Arafat. Il sovrano senza stato
DEBORAH PETRUZZO - Yasser Arafat fu il leader storico dei Palestinesi.
Per oltre 30 anni guidò la lotta per la costituzione
di uno stato palestinese indipendente.
Figlio di un commerciante palestinese, Arafat nacque al Cairo, in Egitto, nell’agosto 1929. Nel 1947 si iscrive alla Facoltà di Ingegneria del Cairo. In questi anni, importanti cambiamenti coinvolgono i Paesi dell’area mediorientale. Nel 1948, terminata la Seconda Guerra Mondiale, l’Onu dà il suo assenso alla creazione di uno Stato che accolga gli ebrei vittime delle persecuzioni naziste: sui territori palestinesi, al confine con l’Egitto, nasce lo stato ebraico di Israele.
Il territorio destinato al nuovo Paese ebraico, però, è già abitato: per fare spazio agli ebrei privi di una patria, 700.000 cittadini arabo-palestinesi vengono costretti a lasciare le proprie case. Comincia così un conflitto tra Ebrei e Arabi che insanguinerà questa regione per decenni.
Il giovane Arafat abbraccia da subito la causa palestinese e si unisce ai militanti che vogliono riconquistare la loro terra. Intorno al ’58 fonda un’organizzazione chiamata al-Fatàh e ne diviene il leader. L’obiettivo di al-Fatàh è creare uno Stato palestinese.
Nel dicembre del 1988, Arafat attua dunque una storica svolta: dichiara la rinuncia da parte dell’OLP alla distruzione di Israele. Propone la convivenza pacifica e la creazione di uno Stato palestinese.
L’apertura di Arafat viene accolta. Nel 1993, a Oslo, Israele accetta di siglare un accordo con il leader palestinese. Nel 1994 Arafat viene insignito del Nobel per la pace che fu un riconoscimento del lavoro di questo leader nel cercare una soluzione pacifica e un promemoria dell'impegno necessario per raggiungere la pace: se tutti la volevano, tutti avrebbero dovuto lavorare per ottenerla.
A luglio dello stesso anno si stabilisce in Palestina. Il processo di pace dura diversi anni, ma quando nel 2000 il premier israeliano Ehud Barak propone ad Arafat alcune terre per la nascita dello stato di Palestina, quest’ultimo considera la proposta insufficiente e la situazione precipita di nuovo.
Nel 2001 il nuovo leader israeliano, Ariel Sharon, isola definitivamente Arafat. Yasser Arafat muore l’11 novembre 2004, a 75 anni, a Clamart, in Francia.
Moriva dopo giorni di atroci sofferenze. I dubbi su quella morte fin dal primo momento furono fortissimi e, fra detto e non detto, segreti e misteri, sembra ormai certo che non di morte naturale si trattò, bensì di un vero e proprio assassinio messo in pratica grazie a sostanze velenose (si parla di polonio) che solo Israele e i suoi servizi segreti potevano utilizzare.
Con la morte di Arafat si completava così l’eliminazione sistematica di tutti i principali leader della rivoluzione palestinese, iniziata negli anni Settanta e proseguita nei decenni successivi. Quei leader che avevano caratterizzato in senso progressista e anticoloniale la lotta palestinese. Il dramma della Palestina non aveva trovato ancora una soluzione. Arafat aveva rappresentato il cuore di tutto questo, lui aveva dato dignità alle rivendicazioni del suo Popolo riuscendo a fare della causa palestinese una causa mondiale.
Con la riforma dell’OLP e la nascita di Fatah, aveva emancipato i Palestinesi dall’abbraccio, spesso nefasto, delle monarchie corrotte e dei regimi dell’area, troppe volte desiderosi di strumentalizzare questa lotta solo a loro vantaggio.
Aveva saputo parlare al mondo intero, divenendo un imprescindibile riferimento per quanti lottavano per la libertà e l’indipendenza. Aveva dimostrato di saper combattere, come fece eroicamente a Karameh nel 1968, di saper resistere con ostinazione, come dimostrò sotto il terribile assedio di Beirut del 1982, ma anche di saper trattare.
Lo fece sempre, anche quando, come accadde con “Oslo”, la sua politica si rivelò fallimentare, con grande onestà, senza mai abdicare e senza mai perdere la dignità.
Forse proprio per tutte queste ragioni, nonostante le critiche che subì nei primi anni dell’Autorità nazionale palestinese, mai fu abbandonato dal suo popolo che lo ha sempre amato come un padre, Abu Ammar.
E proprio questo amore profondo che lo legava alla sua gente deve aver convinto Israele prima a sottoporlo a un assedio lunghissimo alla Moqata a Ramallah e infine a ucciderlo.
Ma a oggi la sua strategia e il suo approccio politico sono ancora presenti all’interno di Fatah e nel mondo politico palestinese in generale? Per i Palestinesi, ricordare Arafat è sempre un atto di commemorazione per il vecchio leader, in un delicato momento storico. Seppure siano molte le critiche verso Arafat, la situazione in Palestina, l’allontanarsi del diritto all’autodeterminazione e la durezza delle politiche israeliane fanno sì che la nostalgia per la vecchia leadership oggi sia più forte.
Arafat è considerato uno dei capi palestinesi più pragmatici, elastico nelle sue politiche, ma che non ha mai messo in discussione i diritti nazionali palestinesi.
Quando le televisioni mostrarono 24 anni fa le foto di un Arafat malato, in fin di vita, che in elicottero lasciava la sua terra, si percepiva che gli stavano infliggendo la condanna peggiore: lasciare la propria terra per morire esule.
Ma quel sorriso tenero e quella mano che salutava il suo popolo mentre l’elicottero prendeva il volo rimasero impressi nella mente di tanti: potevano assassinarlo, ma lo straordinario legame con il suo popolo non potevano spezzarlo. Le sue idee e la causa del popolo palestinese vinceranno.
Un libro per definire meglio la figura del grande leader ripercorrendo un po' tutta la questione palestinese. Per non dimenticare una figura storica e fondamentale che ha caratterizzato la seconda metà del XX secolo. Un personaggio che molti vorrebbero non venisse ricordato perché ritenuto scomodo. Personaggio controverso, eroe per alcuni e terrorista per altri, leader carismatico, uomo politico molto più aperto al dialogo e al compromesso di quanto i suoi avversari vogliano ricordare.
Stefania Limiti
Arafat. Il sovrano senza stato
Castelvecchi Editore, Roma
Collana “Storie”
pp. 240, euro 20,00.
Figlio di un commerciante palestinese, Arafat nacque al Cairo, in Egitto, nell’agosto 1929. Nel 1947 si iscrive alla Facoltà di Ingegneria del Cairo. In questi anni, importanti cambiamenti coinvolgono i Paesi dell’area mediorientale. Nel 1948, terminata la Seconda Guerra Mondiale, l’Onu dà il suo assenso alla creazione di uno Stato che accolga gli ebrei vittime delle persecuzioni naziste: sui territori palestinesi, al confine con l’Egitto, nasce lo stato ebraico di Israele.
Il territorio destinato al nuovo Paese ebraico, però, è già abitato: per fare spazio agli ebrei privi di una patria, 700.000 cittadini arabo-palestinesi vengono costretti a lasciare le proprie case. Comincia così un conflitto tra Ebrei e Arabi che insanguinerà questa regione per decenni.
Il giovane Arafat abbraccia da subito la causa palestinese e si unisce ai militanti che vogliono riconquistare la loro terra. Intorno al ’58 fonda un’organizzazione chiamata al-Fatàh e ne diviene il leader. L’obiettivo di al-Fatàh è creare uno Stato palestinese.
Nel dicembre del 1988, Arafat attua dunque una storica svolta: dichiara la rinuncia da parte dell’OLP alla distruzione di Israele. Propone la convivenza pacifica e la creazione di uno Stato palestinese.
L’apertura di Arafat viene accolta. Nel 1993, a Oslo, Israele accetta di siglare un accordo con il leader palestinese. Nel 1994 Arafat viene insignito del Nobel per la pace che fu un riconoscimento del lavoro di questo leader nel cercare una soluzione pacifica e un promemoria dell'impegno necessario per raggiungere la pace: se tutti la volevano, tutti avrebbero dovuto lavorare per ottenerla.
A luglio dello stesso anno si stabilisce in Palestina. Il processo di pace dura diversi anni, ma quando nel 2000 il premier israeliano Ehud Barak propone ad Arafat alcune terre per la nascita dello stato di Palestina, quest’ultimo considera la proposta insufficiente e la situazione precipita di nuovo.
Nel 2001 il nuovo leader israeliano, Ariel Sharon, isola definitivamente Arafat. Yasser Arafat muore l’11 novembre 2004, a 75 anni, a Clamart, in Francia.
Moriva dopo giorni di atroci sofferenze. I dubbi su quella morte fin dal primo momento furono fortissimi e, fra detto e non detto, segreti e misteri, sembra ormai certo che non di morte naturale si trattò, bensì di un vero e proprio assassinio messo in pratica grazie a sostanze velenose (si parla di polonio) che solo Israele e i suoi servizi segreti potevano utilizzare.
Con la morte di Arafat si completava così l’eliminazione sistematica di tutti i principali leader della rivoluzione palestinese, iniziata negli anni Settanta e proseguita nei decenni successivi. Quei leader che avevano caratterizzato in senso progressista e anticoloniale la lotta palestinese. Il dramma della Palestina non aveva trovato ancora una soluzione. Arafat aveva rappresentato il cuore di tutto questo, lui aveva dato dignità alle rivendicazioni del suo Popolo riuscendo a fare della causa palestinese una causa mondiale.
Con la riforma dell’OLP e la nascita di Fatah, aveva emancipato i Palestinesi dall’abbraccio, spesso nefasto, delle monarchie corrotte e dei regimi dell’area, troppe volte desiderosi di strumentalizzare questa lotta solo a loro vantaggio.
Aveva saputo parlare al mondo intero, divenendo un imprescindibile riferimento per quanti lottavano per la libertà e l’indipendenza. Aveva dimostrato di saper combattere, come fece eroicamente a Karameh nel 1968, di saper resistere con ostinazione, come dimostrò sotto il terribile assedio di Beirut del 1982, ma anche di saper trattare.
Lo fece sempre, anche quando, come accadde con “Oslo”, la sua politica si rivelò fallimentare, con grande onestà, senza mai abdicare e senza mai perdere la dignità.
Forse proprio per tutte queste ragioni, nonostante le critiche che subì nei primi anni dell’Autorità nazionale palestinese, mai fu abbandonato dal suo popolo che lo ha sempre amato come un padre, Abu Ammar.
E proprio questo amore profondo che lo legava alla sua gente deve aver convinto Israele prima a sottoporlo a un assedio lunghissimo alla Moqata a Ramallah e infine a ucciderlo.
Ma a oggi la sua strategia e il suo approccio politico sono ancora presenti all’interno di Fatah e nel mondo politico palestinese in generale? Per i Palestinesi, ricordare Arafat è sempre un atto di commemorazione per il vecchio leader, in un delicato momento storico. Seppure siano molte le critiche verso Arafat, la situazione in Palestina, l’allontanarsi del diritto all’autodeterminazione e la durezza delle politiche israeliane fanno sì che la nostalgia per la vecchia leadership oggi sia più forte.
Arafat è considerato uno dei capi palestinesi più pragmatici, elastico nelle sue politiche, ma che non ha mai messo in discussione i diritti nazionali palestinesi.
Quando le televisioni mostrarono 24 anni fa le foto di un Arafat malato, in fin di vita, che in elicottero lasciava la sua terra, si percepiva che gli stavano infliggendo la condanna peggiore: lasciare la propria terra per morire esule.
Ma quel sorriso tenero e quella mano che salutava il suo popolo mentre l’elicottero prendeva il volo rimasero impressi nella mente di tanti: potevano assassinarlo, ma lo straordinario legame con il suo popolo non potevano spezzarlo. Le sue idee e la causa del popolo palestinese vinceranno.
Un libro per definire meglio la figura del grande leader ripercorrendo un po' tutta la questione palestinese. Per non dimenticare una figura storica e fondamentale che ha caratterizzato la seconda metà del XX secolo. Un personaggio che molti vorrebbero non venisse ricordato perché ritenuto scomodo. Personaggio controverso, eroe per alcuni e terrorista per altri, leader carismatico, uomo politico molto più aperto al dialogo e al compromesso di quanto i suoi avversari vogliano ricordare.
Stefania Limiti
Arafat. Il sovrano senza stato
Castelvecchi Editore, Roma
Collana “Storie”
pp. 240, euro 20,00.