Vito Maurogiovanni: da ‘Cantata per una città’ a ‘Come eravamo’… sempre un sapore-odore di Antico Caffè
Un omaggio sentito a Vito Maurogiovanni: il cuore pulsante della nostra memoria barese
Carissimo Vito,
sono passati ormai tre lustri da quel 4 marzo 2009, data in cui hai raggiunto gli AMICI che ti avevano preceduto.
Francesco De Martino ha fatto la sua parte come ti avevo promesso e che tu hai saputo dai miei ‘messaggeri’. Ti dirò di più: Francesco in quel volume “TEATRI” (Levante, Bari, 2010), portato a termine e pubblicato ad un anno esatto dalla tua scomparsa, ha voluto iniziare il testo con quella parola che ti ho detto una sola volta, in presenza di Luigi Angiuli, e che aveva il solo (repetita iuvant) scopo di sedare un ennesimo (si parlava di costituzione nel 1970 del “Gruppo Abeliano”, avvenuta in una conferenza-presentazione presso la Libreria Rinascita di Francesco Carofiglio, parente del magistrato-scrittore-senatore Gianrico, e che vide Luigi Angiuli esclamare “non lo dire a me che non solo ero presente, ma ero uno dei fautori dell’iniziativa”) ‘equivoco’ tra te e l’attore-regista-scrittore Luigi: GRAFOMANE … onestamente dissi testualmente ‘un po’ grafomane lo sei’.
Tu il 12 giugno del 2008 mi scrivevi in una mail: “Caro Gianni (e intanto cari saluti al carissimo Lello) non mi chiamare GRAFOMANE. Eccoti i “TEATRI”. A dicembre si riaprirà il Petruzzelli e allora, ecco, le storie di teatri importanti italiani: La Fenice di Venezia, La Scala di Milano, il San Carlo di Napoli, il Piccinni e il Petruzzelli di Bari, il Farnese di Parma (in questi giorni la TV ha ripreso di lì lo spettacolo di Fo e Albertazzi), il Comunale di Treviso. Conclude il libro il “Diario del Petruzzelli”, tanti articoli scritti sul teatro che delineano - dall’interno - attività non molto note di quello che fu il Massimo barese. Ti prego di leggerli, questi “Teatri”: se ti piacciono ne parliamo. T’abbraccio e dammi la speranza di continuare a scrivere. Vito.”
Pregai l’amico Francesco De Martino di stabilire un contatto con te per mail - in modo da tenere anche impegnata la tua ‘passione’ - e farti capire che, comunque fosse andata, ci sarebbero stati ‘facta non verba’ espressione che tu avevi usato con me nel lontano 1993 quando ti eri ‘incaponito’ affinché il volume “IL TEATRO” (Levante, Bari, 1993) uscisse a marzo dello stesso anno e non un ‘giorno più tardi’. Ti avevo convinto a cartonare il libro ed evitare la sovraccoperta che spesso si perde per altre strade con le alette che, deformate, risultano poco pratiche ed efficienti - a tal proposito ti citai e mostrai il volume “Il papa a Bari…con il vento di Pentecoste” (Levante, Bari, 1986) al cui coordinamento editoriale avevi collaborato con V. A. Melchiorre e Irene Cavalli - e, mio padre, in quell’occasione ti fece tastare con mano come fosse preferibile far giungere ai posteri un libro con la copertina direttamente incollata sul cartone. Non a caso ho adoperato il termine ‘mano’ perché alcuni giorni dopo ti feci trovare (casualmente?) in azienda Pasquale Sorrenti che, da esperto libraio, ti spiegò come fossero difficili da gestire questi testi in un periodo storico in cui le biblioteche non erano più contemplate nell’arredamento delle case (parliamo di 30 anni fa, figuriamoci … oggi). La presenza di Sorrenti in verità era per convincerti a far redigere al libraio-scrittore una prefazione per il libro “IL TEATRO”: avevi ‘bocciato’ tutti i nomi proposti e avevi sempre detto, cosa che in realtà avvenne, scriverò io stesso una mezza pagina per spiegare che: “Sono vissuto e cresciuto fra ‘i caffè’, il cui sapore-odore ha sempre profumato le mie mani che hanno scritto dal 1942 conservando gelosamente effluvio e fragranza”. In quel libro la prefazione firmata da te così iniziava: “ … scrivo dal 1942. Ho scritto migliaia di articoli, 3500 sono stati solo i pezzi che ho dedicato alla televisione, ho rappresentato più di venti commedie, forse un centinaio di programmi radiofonici…”.
Riannodiamo i fili del volume “TEATRI”: Francesco De Martino - non senza qualche amichevole pressione del sottoscritto che con confidenziali telefonate cercava di far scattare quella scintilla Vito-Francesco indispensabile fra due soggetti che, pur stimandosi, avevano difficoltà a fare ‘compagnia’ (quante volte ti ho detto sei un uomo di compagnia!) - ti inviò in piena estate la seguente mail “Caro Vito, mi sono trovato per caso da Levante e Gianni mi ha fatto dare una scorsa ai Teatri. Ho visto che ci sono molte notizie e molto narrare. Ho detto a Gianni che potrebbe andare nella collana “Diomede” che è dedicata ai territori e alle culture. I teatri questo sono: pezzi di territorio nei quali si fa per principio cultura e la si fa in molti. Potrei scrivere io stesso una paginetta di “Presentazione” (… gli eventi poi hanno trasformato la paginetta in oltre cento pagine, questa una mia precisazione) per questo volume. Ho proposto a Gianni di aggiungere qualche immagine (dipinti e foto) dei vari teatri dei quali parli (se vuoi, posso pensarci io). Sarebbe carino poi se aggiungessi un capitolo sui “piccoli” teatri italiani - tipo l’Abeliano di Bari (potresti rielaborare il testo che mandasti qualche settimana fa per la presentazione di Ragù), il Purgatorio, o il Piccolo - che in Italia fanno anche loro cultura. Un caro abbraccio, Francesco De Martino”.
Carissimo Vito, da quel momento iniziasti una collaborazione affettuosa e fruttuosa con Francesco: spesso mi chiamavi per precisare “non mi ha risposto”… trovammo un’intesa per cui io ti comunicavo che potevi provare (verificavo sul cell. se avesse aperto i messaggi e ti davo il segnale per tentare l’approccio) sperando che non fosse così ‘concentrato’ da non sentire squillare. Vito anche ora che sto scrivendo, ore 11.40 del 6 dicembre 2024, ho chiamato Francesco e sono in attesa di segni di riscontro o … ‘risveglio’.
Ricordi, carissimo Vito, quando a fine marzo 1990 ti donai una copia del volume di Pasquale Sorrenti “Pittori, scultori architetti e artigiani pugliesi dall’antichità ai nostri giorni”(Levante, Bari, 1990) consigliandoti di leggere la spartana pagina che Mario Cavalli aveva stilato come “piccola lezione di vita” (sono le tue precise parole pronunciate dopo aver letto il testo), anzi fui così preciso da aggiungere “Vai direttamente all’ottavo capoverso”, il quale così recitava: “Uomini come me, SORRENTI, MAUROGIOVANNI, cito lui come rappresentante di una categoria che non si perde dietro ‘improbabili sogni di gloria’, sono il miglior esempio che la vita è fatta di coerenza ed umiltà per essere sempre in pace con la propria coscienza … in questo modo può anche arrivare il successo, quello grande, immenso, la tua vita non cambierà”. Ti ritirasti nello studio in cui mio padre riceveva gli autori, leggesti e poi andasti ad abbracciare il genitore e salutandomi “Gianni il successo non mi cambierà la vita, ma lo voglio e sarai tu a …”.
Da quel giorno Vito mi ha regalato tante confidenze, gioie e amarezze comprese, e quando potevo l’ho accompagnato in vari ‘pellegrinaggi’, anzi in seguito ho cercato di ‘difenderlo’ dal marcamento della sua Anna, perché “Amor vuol dire gelosia” ci può stare, ma la libertà d’azione è indispensabile in ogni rapporto.
Nel 1988 per “La passione de Criste” (Edipuglia, Bari, 1988) mi facesti leggere la prefazione di Raffaele Nigro, ancor oggi considerata un piccolo trattato con delle note meticolose e puntigliose, e concordammo su due pezzi, di cui uno fu pubblicato in ultima di copertina, e che proverò a citare fin dove la mia memoria fotografica assicura ‘visibilità’: “La Resurrezione di Cristo è la passione di una classe che supera la propria condizione di emarginazione e miseria attraverso emigrazione e abbandono di affetti…”.
A novembre 2008 ti convinsi a stilare una prefazione per il volume di Vittorio Polito “Baresità e… maresità” (Levante, Bari, 2008) ricordandoti che gli avevi autografato una copia di “Come eravamo” con parole che erano investitura, ringraziamento ed amicizia: “A Vittorio che non posso non considerare affettuoso collaboratore di queste lunghe pagine”; non solo, ma per “Cantata per una città”, tre anni prima, fosti ancora più generoso: “A Vittorio che di queste pagine è stato anche lui ‘autore’ nel risolvere imprecisioni, errori ed altro. Con grande affetto, Vito”. In sostanza la ‘cordata’ avviata da Mario Cavalli fece sbocciare quello scritto in cui facesti anche un rapido excursus sulla ‘Baresità’, spaziando da Francesco Saverio Abbrescia a Gaetano Savelli, da Giovanni Panza a Giuseppe De Benedictis, da Vitantonio Di Cagno a Vito De Fano. A Vittorio regalasti: “Autore di cotanto interessante tomo è Polito, da alcuni anni giornalista vivace e brillante, attento ai fatti di cronaca, soprattutto con l’occhio vigile alla variegata e abbondante produzione editoriale pugliese che segue con segnalazioni e recensioni sui giornali nei quali trova il suo opportuno spazio”, forte del tuo lasciapassare Polito da allora pubblica un libro ogni quindici mesi. Appena ti feci recapitare il volume mi chiamasti per dire: “Gianni nella panoramica finale di copertine di libri dedicata a Bari hai messo solo “Come eravamo?”. Nella fretta avevi visto male: vi erano anche “Il TEATRO” e “Cantata per una città”, oltre a copertine di altri editori. Quando mi hai richiamato il giorno dopo mi leggesti quello che Vittorio Polito aveva scritto su mio padre: “Coloro che hanno conosciuto Mario Cavalli comprendono bene che non saranno certo le mie parole a far cambiare il giudizio su un uomo che, come mi fu riferito nella Basilica di San Nicola, ‘faceva professione di fede, lavorando con fede’ e la mia testimonianza è solo quella di un individuo che ritiene di aver ritrovato il gusto della vita avvicinandosi a mestieri che, almeno nel mio caso, possono fare la felicità. Se è vero che per ognuno vi è qualcuno sempre, a ciascuno il suo”. Carissimo Vito mi hai fatto piangere quel giorno: mi hai riferito delle cose che porterò per sempre celate nel mio cuore e fosti tu a ricordarmi che il medico prof. Nicola Mongelli, spesso presente nelle domeniche di casa Levante, era solito ripetere “Mario per tutti noi è stata la medicina che non prescriverà mai nessun dottore”.
Non ti ho mai visto così felice-contento-appagato come quel fine ottobre 2002 quando improvvisamente, ‘piombato’ in azienda in compagnia di Anna, ti avventurasti verso coloro che stavano completando le prime copie di “Cantata per una città” (Levante, Bari, 2002) - ritengo che l’affettuoso ‘delatore’ sia stato Rino Bizzarro che era venuto da noi il giorno precedente e vide i ‘corpi’ del reato che erano pronti per la ‘bombatura’ (anche questa una tua precisa richiesta perché mio padre ti aveva fatto vedere l’effetto ‘soffice’ che si creava all’interno tra il cartone e la copertina che veniva incollata... e tu, da ‘giovanotto stagionato ti innamorasti’) - e leggesti per la prima volta la mia concisa presentazione alla presenza di Vito e Adele Lozito: prima cosa abbracciasti mio padre, poi andasti da Lello per dire che eri contento della copertina e che aveva ragione lui le scritte di ‘Cantata Fatti cose e personaggi’ meritavano un altro colore, ma andava bene lo stesso … e, venuto da me dicesti, fra il rumore delle macchine, con l’espressione di chi vuol far parlare solo il volto “… per suor Virginia”… certamente ti riferivi a sorella e amica. La storia della presentazione di questo libro - con prefazione di un importante personaggio tuo amico, che non ha mai fatto arrivare lo scritto - è stata pubblicata il 6 marzo 2009 sulla Gazzetta del Mezzogiorno, a mia firma.
Con meraviglia (solo perché tra le tante cose di cui parlavamo, poteva esserti sfuggita) scopristi che in quel volume “Cantata per una città” vi era una dedica per i tuoi nipoti, di cui ti avevo messo al corrente per telefono: tanto è vero che l’ordine dei nomi - Giuseppe, Francesca, Gianvito, Annabella - lo hai dettato tu. Eri contrario alle dediche, come alle presentazioni, perché ritenevi che, per bene che andasse, ti facevi qualche “avversario in più… di cui non sentivi la mancanza, perché gli ‘assenti’ sono i più ostili”.
In quel testo concordammo le foto e poi decisi io le didascalie e la divisione in: “I meravigliosi ricordi”, “I meravigliosi affetti”, e “Un meraviglioso amico sponsor” … sono convinto che la foto di te e Anna - una magnifica immagine che da sola può competere con un intero libro dedicato ad una donna - sia stata di grande conforto nella pratica di “Lascia o raddoppia?”, in cui ho dato sfoggio di un’abilità da ‘principe del foro’ colpevolmente messa da parte: carissimo Vito la tua dolce Anna, madre e moglie, non era assolutamente una donna da contenere con ‘manus manum lavat’. Come scrisse mio padre la sera del 29 novembre 2002 - una serata in cui, tolti i contrattempi difficilmente prevedibili, viene ricordata dai presenti per la perfetta organizzazione e la varietà del programma mandato in ‘scena’ - in un messaggio che toccò il cuore di molta gente ed allo stesso tempo era di grande qualità umana: “ … La nota dolente di questo libro è il risentimento degli esclusi. A nulla vale che a tutti ricordo che Vito si è anche dimenticato di me che ho attraversato più della metà del secolo scorso facendo la cantata di tanti che ora ‘bucano’ il video e sfornano volumi grazie al fatto che allora esisteva don Mario. Con questo voglio solo dire che l’esercito dei non beati è lungo, per cui aver compagni al duol scema la pena. …
Inoltre ricordo a tutti che Maurogiovanni è un ragazzo di non ancora 80 anni con tanta voglia di lavorare, approfondire e che, a Dio piacendo, nel tempo potrebbe concedere il bis. … Vito anche se ha dimestichezza con internet, non è figlio di INTERNET ma di un uomo che gestiva un bar notte e giorno … l’ANTICO CAFFE’. SIGNORI tornando a casa stasera chiedete agli anziani di casa del loro ‘caffè antico’: vi sveleranno la storia di un passato che andrebbe indossato ogni giorno sul posto di lavoro, a pranzo, a cena, UN PASSATO che ci farà comprendere che Bari era bella, è bella, resterà bella non perché la canta Vito Maurogiovanni, ma perché il nostro cuore di baresi autentici lo VUOLE e lo CANTA”.
Mio padre come tu scrivesti nel volume “Come eravamo” (Levante Bari, 2005), pubblicato a dicembre 2005, aveva intrapreso l’eterno viaggio verso Itaca il 1 agosto 2004 ed io chiesi al direttore della Gazzetta del Mezzogiorno dell’epoca, Lino Patruno, una presentazione per quel libro già annunciato nel 2002.
“L’errore che si potrebbe fare leggendo Vito Maurogiovanni è tacciarlo di lamentosa malinconia della giovinezza perduta. Mai abbaglio più grande, perché chi al di là del tempo e dei luoghi conserva occhi di bambino come lui, la giovinezza non l’ha mai perduta” con queste parole il direttore Patruno cominciava il suo intervento e, dopo una serie di citazioni da Proust a France, da Gouhier a Gasset, da de Andrade a Dahl e, finalmente, alla Maria Luisa Spaziani, concludeva “Insomma, ci siamo capiti, prima che finisca a lacrime e sbafo di citazioni. Più capiamo come eravamo, più capiamo come siamo, più capiamo come saremo. Perché il Dna, il marchio di fabbrica di ciascuno di noi, non c’entra nulla con la conquista di Marte e col digitale terreste. …” (Lino Patruno è l’autore del volume “Imparate dal Sud. Lezioni di sviluppo all’Italia, Magenes Milano, 2022… di cui spero sia giunta l’eco, anche da voi, con relativa riflessione supplementare).
Carissimo Vito all’uscita del volume ti dissi solo penso di aver esaudito quella tua richiesta “… lo voglio e sarai tu…”; ora possiamo dirlo fu una tua precisa richiesta quella di occuparmi di foto e didascalie e piccole riflessioni e di firmare invece di G.C., Livalca, Gio.Ca e Vanni Valli… semplicemente Gianni Cavalli quella parte finale “Un messaggio, tante foto”.
La sera della presentazione di quel volume - nella sala riunioni del Consiglio comunale di Bari - fu tutto magnificamente organizzato da chi è maestro-allievo in queste cose e vi fu solo una piccola ‘dimenticanza’ che ancor oggi faccio difficoltà a mandar giù, ma che ben inquadrò Vinicio Aquaro quando ci siamo incontrati alcuni giorni dopo (Vinicio è colui che nel 2003 ti premiò con il “Valle dei Trulli” per “Cantata per una città”, riconoscimento che in precedenza, 1984, aveva ricevuto Alberto Moravia: PREMIO la cui mancanza si avverte… ‘Sic transit gloria mundi’).
Fu l’acume, ammantato di cultura classica, di Aquaro a riportarci in riga con la frase estrapolata dal trattato in versi “L’Epistola ai Pisoni” (meglio conosciuta come “Ars poetica” che Quinto Orazio Flacco compose nel 13 a.C.) che recita: “Quandoque bonus dormitat Homerus” (Anche il bravo Omero a volte può non essere all’altezza perché si appisola e perde qualche colpo) e che fece in modo che Omero- Maurogiovanni e Gianni-Flacco si ritrovassero nel silenzio-assenso, che non era mai stato smarrito.
Come dimenticare Franco Cipriani, ordinario di diritto processuale civile nella nostra università per oltre 8 lustri, che in una di quelle nostre riunioni domenicali ti disse: “Vito i Cavalli per me hanno un pregio inestimabile: non sanno fingere, anche contro i loro interessi … poi Gianni ha tutto scritto sul volto”. L’Amico prof. Cipriani è morto un anno dopo di te, carissimo Vito, ma il 6 marzo 2009 fu il primo a chiamarmi in azienda verso le 7.00: “Gianni ho letto l’articolo, Vito sarà felice”.
Carissimo Vito sulla Terra non ti sono mancati riconoscimenti, premi, gratificazioni, targhe, cittadinanze e tutto ciò che rende ‘la vita meno amara’ o per dirla con Carducci “E’ l’ombra di un sogno fuggente”, ma il giorno del tuo addio, nella Basilica di San Nicola, ho notato come fossero triplicati i ‘riconoscimenti-apprezzamenti’; in questi anni grazie ad Anna e alle tue figlie Celeste, Elvira e Genny, coadiuvate da generi e nipoti, è stato impossibile dimenticarti.
Questo 2024, anno del tuo centenario dalla nascita, ci sono state manifestazioni culturali di grande spessore ed ora il 12 e 13 dicembre p. v. la tua arte e la tua vita verrà ‘vivisezionata’: S. Bronzini, M. Emiliano, V. Leccese, P. Ponzio, C. Petrocelli, E. Quarto, E. Scandale, P. Puppa, F.S. Minervini, I. Aulisa, A. Caputo, M. Matera, D. Cofano, F. De Martino, D. M. Pegorari, M. B. Saponaro, A. De Robertis, P. Bellini, V. A. Leuzzi, A. Santoliquido, Cristò, P. Ricci, P. Laforgia, D. Castellaneta (figlio di quel grande, poco fortunato, amico Andrea), O. Pagone, L. Patruno, M.L. Sgobba, E. Simonetti, A. Genga e P. Martelli forse ci racconteranno di te cose che, anche tu, ignoravi.
Carissimo Vito una delle ultime volte che sei venuto in azienda, nel salutare mio fratello Lello, hai detto “Gianni ho visto Mario non Lello”: non ci ho fatto caso, anzi l’ho considerata una tua sensibilità nei confronti di mio padre. Il giorno dei funerali di Anna, ad aprile 2022, nella chiesa Arciconfraternita SS. Trinità e SS. Medici Cosma e Damiano ero seduto in un angolo a seguire le parole di don Corrado Germinario quando si è avvicinato un giovane alto e mi ha abbracciato: io ho visto Vito Maurogiovanni, ma mi hanno detto fosse Giuseppe tuo nipote. Ho riferito l’accaduto a mia moglie Angela che mi ha guardato come si vede un ‘marito sognatore’ per usare un eufemismo. Agli inizi di quest’anno Giuseppe è venuto a salutarmi e, quando ci siamo abbracciati, sono convinto … di aver abbracciato Vito Maurogiovanni. Sono una persona lucidissima, con una memoria validissima per il passato (forse perché come diceva Hobbes: “Le cose passate esistono unicamente nella memoria”) ed un po’ meno per il presente, che comunque non mi vede assente.
Vito carissimo probabilmente la spiegazione di tutto ciò riuscirò a trovarla il 26 dicembre nel Teatro Piccinni, luogo in cui il Centro Polivalente di Cultura GRUPPO ABELIANO ti dedicherà uno spettacolo di Vito Signorile, che cura anche la regia, dal titolo “IL POETA DI COMPAGNIA - Omaggio a Vito Maurogiovanni 1924-2024”. Gli attori Monica Contini, Gigi De Santis, Nico Salatino, Enzo Sarcina, Paolo Sassanelli, Enzo Strippoli, Tina Tempesta e Lucia Zotti, coadiuvati dalla partecipazione straordinaria di Antonio Stornaiolo, Marit Nissen, Vito Signorile e Nietta Tempesta e sostenuti dall’accompagnamento dei musicisti Davide Ceddia, Giovanni Chiapparino, Maria Giaquinto e Giuseppe De Trizio faranno in modo che la ‘Compagnia Vito Maurogiovanni’ possa ‘viaggiare’ verso l’eternità.
Vito come non pensare alle parole di Tommaso Fiore, morto nel 1973, quando tu eri sempre Vito, ma non ti eri ancora rivelato il Maurogiovanni ‘Poeta di compagnia’ agli occhi del mondo: “Non è un poeta, cioè potrebbe anche essere un poeta e non fare nessuna impressione. Invece quest’uomo si distingue facilmente, mi ha colpito sempre per qualcosa di singolarmente puro, ecco, francescano. La sua faccia, come di un bambino, senza pelo, bianchissima, gli occhi grandi e neri pensosi e assorti, sempre. A cosa pensa? Non so, ma ha sempre qualcosa cui pensare. … Non è facile far nascere la poesia dalle comuni vicende quotidiane. Invece tutta la poesia a stampa di questo poeta non è che un’appendice dell’uomo. Scrive “Quando mia madre era ammalata”, scrive “Il cappotto” perché gli hanno rubato il cappotto e la moglie si è messa a piangere davvero. Il nome del poeta è Vito Maurogiovanni”. Carissimo Vito ritengo che Tommaso Fiore (Altamura 1884-Bari 1973) ti abbia fatto i complimenti per quanto realizzato giù e tu lo abbia ‘ragguagliato’ sulla lunga vita di “Un popolo di formiche” (Laterza, Bari, 1951) ed anche il figlio Vittore (Gallipoli 1920-Capurso 1999), da te frequentato più assiduamente, ti avrà chiesto notizie de “Il Nuovo Risorgimento”…
Vito, per piacere, fissa il tutto sulla carta disponibile da quelle parti … in modo da riferirmi a tempo debito.
(Gianni Cavalli)