Pride Month, allarme discriminazioni sul lavoro: 3 talenti LGBTQIA+ su 10 temono il coming out e lasciano l’azienda
MONZA - Nel pieno del Pride Month, una nuova indagine accende i riflettori su un tema ancora troppo trascurato: la discriminazione nei luoghi di lavoro. Secondo uno studio del Williams Institute della UCLA, ben 3 talenti LGBTQIA+ su 10 temono ancora oggi di fare coming out sul posto di lavoro e decidono di abbandonare l’azienda per paura di ritorsioni, pregiudizi o esclusioni.
Un dato allarmante, che rivela come l’assenza di inclusività reale o anche solo percepita rappresenti un ostacolo non solo etico, ma anche strategico, nella sfida di trattenere le persone migliori. In un mercato del lavoro sempre più competitivo, inclusione fa rima con retention.
“Creare ambienti inclusivi non è solo un valore, ma un asset strategico”, sottolinea Marika Delli Ficorelli, Head of HR di Zeta Service, azienda italiana che per tutto giugno ha installato lavagne dell’inclusività nelle sue nove sedi, promuovendo la partecipazione attiva dei dipendenti a un racconto collettivo sui valori di rispetto e accoglienza.
Discriminazioni e timori: i numeri della ricerca
Lo studio ha coinvolto circa 2.000 persone LGBTQIA+ occupate, tra il 2023 e il 2024, e i risultati parlano chiaro:
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Il 33% ha lasciato il lavoro o sta pensando di farlo per paura di discriminazioni;
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Il 46% evita di manifestare la propria identità ai supervisori o manager;
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Solo il 21% teme il giudizio del team o dei colleghi;
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Tra chi ha fatto coming out, il 39% ha subito discriminazioni, contro il 12% tra chi ha scelto di nascondersi;
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Le molestie colpiscono il 42% di chi si è dichiarato e il 17% di chi ha evitato il coming out.
Inoltre, un altro 15% degli intervistati ha considerato l’idea di dimettersi, anche se poi non ha proceduto, mentre il 58% adotta comportamenti di copertura: cambiare aspetto, evitare conversazioni personali, modificare le abitudini quotidiane, come l’uso del bagno, per ridurre i rischi.
Delli Ficorelli (Zeta Service): “Includere non è un badge, ma un impegno quotidiano”
“Non basta accogliere, bisogna costruire spazi in cui tutti possano vivere la propria autenticità”, spiega Delli Ficorelli. “Le aziende che lo fanno crescono davvero: innovano, trattengono talenti e valorizzano la diversità come leva di sviluppo”.
Zeta Service, da anni impegnata su questi temi, promuove politiche concrete e inclusive: congedi matrimoniali e parentali estesi, Policy Tolleranza Zero verso ogni forma di discriminazione, formazione continua, e un costante lavoro di ascolto interno. “Inclusione non si scrive su un documento: si vive ogni giorno. I/le manager devono guidare il cambiamento con l’esempio e il rispetto”, aggiunge.
L’impegno dell’azienda è stato recentemente riconosciuto a livello internazionale: la co-CEO Debora Moretti ha ricevuto il Judges Awards ai Global Payroll Awards 2025 a Varsavia, per il suo contributo alla creazione di un ambiente di lavoro sicuro e inclusivo.
Un cambiamento necessario (e urgente)
I dati dello studio e le testimonianze aziendali confermano quanto l’inclusione sia ancora una sfida urgente. E mentre il mese del Pride ci ricorda l’importanza di visibilità e diritti, la realtà quotidiana di molti lavoratori e lavoratrici LGBTQIA+ rimane segnata da paure e rinunce.
Un segnale chiaro per le aziende: non basta celebrare la diversità a giugno. Serve un cambio di passo culturale e strutturale per trasformare i luoghi di lavoro in spazi realmente sicuri, aperti e rispettosi. Dove ogni persona, indipendentemente da chi ama o da come si identifica, possa essere sé stessa. Sempre.