"Vino e farina di grilli, ecco quel che c’è da sapere". Parla la biologa-nutrizionista Alice De Benedetto


FRANCESCO GRECO
- Viviamo tempi folli permeati di relativismo. Grande la schizofrenia sotto il cielo. Non bastava la pandemia e la guerra a rendere precaria la nostra psicologia, ci mancava anche la bolla mediatica in cui siamo finiti e che confonde ancora di più il cittadino-consumatore.

Il vino, un brand che si sovrappone alla storia dell’uomo, i popoli, la civiltà, criminalizzato. E poi gli scaffali dove è già comparso il grillo domestico sotto forma di farina per pane, biscotti e quant’altro. Per noi cultori della dieta mediterranea ereditata dagli avi, quasi una provocazione.

Risultato: ci aggiriamo inquieti nei centri commerciali, scrutiamo etichette, leggiamo ingredienti e sul viso abbiamo quell’espressione scettica un po’ così, come diceva Bruno Lauzi.

Possiamo fidarci? Ci sono evidenze scientifiche riferite ai suddetti brand? L’OMS cosa dice? Insomma, come stanno davvero le cose oltre i polveroni diffusi dalla comunicazione e gli spot delle star pagate milioni di dollari?

Per sgombrare il campo dalle suggestioni e per una parola di chiarezza, chiediamo un parere alla dottoressa Alice De Benedetto, biologa nutrizionista nata a Galatina (Laurea Triennale in Biologia all’Unisalento e Laurea Specialistica in Scienze dell’Alimentazione a Perugia) con studio a Corsano, nel sud del Leccese, due passi dal Capo di Leuca.

DOMANDA: Dottoressa, i suoi pazienti fanno domande su questi argomenti così attuali, hanno paura?

RISPOSTA: “Si, i miei pazienti e più in generale i non addetti ai lavori, sono disorientati e spaventati perché spesso le notizie che riguardano la salute (e il cibo) sono accompagnate da un certo clamore mediatico, non sempre seguito da altrettanta chiarezza”.

D. Scendiamo allora nello specifico: il vino è davvero nocivo alla salute e noi non lo sapevamo da millenni?

R. “La vicenda da cui scaturisce questa domanda è piuttosto complessa e va vista nel suo insieme. Durante il World Cancer Congress 2022, nell’Ottobre del 2022, da una condivisione degli studi effettuati, è emerso che l’alcol è coinvolto nel 4% di tutti i nuovi casi globali di cancro nel 2020, oltre 740.000 nuovi casi all'anno. In particolare i dati emersi collegano il consumo di alcol con 7 tipi di cancro. Stando a questi risultati, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene che un uso responsabile di alcolici non sia sufficiente a prevenire il cancro, e che per prevenire questa patologia sia necessario non consumare alcolici. Ciò si collega a quanto deciso dalle autorità irlandesi che, sotto il benestare dell’UE, potranno usare avvertenze come “il consumo di alcol provoca malattie del fegato” e “alcol e tumori mortali sono direttamente collegati”, su tutte le bevande contenenti alcol, anche sulle bottiglie di vino, poiché anch’esso, come altri preparati, contiene evidentemente alcol”.

D. Ma contiene sostanze utili o dannose all’organismo?

R. “Contiene sostate utili e sostanze dannose, motivo per cui è saggio non abusarne. In particolare, il contenuto dannoso è rappresentato dall’alcol, una molecola che viene metabolizzata dal fegato (la nostra centrale di smaltimento di farmaci, alcol, droghe e inquinanti), motivo per cui, abusare di alcol genera un sovraccarico di lavoro per il fegato che alla lunga può portare a patologie molto serie (Cirrosi, Epatiti e Cancro). Ma, come le dicevo, il vino possiede anche sostanze utili: antiossidanti come il resveratrolo (ottenuto direttamente dalle bucce di uve rosse) che svolgerebbe un’azione protettiva nelle patologie di natura cardiovascolare, vitamine e sali minerali e zuccheri; di fatto è il succo di uva fermentato, quindi rispecchia le caratteristiche della pianta da cui proviene, ma anche dai processi di vinificazione adottati in cantina”.

D. Quanti bicchieri al giorno ne consiglia ai suoi pazienti?

R. “Non è facile rispondere a questa domanda, per cui direi “dipende”. Per prima cosa consiglierei il consumo di vino di buona qualità ottenuto da uve trattate in maniera responsabile o non trattate affatto (biologiche o biodinamiche). Suggerirei inoltre di fare attenzione alla gradazione alcolica, magari non consumare spesso vino ad alto tenore alcolico (16-18°) e riservare questo consumo ad occasioni speciali. Per quanto riguarda un possibile uso quotidiano, c’è da chiedersi se la persona è in buona salute, se ha problemi di sovrappeso, se assume dei farmaci, se ha uno stile di vita attivo, se il suo fegato e il suo intestino lavorano bene. Dalla mia esperienza professionale le direi che sono pochi i pazienti che chiedono di poter bere vino tutti i giorni, ma quando accade, consiglio di non superare la soglia di 1 bicchiere al giorno. Mi rendo anche conto dell’importanza della ritualità e della convivialità che ruota attorno ad un bicchiere di vino e credo che anche quello sia importante per stare bene, ma sempre senza esagerare”.

D. E passiamo adesso alla farina di grilli: ci sono evidenze scientifiche propedeutiche favorevoli, oppure l’UE, magari sotto la spinta delle lobby, si è portata avanti con il lavoro?

R. “Le autorità Europee sono tenute ad esaminare e, se gli esiti sono positivi, ad autorizzare il commercio di prodotti alimentari “nuovi”, chiamati Novel Food. Ne sono stati autorizzati diversi, tra cui l’ estratto della cresta di gallo e anche gli insetti larva gialla della farina (Tenebrio molitor), la Locusta migratoria congelata e l’insetto di cui parliamo Acheta domesticus, il grillo domestico. La farina di grillo in questione è ottenuta mediante processi che soddisfano i parametri igienico- sanitari previsti dagli standard europei. I vantaggi nutrizionali della farina di grillo riguardano soprattutto l’elevato contenuto proteico (60%), il bassissimo contenuto in grassi (al contrario delle carni rosse) e un buon contenuto di vitamine, in particolare Vitamina B12 che può risultare carente nei regimi alimentari vegetariani e vegani, oltre ad un buon apporto di sali minerali. Al momento non sembrano esserci dei vantaggi economici poiché la farina di grillo è ancora molto costosa. Molti osservatori pongono l’accento sulla sostenibilità ambientale della farina di insetti che, al contrario della produzione di carne (altra fonte proteica), avrebbe un impatto ambientale di decine di volte inferiore. Non è un mistero che gli allevamenti intensivi siano responsabili del 15% delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, quindi non deve spaventare il fatto che si cerchino delle alternative. Le alternative devono per forza essere le farine di insetti? Assolutamente no, però, al momento, non ci sono evidenze scientifiche tali da impedirne la commercializzazione e il consumo”.

D. C’è chi pensa male e sostiene che sotto la voce farine proteiche ci potrebbe essere proprio quella fatta con gli insetti...

R. “Credo che ciò non sia possibile, perché gli insetti rientrano in una categoria di allergeni (somigliano molto ai crostacei) e la normativa Europea in materia di etichettatura alimentare REGOLAMENTO 1169/2011 prevede che gli allergeni siano identificati in etichetta con caratteri diversi rispetto agli altri ingredienti. Quindi, chi non volesse o non potesse consumarli, può tranquillamente leggere gli ingredienti e scegliere di non acquistare i prodotti contenenti derivati da insetti (People have the power)”. 

D. Pare che gli insetti presentino una sostanza, la chitina, che sul nostro organismo avrebbe effetti collaterali sospetti: che ne pensa? 

R. “La chitina è una proteina contenuta nel carapace dei grilli (come anche nei crostacei) ed è un allergene, ossia, per alcuni soggetti predisposti il consumo di chitina potrebbe generare una reazione allergica che può essere lieve (eritema cutaneo) o grave (shock anafilattico), motivo per cui la presenza di farina di grilli deve essere adeguatamente segnalata come spiegato nella domanda precedente”. +ù

D. In definitiva, farina di grillo: ne vale la pena? 

R. “La farina di grillo si pone come fonte proteica e allora la sua domanda potrebbe essere: abbiamo veramente bisogno di questa fonte proteica? Se inquadriamo il fabbisogno proteico nel contesto di sostenibilità ambientale, dovremmo avviare una seria riflessione. Partiamo dal presupposto che le proteine sono necessarie alla nostra sopravvivenza, un soggetto dovrebbe assumere mediamente 1 g di proteine per Kg di peso corporeo. Le principali fonti proteiche nella dieta mediterranea sono (in ordine decrescente di valore biologico): carne, pesce, uova, formaggi, legumi e cereali. La produzione di carne è costosa in termini ambientali, richiede molta acqua, molti foraggi e produce troppa CO2. Il pesce ha un problema ormai noto di contaminazione ambientale. I pesci di taglia grande presentano spesso elevati quantitativi di metalli pesanti. I derivati del latte hanno molti grassi e si devono consumare moderatamente. Il consumo esclusivo di cereali e legumi potrebbe indurre alcune carenze come la vitamina B12 e il Ferro.

D. Quindi, che cosa fare? Sostituire in parte la farina di cereali con quella di grillo?

R. Non necessariamente, la nutrizione non è soltanto un atto di sopravvivenza, il cibo è cultura, di cui modestamente noi Italiani siamo ambasciatori nel mondo, quindi il buon senso ci direbbe di trovare un nuovo equilibrio, ruotare le nostre fonti proteiche, cercando di limitare il consumo di alimenti inquinanti o potenzialmente inquinati (carne e pesci di taglia grande), prediligere il consumo di legumi e cereali, senza necessariamente ricorrere al Novel Food”.
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