Luce su una comunità di pastori vissuta 3.500 anni fa grazie all’Università del Salento


LECCE - Una comunità di pastori vissuta oltre 3.500 anni fa sui monti dell’Orsomarso, in Calabria, torna oggi a raccontare la propria storia grazie al contributo dell’Università del Salento. Lo studio, pubblicato sulla rivista Communications Biology (Nature Portfolio), ha ricostruito la struttura genetica, le relazioni di parentela e alcuni aspetti della vita quotidiana di una piccola comunità protoappenninica della Grotta della Monaca (Sant’Agata d’Esaro, Cosenza), attiva tra il 1780 e il 1380 a.C.

La ricerca è il frutto di una collaborazione internazionale guidata dal Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia e dall’Università di Bologna, con il coinvolgimento del CEDAD – Centro di Fisica Applicata, Datazione e Diagnostica del Dipartimento di Matematica e Fisica “Ennio De Giorgi” dell’Università del Salento. Il CEDAD ha eseguito le datazioni al radiocarbonio dei resti umani, fornendo un quadro cronologico preciso per l’uso funerario della grotta.

«I campioni ossei sono stati trattati nei laboratori chimici del CEDAD, dove è stata estratta la frazione di collagene e preparati i target di grafite per le misure con spettrometria di massa con acceleratore», spiega la dottoressa Marisa D’Elia, responsabile dei laboratori chimici del Centro.

Grazie all’integrazione di cronologia assoluta, dati archeologici e genomi antichi, è emersa una comunità di dimensioni ridotte, con marcati legami di parentela e un’organizzazione funeraria strutturata per sesso ed età, con prevalenza di donne e individui immaturi nel principale settore sepolcrale.

Le analisi genomiche hanno inoltre rivelato un caso di consanguineità estrema, mai documentato prima in un contesto dell’Età del Bronzo: un giovane maschio presenta un profilo genetico compatibile con l’unione tra parenti di primo grado.

Lo studio evidenzia anche una forte affinità genetica con le popolazioni della prima Età del Bronzo della Sicilia, pur senza i contributi genetici “orientali” rilevati in coeve comunità siciliane, colmando così importanti lacune sui dati genetici antichi dell’Italia meridionale e sulle dinamiche demografiche del Mediterraneo centrale.

Per l’Università del Salento, questo risultato conferma il ruolo del CEDAD come infrastruttura di riferimento internazionale per la datazione e la diagnostica applicate ai beni culturali, capace di dialogare con i maggiori centri europei e di contribuire in modo decisivo alla ricostruzione della storia del nostro territorio.

Ph Credit (immagini della grotta): F. Larocca, archivi del Centro di ricerca "Enzo dei Medici"