizzando anche una garbata e costruttiva ironia. Era intransigente nello spronare i maestri a guidare gli alunni abituandoli alla puntualità, al rispetto, alla collaborazione, all’igiene personale, all’umiltà e questo perché, grazie a tali abitudini, è possibile “poter pervenire a una armoniosa crescita umana e culturale delle nuove generazioni”. Questo egli spesso affermava negli incontri di aggiornamento con i maestri organizzati con l’arciprete Giovanni Caroli e con gli operatori della cattedra ambulante d’agricoltura e perciò richiedeva un impegno che garantisse rigore nella disciplina, possesso di se stessi, controllo delle emozioni, attuazione dei talenti in un contesto dato da impeccabile condotta, attenta osservazione, profonda riflessione atta a sedimentare conoscenze. Tutto questo per ottenere un massimo profitto.

A Locorotondo dette vita ai primi esperimenti della scuola del lavoro, e poi li continuò al Villaggio del Fanciullo dal 1947, agevolando la conoscenza diretta da parte dei ragazzi di vari artigiani e dando anche vita alla banda musicale formata da ragazzi, diretta dal Maestro Mario Griffi, meritò una fama nazionale. Spesso egli sottolineava come i loro lavori non fossero umili ma fossero i più necessari per poter vivere in modo confortevole sia in campagna che in città. Fondò la biblioteca popolare che in seguito diventò comunale e diresse l’Università Popolare di Martina e le 43 scuole rurali martinesi. E per loro dal 1956 dette vita a interessanti fascicoli di cultura e al periodico “La Voce della Scuola” a cui collaboravano insegnanti, famiglie e gli stessi ragazzi residenti in Valle d’Itria nella zona dei trulli estesa tra Martina, Locorotondo, Ostuni, Cisternino, Alberobello, Ceglie e Crispiano confinanti quindi, con le province di Taranto, Brindisi e Bari. Tale territorio comprendeva 30.00 abitanti. Era quella una zona un tempo arida, che diveniva paludosa dopo le abbondanti piogge. Mostrava la sua fierezza dicendo che “Furono le donne di 7 etnie diverse che, mentre i mariti erano in guerra, trasportarono con i figli, tanta terra in tale zona rendendola fertile e si scambiarono conoscenze di vari lavori imparando non solo a coltivare viti, ma anche alberi da frutto e poi impararono a creare seta e tessuti, e appresero come cucire, ricamare, realizzare abiti da sposa, utilizzando con maestria telai che davano vita a tessuti resistenti, arazzi, raffinate coperte da corredo, paesaggi bucolici e con pazienza e creatività si dedicavano a creare filè”. E di tutto questo, con fervore e con un avvincente sorriso unito a una luce mirabile che brillava nel suo sguardo il direttore, Semeraro parlava ai piccoli rurali come se fosse la favola più bella facendoli innamorare delle radici identitarie. Compiva anche un’altra... magia, esortandoli a essere rispettosi nei confronti dei genitori, dei nonni e della memoria operosa delle loro ave ed avi che erano riusciti a dare forme fiabesche alla pietra, al legno, ai vimini, alla creta e persino al ferro e alle piante di bosso che nelle mani di esperti giardinieri, si trasformavano in cigni, elefanti o aquile reali.

Tra le pagine del suo periodico “La voce della scuola” trovarono posto impressioni, emozioni, folklore, nozioni di storia e geografia locale, indovinelli, cronache di esplorazioni ambientali, ma anche racconti popolari, modi di dire, superstizioni, usi, costumi, giochi, danze, tradizioni, mestieri vari, giochi, dialetto, stornelli, testi di serenate, molto armoniose, inneggianti alla natura, ai buoni sentimenti a santi e ai rispettosi affetti familiari. Nella rivista erano pubblicate anche le appassionate note di viaggio che Michelangelo Semeraro prendeva durante le sue visite didattiche. E lui avvertiva la sua anima palpitare della stessa vita dei rurali. Si emozionava quando era a diretto contatto con i suoi maestri e ne conosceva molto bene il duro sacrificio del dover vivere in ambienti privi di riscaldamento e servizi igienici, spesso in un trullo con una lamia (che serviva da camera da letto per la famiglia del maestro). Comprendeva anche le loro soddisfazioni che li rendevano più sicuri di sé e pronti a educare i figli dei contadini, ma anche le loro famiglie ai tempi nuovi che sempre più avrebbero richiesto capacità di leggere, capire, interpretare, conoscere innovazioni avvenute in vari ambiti operativi, anche in campo agricolo. Molte scuole erano sperdute tra strade sassose, pericolose, non asfaltate e non c’era legna da ardere per combattere il rigore invernale. Ma, in compenso, i maestri... sperimentavano insieme agli alunni il giardinaggio nel loro campetto, facevano lezioni all’aperto, sapevano potenziare volontà e talento e forgiavano UMANITÀ, consentendo a figli di contadini, in gran parte analfabeti, di conoscere meglio il passato, il presente e giungere poi a progettare il proprio futuro.

In seguito iniziarono a diffondersi tante scuole serali per adulti. In molte scuole si allevavano polli, conigli o colombi e il ricavato dei prodotti veniva devoluto per la refezione scolastica. Ragazzi e insegnanti facevano poi le cronache degli esperimenti compiuti all’aperto con osservazioni dirette. Michelangelo Semeraro è stato tra i più amati presidenti dell’Associazione Artigiana di Martina Franca. Una interessante biblioteca raccoglie preziosi testi identitari, antologie letterarie, documenti storici, testi dialettali, notizie su artigiani che al lavoro sapevano unire anche un grande amore per la cultura, la poesia, la musica e il teatro. Tale biblioteca identitaria è stata dedicata doverosamente a Semeraro, proprio perché egli ha dedicato la sua intera esistenza alla famiglia, alla sana filosofia dello spirito, nota come ‘martinesità’, rivelandosi Maestro di vita operosa atta a trarre linfa vitale dal passato per protendersi con consapevolezza e sapienza verso il futuro.
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