Il dialetto barese oggi

VITTORIO POLITO – Si parla da anni dell’agonia dei dialetti, ma, andando in fondo, ci si rende conto che non sono pochi coloro che in famiglia e tra amici parlano il dialetto. Non è forse con le parole del vernacolo che si esprime la vera genuinità, la naturalezza della vita concreta, l’autentico soffrire e sentire di un popolo?

Una poesia in dialetto, ad esempio, è, per definizione, possibile solo quando esiste una lingua nazionale comune, rispetto alla quale, per ragioni diverse, che variano da caso a caso, tende a distinguersi.

Daniele Giancane, già docente nell’Università di Bari, sostiene che: «Il dialetto negli autori più significativi e intensi, non è più il codice dell’inferiorità linguistica e neppure dell’alternativa: è un linguaggio, che offre al poeta delle possibilità (sonore, retoriche, sintattiche), diverse rispetto a quelle della lingua. Non per nulla i poeti spesso seguono entrambi gli itinerari, con uno sforzo semantico e intellettuale di grande respiro: siamo bilingui e interculturali – pare che dicano – è bene non dimenticarlo, soprattutto che ci si apre ai nuovi linguaggi dell’Europa».

Ugo Vignuzzi, già ordinario di Dialettologia all’Università “La Sapienza” di Roma, socio dell’Accademia della Crusca, ha dichiarato, in occasione di un Convegno, che «Bisognerebbe inserire il dialetto, in tutte le sue forme, nel quadro dei beni culturali, valorizzarlo a questo scopo, fare in modo di farlo conoscere, anche organizzando, come è stato fatto in molte zone d’Europa, giri turistico-culturali, gastronomici, etnografici, in cui c’è l’incontro con un gruppo folcloristico e, ancora, si vede una cosa di teatro dialettale, si mangia in particolari ristoranti tradizionali, si incontra un artigiano, un ceramista, un pescatore e così via: sono tutte cose, che hanno ricadute economiche, e servono a valorizzare quello che è il nostro vero tesoro, quello che chiamiamo “giacimento culturale”, ma che poi non sappiamo usare. Tutto questo non solo banalmente a livello economico, ma soprattutto per portare di nuovo, a livello di massa, l’esperienza dialettale». Inoltre, ha evidenziato il valore dei dialetti e la necessità del loro recupero.

La letteratura in dialetto, e segnatamente la poesia dialettale è testimonianza preziosa di storia civile e culturale, intrisa com’è dell’intelligenza e della fatica, del sapere intellettuale e delle esperienze culturali dei soggetti e delle popolazioni che l’hanno prodotta o che in dialetto parlano. Franz Falanga (1933-2018), nel suo libro “O dadò o dadà” (Adda Editore), si imbarca in un bel viaggio finalizzato al recupero e alla rivalutazione dei termini dialettali baresi, convinto che i dialetti siano un inestimabile tesoro di conoscenza, in considerazione del fatto che ogni parola è talmente carica di plusvalori da essere essa stessa un inesplorato continente. Il tutto condito con un po’ di umorismo che rafforza al massimo l’ottimo lavoro presentato. Secondo lo stesso Falanga «Il dialetto barese è un’architettura linguistica nella quale l’insulto o il più modesto rimprovero toccano vertici di rara bellezza». L’autore ha voluto dare a cultori e studiosi del dialetto barese un ottimo contributo per lo studio e la valorizzazione della nostra prima lingua, riuscendoci benissimo, attraverso un volume graficamente elegante e soprattutto dal titolo intrigante “O dadò o dadà” che in lingua significa “O di qua o di là”, ovvero da qui (leggi dialetto) non si scappa.

Gaetano Bucci, docente di lettere, nel suo volume “Cor sine labe” (Levante Editori), sostiene che «L’italiano, si sa, non è la sola lingua in cui ci si esprime in Italia. I dialetti, soprattutto nelle province e città del Sud, hanno avuto e conservano una importanza enorme. Intorno ai dialetti sono nate le tradizioni letterarie popolari. La lingua dialettale è servita a tramandare di generazione in generazione non solo molte conoscenze e saperi legati alla vita locale, ma in un certo senso l’anima stessa delle comunità cittadine. Non è, per esempio, possibile pensare alla “civiltà contadina” e alla sua ricchezza valoriale senza l’idioma dialettale, che è poi prima di tutto lingua dello “scambio umano”. In dialetto, difatti, in tutte le città italiane, troviamo un’ampia letteratura che comprende non solo proverbi e detti, storie e cronache, ma anche filastrocche e poesie, preghiere e canzoni, commedie e drammi locali». Per non parlare dei Vangeli, della Divina Commedia, delle Vie Crucis, della Passione di Cristo, ecc.

Merita segnalazione il testo “Da San Catalde a Specchie” (Gelsorosso Editore), prima antologia della poesia dialettale barese, a cura di Paolo Testone e Lino Angiuli. Il volume presenta i luoghi della poesia dialettale barese tra Otto e Novecento e propone una rassegna di testi dedicati a Bari da 23 poeti. La novità editoriale sta nel fatto che al volume è allegato, per la prima volta, un CD con le voci di Vito Signorile e Antonella Genga, che interpretano magistralmente nella suggestiva atmosfera delle note musicali di Pino di Modugno, le poesie scelte per consentire al dialetto di esprimersi anche attraverso le sue originali sonorità.

Per non parlare di Domenico Triggiani (1929-2005), scrittore poliedrico e instancabile, autore di numerose commedie in lingua e in vernacolo, che costituiscono un ulteriore importante contributo teso a recuperare la memoria storica del territorio in cui affondano le nostre radici. Recentemente tutte le opere in lingua e in dialetto sono state pubblicate a cura di Nicola Triggiani, ordinario di Diritto Processuale Penale nell’Università di Bari, e Rosa Lettini, scomparsa recentemente, raccolte in tre volumi raccolti in cofanetto “A spasso nel Teatro di Domenico Triggiani” (Cacucci Editore). Triggiani è altresì autore del primo romanzo storico-satirico in vernacolo barese, “Da Adame ad Andriotte”, scritto con la moglie Rosa Lettini, pubblicato nel 1992 dall’editore Schena.

Dulcis in fundo, la recentissima pubblicazione dell’interessante ed esclusivo testo “La Costituzione tradotta nelle lingue e nei dialetti regionali italiani” (Editoriale Anicia s.r.l.”), a cura di Vito Tenore, presidente di Sezione della Corte dei Conti.

Il proliferare di pubblicazioni, rappresentazioni teatrali, rassegne in vernacolo, di convegni, di premi letterari, è la dimostrazione della sete di sapere del pubblico e della grande voglia di conoscere e di partecipare. Mi riferisco ovviamente al buon dialetto, quello con la D maiuscola, non a quello volgare che attori di bassa lega tentano di imporre, al solo scopo di ridicolizzare il vernacolo, di destare ilarità o di fare cassetta. Oggi, intorno al dialetto, vi è un gran movimento, evidenziato dalle numerose pubblicazioni, attività e iniziative che sottolineano come il vernacolo è più vivo che mai. Un solo cruccio: il dialetto è scritto in varie forme, dal momento che le regole non sono concordate, quindi ognuno scrive come gli pare.

Anna Maria Tripputi, già docente nell’Università di Bari, scrive nella presentazione del libro ‘Natale a Bari’ di Celeste e Vito Maurogiovanni (Malagrinò Editore), che «A differenza della poesia popolare, che non ha un unico autore ed una sola versione ma le mille voci del popolo e il caleidoscopio delle varianti, la poesia dialettale è creazione personale di un poeta che sceglie il dialetto, lingua madre, per esprimere sentimenti ed emozioni». Il dialetto rappresenta in sostanza una specie di tessuto connettivo fra il passato e il presente, nel quale ogni epoca o avvenimento ha lasciato dei segni che offrono testimonianze innumerevoli intorno all’antichità della storia barese, ai contatti avuti con gli stranieri e ai costumi del luogo. Insomma il DNA che permette di conoscere la storia e la provenienza di un individuo.

E che dire del “Nuovo dizionario dei baresi” di Enrica e Lorenzo Gentile - italiano-barese e barese-italiano – (Levante Editori)? Una meritoria fatica che hanno regalato ai baresi una novità esclusiva ed assoluta: la traduzione in barese dei vocaboli italiani ed anche la versione italiana dei termini dialettali. A questo si aggiunge il più recente e corposo dizionario “Per non dimenticare” (Barese/Italiano e Italiano/Barese) (WIP Edizioni), che Giuseppe Gioia (1937- 2020), Gaetano Mele e Francesco Signorile hanno pubblicato per la delizia dei baresi e dei cultori del dialetto. Un’altra interessante opera è quella di Giovanni Panza (1916-1994), rappresentata da “La uerre de Troia” (Iliade e Odissea chendate a la pobblazione – Iliade e Odissea narrata al popolo), presentata anche questa in italiano e dialetto barese. Forse perché Omero pare rappresenti una delle fonti da cui risale il nostro linguaggio, per certe citazioni come “Tallone d’Achille”, “Cavallo di Troia”, “Tela di Penelope”, che ricorrono ancora oggi come espressioni di linguaggio corrente anche da parte di chi non ha mai letto il poeta greco. Uno di questi mezzi può essere rappresentato dal dialetto barese che Giovanni Panza ha utilizzato per tradurre nel nostro vernacolo i poemi omerici Iliade e Odissea, il quale nella presentazione scrive che «Il piacere di rileggere i due poemi è stato tale da suscitare il desiderio di renderne partecipi tanti altri. Ovviamente - scrive l’autore - non avevo altri mezzi per attirare l’attenzione se non il dialetto barese e, in dialetto, ho voluto riaccostarmi – con reverente umiltà – al mondo omerico per raccontare, con il tono degli antichi cantastorie, i fatti cruenti e quelli edificanti; ricchi di spunti poetici, di insegnamenti morali e di considerazioni filosofiche che sono contenuti nell’Iliade e nell’Odissea». Una delle più belle pagine dell’Eneide è rappresentata, com’è noto, dall’episodio relativo al famoso “Cavallo di Troia” (U cavadde de taue).

In realtà oggi vi è un gran movimento intorno ai dialetti, evidenziato dalle numerose attività ed iniziative che sempre più numerose sottolineano come il vernacolo è più vivo che mai. Ovviamente ci riferiamo al buon dialetto. È, quindi, pienamente condivisibile il pensiero di Lino Patruno, già Direttore de “La Gazzetta del Mezzogiorno” che, rispondendo alla lettera di una lettrice scrisse che «… sarebbe bene non far morire il dialetto, fino al punto, se necessario, di studiarlo a scuola».

Lasciamo quindi che ognuno si esprima nella propria lingua, dal momento che il vernacolo, contrariamente a quanto alcuni sostengono, resiste contro l’assalto dei mezzi di comunicazione e costituisce un ponte che dal passato va verso il futuro e rappresenta la vera espressione dei sentimenti. Infatti, con il dialetto si può ridere, poetare, recitare, piangere e pregare. Lo stesso Armando Perotti sosteneva che «Il dialetto, al pari di tutti gli altri, si va trasformando, non muore: morirà il giorno in cui mancherà l’ultimo abitante, ciò che non pare probabile».

Infine, una nota dolente: va segnalata a Bari la scomparsa dei teatri che proponevano commedie dialettali baresi, molto frequentati, per dar posto alla speculazione edilizia che imperversa in ogni punto della città. Una grave difficoltà per i nostri commediografi e per le compagnie che hanno difficoltà a programmare le commedie nel nostro dialetto e sono costretti a spostarsi in teatri della provincia.