Quella generazione dai sogni bruciati
FRANCESCO GRECO - “Ora che ho superato i sessant’anni, dopo avere riflettuto a lungo, ho deciso di raccontare quello che accadde…”.
Immediatamente riconoscibile, per chi ci è nato e ci vive, la location: “Roma si andava spegnendo nella notte, rumori rarefatti di automobili attorno alla piazza, la pioggerellina incessante, i lampioni sonnacchiosi. La città ritrovava a quell’ora la dimensione indolente…”.
I crudeli anni Novanta che hanno frantumato un sacco di illusioni e certezze: berlusconismo delirante, cloroformio negli interstizi della vita. Nei quartieri popolari, tra Tiburtina e Tuscolana, un’umanità antropologicamente segnata, dolente e confusa, arrivata dal Sud in cerca di riscatto, in rivolta con la terra di provenienza e la stessa famiglia.
E’ il brodo primordiale che avvolge Antonia (Antonella), origini lucane, iscritta a Psicologia, ma fuori corso dopo appena due anni.
Un incidente in motorino e la sua vita cambia percorso. Al pronto soccorso, c’è Giulia attende anche lei di essere curata. Ha l’Aids, patologia che attraversa tutti i Novanta (pare passata una glaciazione), trasfigurandosi in una metafora inquietante e che ha contagiato e devastato un’intera generazione.
Assecondando il suo istinto materno, assai sviluppato nelle donne mediterranee, Antonia la porta a casa e comincia ad accudirla con tutte le precauzioni del caso.
Interrotti gli studi, memorizzato qualcosa dai libri sfogliati nei due anni, lavora in una tv spazzatura: altro topos anni Novanta, dove donne frustrate e infelici telefonano per raccontare i propri sogni. Ambienti di per sè ambigui, nati quasi sempre dal “lavaggio” di soldi sporchi, ai confini della legalità , metà di ragazze che arrivano dell’Est in cerca di fortuna.
E’ il contesto tratteggiato con leggerezza dallo scrittore Giovanni Bracco (già inviato speciale e capo della redazione romana del “Sole 24 Ore”, 4 figlie, una vigna, un piccolo uliveto, passione per la musica) in “L’interprete dei sogni”, Giovane Holden Edizioni, Lucca 2025, pp. 144, euro 14,00.
La tecnica è quella dell’intervista, come se Antonia avesse l’urgenza di raccontarsi, per chiarire a sè stessa le proprie ambiguità , incertezze, contraddizioni. E lo scrittore che ascolta, fa domande, fruga nelle pieghe delle esistenze altrui, delinea un analista, quasi un entomologo. La cui puntigliosità quasi ossessiva richiama alla mente quel che pensava Hemingway, e cioè che i giornalisti sono gli scrittori migliori. Egli stesso iniziò come inviato di guerra del canadese “Toronto Star”.
Un romanzo in cui prevale lo scavo psicologico impietoso, alternato e intrecciato alla password socio-antropologica, e nel farli emergere con estrema intensità e naturalezza, a tratti con dolore ma anche con dolcezza e poesia, Bracco dipinge un affresco iconoclasta, che trasfigura i Novanta, la generazione smarrita, dall’autostima fragile, l’identità devastata da infinite patologie, costretta a ripiegare su sè stessa, a riflettere sui propri sogni “bruciati”, incapaci di uscire dalla perfida, vischiosa ragnatela.
Immediatamente riconoscibile, per chi ci è nato e ci vive, la location: “Roma si andava spegnendo nella notte, rumori rarefatti di automobili attorno alla piazza, la pioggerellina incessante, i lampioni sonnacchiosi. La città ritrovava a quell’ora la dimensione indolente…”.
I crudeli anni Novanta che hanno frantumato un sacco di illusioni e certezze: berlusconismo delirante, cloroformio negli interstizi della vita. Nei quartieri popolari, tra Tiburtina e Tuscolana, un’umanità antropologicamente segnata, dolente e confusa, arrivata dal Sud in cerca di riscatto, in rivolta con la terra di provenienza e la stessa famiglia.
E’ il brodo primordiale che avvolge Antonia (Antonella), origini lucane, iscritta a Psicologia, ma fuori corso dopo appena due anni.
Un incidente in motorino e la sua vita cambia percorso. Al pronto soccorso, c’è Giulia attende anche lei di essere curata. Ha l’Aids, patologia che attraversa tutti i Novanta (pare passata una glaciazione), trasfigurandosi in una metafora inquietante e che ha contagiato e devastato un’intera generazione.
Assecondando il suo istinto materno, assai sviluppato nelle donne mediterranee, Antonia la porta a casa e comincia ad accudirla con tutte le precauzioni del caso.
Interrotti gli studi, memorizzato qualcosa dai libri sfogliati nei due anni, lavora in una tv spazzatura: altro topos anni Novanta, dove donne frustrate e infelici telefonano per raccontare i propri sogni. Ambienti di per sè ambigui, nati quasi sempre dal “lavaggio” di soldi sporchi, ai confini della legalità , metà di ragazze che arrivano dell’Est in cerca di fortuna.
E’ il contesto tratteggiato con leggerezza dallo scrittore Giovanni Bracco (già inviato speciale e capo della redazione romana del “Sole 24 Ore”, 4 figlie, una vigna, un piccolo uliveto, passione per la musica) in “L’interprete dei sogni”, Giovane Holden Edizioni, Lucca 2025, pp. 144, euro 14,00.
La tecnica è quella dell’intervista, come se Antonia avesse l’urgenza di raccontarsi, per chiarire a sè stessa le proprie ambiguità , incertezze, contraddizioni. E lo scrittore che ascolta, fa domande, fruga nelle pieghe delle esistenze altrui, delinea un analista, quasi un entomologo. La cui puntigliosità quasi ossessiva richiama alla mente quel che pensava Hemingway, e cioè che i giornalisti sono gli scrittori migliori. Egli stesso iniziò come inviato di guerra del canadese “Toronto Star”.
Un romanzo in cui prevale lo scavo psicologico impietoso, alternato e intrecciato alla password socio-antropologica, e nel farli emergere con estrema intensità e naturalezza, a tratti con dolore ma anche con dolcezza e poesia, Bracco dipinge un affresco iconoclasta, che trasfigura i Novanta, la generazione smarrita, dall’autostima fragile, l’identità devastata da infinite patologie, costretta a ripiegare su sè stessa, a riflettere sui propri sogni “bruciati”, incapaci di uscire dalla perfida, vischiosa ragnatela.