Sandro Mazzola (intervista): "L’Inter è stato tutto ciò che un calciatore può sognare nella sua vita"


NICOLA RICCHITELLI
– Ci sono poche parole per descrivere questa intervista che vi proponiamo quest’oggi, o forse ve ne sarebbero tante. L’intervista odierna attraversa anni di storia di Calcio italiano e mondiale, ha scritto la storia del Calcio italiano. 

E' la storia di una chiacchierata durata quasi venti minuti ma che ad ascoltarli ti sembrano riduttivi. E' la testimonianza di un calcio che ci manca e che pensi non possa tornate mai più. Ha il colore di due maglie: quella nerazzurra dell’Inter e quella azzurra della Nazionale italiana. 

Racconta di 116 goal con la maglia dell’Inter e di 22 con quella della nazionale azzurra. Da San Siro ti porterà allo Stadio Azteca di Città del Messico, ti volterai verso la panchina e immaginerai di vedere Helenio Herrera. Sentirai il rombo dei ricordi che sapranno di Grande Inter, e allora signor Sandro Mazzola, con queste righe e da queste pagine noi tutti ti ringraziamo per essere qui quest’oggi su Giornale di Puglia.

Sandro, innanzitutto ti ringrazio per essere qui con noi oggi a dedicarci e a dedicarmi il tuo prezioso tempo per parlare con noi di calcio…

R: «Guarda che io di calcio non ne capisco nulla… (ride)». 

Ma dai! Hai portato Ronaldo “il Fenomeno” all’Inter, non ci credo…

R: «E’ chiaro che si scherza».

Ma a Sandro Mazzola piace il calcio di oggi?

R: «Non tanto, mi piaceva più il calcio di ieri… il calcio di ieri dava la possibilità ai ragazzi di dimostrare il loro valore, il loro valore tecnico, il calcio dei nostri giorni è basato su moduli e tattiche, un tempo contava il talento, oggi conta quanto sei bravo ad adattarti alle regole del gioco».

Ma Sandro Mazzola che fece bella mostra di sé anni addietro, avrebbe fatto la sua parte nel calcio di oggi?

R: «Ma scherzi, facevo goal dappertutto, avrei fatto goal anche oggi…».

Se dico Sandro Mazzola dico Inter, ma a te piace l’Inter di oggi?

R: «Seguo l’Inter e la seguirò sempre, anche se non capisco come si possa avere una squadra che un giorno è bella da vedere e la domenica successiva stenti a riconoscerla… non riesco a capirla. Forse bisognerebbe lavorare più sulla testa».

È una squadra che si appaga facilmente…

R:«Esatto! Anche se all’Inter è facile che scocchi la scintilla e la stagione ti cambi da una partita all’altra…». 

La tua Inter è pazza come quell’Italia in Messico nel 1970, in semifinale contro la Germania. In una vecchia intervista, nel mentre si parlava della staffetta Rivera – Mazzola, dicesti: «Con Mazzola in campo l’Italia vinceva 1-0». Che partita sarebbe stata con Mazzola fino alla fine dei 90 minuti?

R: «Difficile dirlo. Poteva finire diversamente sicuramente… un goal lo avrei tirato fuori».

Ma se quella partita fosse finita nei novanta minuti avresti scritto una storia diversa contro il Brasile di Pelè?

R:«I brasiliani non si potevano battere, erano troppo forti, dal portiere all’undicesimo uomo, tutti avevano una tecnica superiore, dai titolari alle riserve, tutti avevano una tecnica superiore alla media, incontrarli è stata una roba da matti…».

Sul 4-1 avete avuto paura della débâcle?

R :«Abbiamo avuto paura anche prima, già sul 3-1 iniziavamo a chiederci cosa ci stava succedendo…loro erano troppo forti ma noi non stavamo facendo abbastanza».

Di quel mondiale è rimasto il dualismo, la staffetta, Rivera/Mazzola. Ma fuori dal campo eravate amici?

R: «A Milano un giocatore dell’Inter e un giocatore del Milan non potevano mai essere amici (ride)»

Anche se oggi li vedi insieme a ballare nelle discoteche…

R: «Oggi è cambiato tutto…».

Le maglie di Inter e Milan oggi pesano meno rispetto ai vostri tempi?

R:«Non credo. Forse è quello che vogliono far capire, ma quando hai tra le mani quella maglia tutto cambia. Quando ho preso per la prima volta la maglia dell’Inter tra le mani è stata un'emozione che non si può descrivere, ma lo è stata tutte le volte che lo ho indossata. Le prime maglie, tra l’altro, avevano tanti di quei rattoppi – per via dei tanti che l’avevano indossata – ma la bellezza di quegli striscioni neroazzurri ti rapivano».

Che ha significato per te indossare la maglia dell’Inter?

R: «E’ stata la mia seconda pelle. Mio padre Valentino era capitano del Torino, io che da Torino arrivavo a Milano grazie a Benito Lorenzi, lui viveva nel mito di mio padre. La prima volta che l’ho indossata la maglia nerazzurra mi tremavano le gambe, senza dimenticare che dinanzi a te avevi la gente di San Siro, poi ci siam abituati… quella maglia non erano solo due colori, ma era la speranza e i sogni di tanta gente».

Sandro Mazzola e la grande Inter, l’artefice di quel capolavoro fu Helenio Herrera…

R: «Il Mago era fantastico, ricordo ancora i primi allenamenti, avevamo tutti un po’ paura, i suoi allenamenti non avevano un attimo di tregua, duravano al metà degli altri, ma erano molto intensi. Tutti pensavamo che non avrebbe fatto molta strada qui in Italia, pensavamo che lo avrebbero esonerato dopo quindici giorni, ed invece ci ha portato alle più grandi vittorie».

Quanto hai visto di Helenio Herrera in José Mourinho?

R: «Erano fin troppo simili, magari con qualche sfumatura diversa. Quando Herrera ti doveva dare delle indicazioni ti guardava negli occhi, delle volte bastava quello, quasi tremavi, quel atteggiamento tipico lo rivisto in José Mourinho».

Fuori dal tunnel dinanzi a te ti ritrovavi la maestosità dello stadio San Siro. Quali emozioni vive un calciatore dinanzi ai suoi occhi?

R: «Lo stadio di San Siro ti toglie il respiro, spesso gli allenatori ci raccomandavano di non pensare alla gente che riempiva lo stadio, e di pensare magari alla partita, ma le emozioni che esso trasmetteva spesso prendevano il sopravvento».

Hai qualche rimpianto legato alla maglia nerazzurra nonostante con essa tu abbia vinto tutto?

R: «Ma quali rimpianti, assolutamente! l’Inter è stato tutto quello che un calciatore può sognare nella sua vita, mi ha dato più di quanto forse ho dato. L’Inter è stata un qualcosa di fantastico».

Nel calcio di oggi vedi un Sandro Mazzola? 

R: «Purtropppo no, anche se bisogna dare ai giovani d’oggi la possibilità di crescere, bisogna saperli aspettare, bisogna che non li si addossino delle responsabilità sin da subito, tutto ha un suo tempo».

E l’Inter? Tornerà ad essere la Grande Inter?

R: «Ma che domanda mi fai? (ride) l’Inter è l’Inter e sarà sempre Grande».

E il calcio italiano? Tornerà ad essere grande?

R:«Se torno a giocare magari SI (ride)».

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